Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30665 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 25/11/2019), n.30665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14311/2017 proposto da:

A.N.A.S. S.P.A., AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE S.P.A., lo

persona del legale rappresentante pro tempere, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 23, presso lo studio

dell’avvocato BARBARA PIGNOTTI, rappresentata e difesa dall’avvocato

RAFFAELLA PETRAMALA;

– ricorrente –

contro

B.F., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato RICCARDO MANFREDI;

– controricorrente –

e contro

OPENJOBMETIS S.P.A. (già Metis s.p.a.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1565/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/12/2016 R.G.N. 1923/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 1 dicembre 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato parziale tra la ricorrente B.F. ed Anas Spa, condannando quest’ultima alla consequenziale riammissione in servizio della lavoratrice nonchè al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento danni, di un’indennità commisurata a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

2. la Corte di Appello, esaminando il materiale istruttorio, ha ritenuto che non fosse emersa la prova che la B. avesse lavorato in Anas in forza di un contratto di somministrazione stipulato in forma scritta con Metis Spa;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in data 1 giugno 2017 la società con 2 motivi, cui resiste la B. con controricorso, in cui eccepisce, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso avverso per decorso del termine semestrale; non ha svolto attività difensiva la Openjobmetis Spa (già Metis Spa).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla controricorrente sull’assunto che il termine semestrale per l’impugnazione decorrerebbe dal deposito della motivazione (che si deduce essere il 29 novembre 2016) piuttosto che da quello della pubblicazione;

invero ancora di recente è stato ribadito (Cass. n. 7635 del 2019) che, in tema di impugnazione, nel caso in cui su una sentenza risulti apposta un’unica data relativa alla sua pubblicazione con attestazione del competente cancelliere, non rileva, ai fini dell’individuazione del termine ordinario ex art. 327 c.p.c. (per il quale deve, perciò, farsi riferimento al dato temporale dell’intervenuta pubblicazione), il mero previo inserimento della sentenza nel registro cronologico, qualora manchino l’attestazione di altra data di deposito da parte del cancelliere e, quindi, la scissione temporale tra il momento del deposito e quello della pubblicazione (che devono, peraltro, essere, di regola, coincidenti), che ricorre nell’eventualità che siano apposte due distinte date di deposito (in tale ultima ipotesi trovando applicazione il principio sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18569 del 2016);

nella specie risulta dalla sentenza depositata la sola data di pubblicazione che è pacificamente risalente al 1 dicembre 2016, per cui il ricorso notificato in data 1 giugno 2017 è da considerare in termini, visto che i termini si computano secondo il calendario comune (art. 155 c.p.c.), cioè secondo il calendario gregoriano non ex numero sed ex numeratione dierum, sicchè, il dies a quo va escluso dal calcolo e la scadenza si ha all’ultimo istante del giorno, mese ed anno corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato (da ultimo, Cass. n. 1543 del 2018);

2. con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36, in relazione all’art. 97 Cost. e art. 360 c.p.c., n. 3”; si censura la disposta instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la B. sostenendo che, “stante la indiscussa natura pubblica della società”, “mentre per il personale dell’Anas già dipendente al momento della sua trasformazione in ente pubblico economico trovano applicazione le norme di diritto privato e della contrattazione collettiva di lavoro, per quello che, invece, a tale momento non era dipendente, non può che applicarsi il sistema di reclutamento rigidamente regolamentato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, nel rispetto dei principi di cui all’art. 97 Cost.”;

3. il motivo non può trovare accoglimento perchè non si misura con il principio, esplicitamente richiamato alla pag. 3 della sentenza dei giudici di appello (v. Cass. n. 9590 del 2005), secondo il quale, “atteso che, per effetto della trasformazione dell’ANAS da azienda in ente pubblico economico operata con il D.Lgs. n. 143 del 1994, il rapporto di lavoro del personale dipendente del suddetto ente è disciplinato dalle norme di diritto privato e dalla contrattazione collettiva di lavoro, nelle controversie relative ad assunzioni a termine effettuate dopo tale trasformazione non può essere invocato il divieto di assunzione di personale presso le pubbliche amministrazioni al di fuori della procedura del concorso, salvo eccezioni legislativamente previste” (successive conformi, sempre in controversie in cui era parte l’ANAS, v. Cass. n. 26166 del 2016 e Cass. n. 29443 del 2017);

4. il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, in relazione agli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; si censura la sentenza impugnata per non aver adeguatamente valutato “documenti idonei a provare la sussistenza del contratto di somministrazione di lavoro”;

5. il motivo è inammissibile;

posto che l’esistenza o meno di un contratto di somministrazione in forma scritta è nella vicenda che ci occupa indubitabilmente una quaestio facti, nonostante la formale deduzione della violazione di legge, nella sostanza parte ricorrente invoca una rivalutazione delle risultanze istruttorie, anche documentali, postulando un sindacato di merito chiaramente inibito a questa Corte di legittimità, tanto più nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, o(tre che dalle Sezioni semplici, principi di cui il ricorrente non tiene alcun conto);

il travalicamento nel giudizio di fatto è altresì comprovato dall’improprio riferimento all’art. 2697 c.c., di cui si assume nel motivo la violazione: infatti la violazione di detta disposizione, in tema di ricorso per cassazione, si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non quando si pretende un apprezzamento del materiale probatorio diverso da quello effettuato dal giudice del merito cui compete (tra le recenti v. Cass., n. 26769 del 2018);

6. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore della B., mentre nulla va disposto per le spese dell’intimata società che non ha svolto attibità difensiva;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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