Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30671 del 21/12/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/12/2017, (ud. 08/11/2017, dep.21/12/2017),  n. 30671

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Bassano del Grappa, con sentenza n. 320/2006, accolse la domanda proposta da Ci.An., dichiarando la nullità del “contratto di affiliazione commerciale” da questi concluso con la Dama Service s.r.l. in data 12.6.2001, avente ad oggetto la commercializzazione di cartucce originali e rigenerate per stampanti, recanti il marchio “(OMISSIS)”. Rilevò il primo giudice, infatti, l’inesistenza dell’oggetto del contratto, difettando il necessario requisito del know how, e condannò la società convenuta alla restituzione del fee d’ingresso, pari ad Euro 7.746,85, oltre accessori.

Proposto gravame da Dama Service s.r.l., la Corte d’appello di Venezia lo accolse con sentenza del 24.9.2014 e, in riforma della prima decisione, rigettò la domanda attrice, condannando C.A. e D.R., costituitisi quali successori di Ci.An., frattanto deceduto, alla rifusione delle spese in favore dell’appellante.

C.A. e D.R. ricorrono ora per cassazione, affidandosi a due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso Dama Service s.r.l.. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo si deduce “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., nel combinato disposto dei Regolamenti CE n. 4087/1988 e 2790/1999 con conseguente richiesta di cassazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 5 c.p.c.”. Riformando la sentenza di primo grado, che aveva negato sussistere nella specie un know how specificamente individuabile (inteso – sulla scorta delle previsioni della L. n. 129 del 2004, per quanto non direttamente applicabile – come “patrimonio di conoscenze pratiche, non brevettate, derivanti dG esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, avente carattere segreto…, sostanziale… ed individuato”), la Corte d’appello ha affermato non potersi escludere che la creazione di un punto vendita e l’uso e commercializzazione ch cartucce per stampanti “(OMISSIS)”, come pattuito tra le parti, non possa essere oggetto di specifiche tecniche e conoscenze aventi il carattere “segreto, sostanziale ed individuato”, tanto più che era emerso in istruttoria che il fralchisor aveva predisposto per Ci.An. un corso di formazione, all’esito del quale gli era stato consegnato un catalogo di 500 pagine, con l’elencazione di numerose stampanti, delle relative cartucce utilizzate e dei codici delle cartucce “(OMISSIS)” che vi corrispondevano, da utilizzare nell’attività che egli stava per avviare. La Corte ha quindi concluso nel senso che “non si ravvisano elementi… atti a dimostrare l’insussistenza di un know how…”.

I ricorrenti denunciano l’erroneità di tale percorso argomentativo, perchè – oltre a ribadire che alcunchè di segreto vi era nelle conoscenze trasmesse dalla società resistente – la Corte ha del tutto omesso di identificare, in positivo, in cosa detto know how sia concretamente consistito, finendo per confondere il franchising con il diverso contratto di concessione di vendita.

1.2 – Con il secondo motivo, con cui si deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. nel combinato disposto con gli artt. 1418,2727 e 2729 c.c., e art. 116 c.p.c. con conseguente richiesta di cassazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, si censura ulteriormente la decisione impugnata perchè la Corte ha ritenuto doversi presumere che il corso tenuto da un proprio incaricato (tale Ca.Fa.) concernesse quel tipo di marca e cartucce conosciute dai soli responsabili della Dama Service. Infatti, la Corte non ha tenuto conto che il catalogo era stato ricavato da internet, sicchè la presunzione non ha ragion d’essere, difettando la gravità, precisione e concordanza degli indizi. Del resto, non esiste alcuna prova documentale dell’esistenza del know how in questione.

2.1 – Il ricorso è inammissibile.

