Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30674 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 25/11/2019), n.30674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17240/2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI

24, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CAPONETTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1687/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/04/2014, R.G.N. 5999/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 2 aprile 2014 la Corte d’appello di Roma respinge l’appello di S.G. avverso la decisione del locale Tribunale di rigetto della domanda del S. – proposta nella qualità di detenuto-lavoratore – volta ad ottenere dal Ministero della Giustizia il pagamento della tredicesima mensilità – dal 1986 fino alla presentazione della domanda giudiziale, periodo durante il quale aveva svolto lavoro carcerario – oltre all’indennizzo per ferie non godute;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) con la prima censura il S. si duole dell’avvenuta applicazione da parte del primo Giudice del patto di conglobamento, ritenuto provato sulla base della documentazione prodotta dal Ministero e acquisita ai sensi dell’art. 421 c.p.c.;

b) in appello l’interessato eccepisce genericamente la tardività della anzidetta produzione, ma non contesta l’ordinanza istruttoria del Tribunale con la quale la documentazione è stata acquisita;

c) peraltro, a parte le altre contestazioni in merito alla documentazione prodotta dal Ministero, quel che rileva è che l’Ente ha dedotto e provato in modo idoneo che il rateo per la tredicesima è stato corrisposto mensilmente insieme con la mercede, come è confermato dalla Circolare n. 2294/4748 del 9 marzo 1976 e dalle tabelle mercede in vigore, ove sono indicati gli elementi che compongono la mercede, tra i quali è compresa anche la tredicesima mensilità;

d) va anche precisato che, diversamente da quel che sostiene il ricorrente, nel lavoro carcerario non sono necessari un espresso patto di conglobamento oppure una specifica imputazione del prospetto stipendiale, in quanto date le peculiarità del lavoro carcerario, manca un contratto individuale e l’obbligo del rilascio del prospetto della mercede, la cui misura è stabilita da una apposita Commissione e aggiornata periodicamente, come è noto anche al ricorrente;

e) pertanto si deve fare riferimento agli atti e alle circolari suindicati;

f) va respinta anche la domanda “subordinata” volta ad ottenere l’indennizzo per ferie non godute, sulla quale, in effetti, il primo Giudice ha omesso di pronunziarsi;

g) infatti, l’interessato non ha mai fornito elementi dotati di un minimo di precisione in merito al proprio stato di detenzione, alle modalità del lavoro espletato ed all’effettiva consistenza oraria dell’attività lavorativa, oltre che ai periodi di lavoro, dai quali possa desumersi la mancata fruizione delle ferie spettanti e quindi la sussistenza del diritto rivendicato;

h) la necessità di tali allegazioni sulle modalità del lavoro espletato e sull’orario concreto osservato oltre che sui periodi di lavoro emerge anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 158 del 2001, sulla cui base l’Amministrazione, con circolare n. 100095 del 21 marzo 2006, ha disciplinato il diritto alla fruizione delle ferie per i detenuti-lavoratori, dettando principi cui si può fare riferimento anche per il periodo anteriore;

i) da ultimo è del tutto irrilevante la documentazione prodotta in appello a sostegno della doglianza concernente il mancato aggiornamento della mercede, in violazione dell’art. 36 Cost., visto che il ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non ha indicato la misura della mercede percepita e gli elementi dai quali desumerne l’insufficienza e l’inadeguatezza, alla luce della norma costituzionale invocata;

che avverso tale sentenza S.G. propone ricorso, illustrato da memoria, affidato a cinque motivi, al quale oppone difese il Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in cinque motivi;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 416,115,112,134 c.p.c.; art. 111 Cost. e art. 6 CEDU con “travisamento assoluto dei fatti e degli atti processuali”, sostenendosi, in sintesi, che la documentazione del Ministero è stata acquisita d’ufficio ex art. 421 c.p.c., senza motivazione come imposto dall’art. 134 c.p.c. e dall’art. 111 Cost. e che comunque, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, si trattava di documentazione neutra rispetto al thema decidendum se non addirittura confirmatoria della fondatezza della domanda;

che, pertanto, si sostiene che la motivazione sul punto sarebbe soltanto apparente;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, palese violazione degli artt. 115,112 c.p.c.; dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU, con “ulteriore motivazione abnorme e solo apparente o su alcuni punti anche assente e contraddittoria rispetto ai dati oggettivi del processo”;

che si ritiene che, diversamente da quel che si legge nella sentenza impugnata “contro ogni risultanza processuale di totale diverso contenuto”, l’apposita Commissione da maggio 1993 (con efficacia da ottobre 1993) non ha mai più provveduto ad aggiornare periodicamente la mercede, come era espressamente dovuto in base alla Circolare n. 2294/4748 del 9 marzo 1976, punto e), richiamata dalla Corte d’appello;