2.2 – Esso difetta, infatti, dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6). Non viene riprodotta, neppure in parte, alcuna clausola contrattuale, e segnatamente quella che nel contratto del 12.6.2001 doveva necessariamente concernere il suo “oggetto”. Nè tantomeno il contratto è stato direttamente prodotto in questa sede, o è stato indicato dove e quando esso sia stato prodotto in corso di causa e dove sia quindi rinvenibile. Il che, avuto riguardo ad un ricorso in cui si discute di pretesa nullità di un contratto per inesistenza del suo oggetto, è assolutamente tranciante. E’ pur vero che la sentenza impugnata riporta il contenuto dell’art. 1, del contratto (p. 6), che ne delineava l’oggetto, ma si tratta un elemento esterno, ovviamente non utilizzabile ai fini di quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), (v. Cass. n. 14784/2015). 3.1 – Il ricorso è in ogni caso infondato.

Procedendo allo scrutinio congiunto di entrambi i motivi, perchè strettamente connessi, si osserva che la Corte del merito ha rilevato che, nel caso in esame, con l’espletamento del corso di formazione e con la consegna del catalogo, la Dama Service ha trasmesso ad Ci.An. un patrimonio di conoscenze (anche generali, sulle pratiche di commercializzazione) e specifiche tecniche in grado di metterlo in condizione di avviare l’attività nell’ambito della propria rete distributiva, peraltro (come correttamente evidenzia la società resistente in controricorso) in condizioni di minor rischio rispetto ad una attività avviata totalmente “in proprio”.

In definitiva, la Corte ha riscontrato la sussistenza del know how, rimandando per la sua individuazione al contenuto del corso e alla consegna del catalogo, e “presumendo” (ma in realtà, affermando tout court, non avendo alcun senso logico l’affermazione contraria, alla luce del complessivo percorso argomentativo seguito) che il corso stesso concernesse quelle specifiche cartucce commercializzate dalla Dama Service. Più in dettaglio, sul punto, la Corte ha rilevato che, al termine del corso, venne consegnato al C. il detto catalogo, “recante l’elencazione dei vari tipi di stampanti utilizzate negli uffici con l’indicazione per ciascuna delle cartucce compatibili, e quindi di quelle recanti il marchio (OMISSIS) risultanti in base al numero di codice assegnato a loro volta compatibili con l’una o l’atra stampante”.

Errano quindi gli odierni ricorrenti laddove denunciano un mancato accertamento dell’oggetto del contratto da parte della Corte, e il ricorso alla doppia presunzione, perchè, in realtà – al di là della tecnica espositiva utilizzata dalla Corte d’appello (“… non si vede…”) – l’accertamento è stato effettuato in positivo e senza ricorrere ad alcuna presunzione: il corso di formazione concerneva proprio (ed anche) le cartucce che il C. avrebbe dovuto commercializzare, ossia quelle a marchio “(OMISSIS)”.

Sul punto, può ulteriormente osservarsi che la soluzione fatta propria dalla Corte del merito lascia sullo sfondo il profilo della distinzione del franchising rispetto alla mera concessione di vendita, come sostanzialmente denunciato dai ricorrenti. Tuttavia, proprio la mancata produzione del contratto in questa fase di legittimità rende sostanzialmente impossibile ogni approfondimento sul punto, in quanto la tipologia dell’accordo inter partes, come evincibile dagli atti di causa e valutata dalla Corte d’appello, è del tutto compatibile con la definizione del contratto di franchising – ante L. n. 129 del 2004 – ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 647/2007), secondo cui “Con il contratto di affiliazione commerciale (o “franchising”) un produttore o rivenditore di beni od offerente di servizi (“franchisor”) ed un distributore (“franchisee”), al fine di allargare il proprio giro commerciale e di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato – creando una rete di distribuzione senza dover intervenire direttamente nelle realtà locali -, concede, verso corrispettivo, di entrare a far parte della propria catena di produzione o rivendita di beni o di offerta di servizi ad un autonomo ed indipendente distributore (“franchisee”), che, con l’utilizzarne il marchio e nel giovarsi del suo prestigio ha modo di intraprendere un’attività commerciale e di inserirsi nel mercato con riduzione del rischio”.

4.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre le spese forfetarie in misura del 15%, gli esborsi liquidati in Euro 200,00, e gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2017

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