che, pertanto, a prescindere dal conglobamento o meno e dalla sua liceità e correttezza, il lavoratore era creditore della sensibile differenza di mercede non corrisposta;

che, a fronte di questa situazione, nel presente giudizio è stata richiesta la tredicesima che corrisponde ad 1/12 della mercede e cioè a Euro 8,33 mensili il che significa che la domanda proposta sarebbe contenuta nella complessiva somma di Euro 83,3;

che la sentenza impugnata appare pertanto offrire un risultato ed una motivazione in aperta collisione con le risultanze processuali non avendo tenuto conto della suddetta situazione, pur avendo fatto riferimento alla necessità, per il Giudice, di effettuare una “verifica documentale e fattuale rigorosa”, che in realtà non risulta essere stata compiuta visto che la semplice verifica e disamina degli atti del processo non avrebbe potuto non portare all’accoglimento della domanda;

che con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, mancata motivazione della sentenza con dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 112 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, per non avere la Corte d’appello esplicitato quali fossero “i fatti concludenti” alla base dei quali il primo Giudice ha ritenuto di poter fondare il proprio convincimento in ordine al patto di conglobamento;

che si sostiene che, con “palese ultrapetizione”, la differente motivazione sul punto della Corte d’appello si baserebbe su una serie di elementi nuovi rispetto alle risultanze processuali;

che, si aggiunge, che la macroscopica violazione del dovere di aggiornamento della mercede è tale da porsi in contrasto anche con la CEDU;

che con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., con riguardo al mancato riconoscimento dell’indennizzo per ferie non godute, sostenendosi che sulla base dei dati del Ministero, la relativa domanda avrebbe dovuto essere accolta;

che con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3,24,27,36,111 Cost., art. 6 CEDU, artt. 112 e 115 c.p.c., art. 1193 c.c., comma 2, art. 1194 c.c., art. 2109 c.c., comma 2;

che si sostiene che la Corte territoriale abbia ritenuto già corrisposta la rivendicata tredicesima mensilità a fronte di un’inesistente quietanza di pagamento sul titolo di voce retributiva speso in tale rivendicazione;

che in realtà il ricorrente non ha mai ricevuto la comunicazione dell’inclusione nelle retribuzioni mensili del rateo di pagamento della tredicesima comunque, la sua condizione di detenuto non gli aveva consentito di riconoscere le somme indicate a titolo di tredicesima (ove corrisposte);

che, peraltro, le somme pagate erano in ogni caso molto inferiori a quelle dovute e la Corte territoriale, disattendendo sia la richiesta di CTU sia quella di acquisire presso il Ministero la documentazione relativa al rapporto ex art. 210 c.p.c., non avrebbe assolto a quel ruolo di equilibrio e di equità nell’ambito di una situazione, quale quella dei detenuti, notoriamente degradata sotto il profilo della condizioni di vita;

che comunque in atti vi erano tutti gli elementi per pervenire ad una pronuncia anche ai sensi dell’art. 2109 c.c.;

che l’esame delle censure porta all’inammissibilità del ricorso, in considerazione del mancato rispetto – con riguardo agli atti e ai documenti richiamati nei vari motivi di ricorso – del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553), principio che si applica anche alle censure con le quali si denunciano ipotizzati errores in procedendo, come accade nella specie, per la gran parte dei motivi proposti;

che, in particolare, la mancata osservanza del suindicato principio impedisce l’esame di tutte le censure nelle quali si fa riferimento, a vario titolo, ad una supposta erronea (o omessa) valutazione delle risultanze processuali e comporta l’integrale inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, in quanti essi sono tutti incentrati sulla contestazione dell’esame effettuato (o non effettuato) dalla Corte d’appello degli atti ivi rispettivamente richiamati ma non riprodotti in ricorso (per le parti di interesse) nè allegati al ricorso;

che, peraltro, si tratta anche di doglianze che – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di tutti i motivi – nella sostanza si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, sotto molteplici profili;

che sono, quindi, censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, che come tale è di per sè inammissibile;

che a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

che tali evenienze qui non si verificano, essendo, in particolare, insussistente il vizio di motivazione apparente e abnorme, più volte menzionato nel ricorso, senza peraltro una specifica argomentazione;

che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (vedi: Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009);

che è del tutto evidente che, nella specie, tale vizio non ricorra visto che l’iter argomentativo della sentenza impugnata rende chiaramente percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il processo logico seguito per la formazione del decisum e ciò è implicitamente dimostrato dalle molteplici censure proposte dal ricorrente dalle quali si evince che le statuizioni che sorreggono la decisione impugnata, pur non essendo condivise, sono state perfettamente comprese e quindi erano ben percepibili;

che, in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1000,00 (mille/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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