Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30660 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 27/11/2018), n.30660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11695-2018 proposto da:

E.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2335/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

del 7/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso proposto da E.C., di nazionalità nigeriana, con il quale era impugnato il provvedimento della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. In particolare, il Tribunale respingeva la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato, non rilevando con certezza la presenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), relativi al timore di persecuzioni dirette personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale ed opinioni politiche. Non ravvisava, inoltre, gli estremi per la concessione della misura della protezione sussidiaria, nè ravvisava elementi tali da integrare i gravi motivi di carattere umanitario di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. – E. proponeva appello rilevando come le circostanze da lui narrate risultassero del tutto credibili. In proposito va evidenziato che l’istante aveva dedotto di essere stato prescelto, dalla comunità cui apparteneva, come successore del padre nella titolarità di una carica sacerdotale: carica che non intendeva ricoprire, non essendo egli adepto del culto cui essa si riferiva, ma di religione cristiana; l’istante aveva inoltre affermato di aver ricevuto pressioni minacciose dal consiglio degli anziani e di aver per tale ragione invocato la tutela della polizia, la quale aveva rifiutato di fornirgli protezione ritenendo che venisse in rilievo una questione interna alla comunità. Basandosi su tale quadro fattuale l’istante aveva proposto sia la domanda di protezione internazionale, sia quella di protezione sussidiaria, facendo valere il fondato timore di subire danni da parte della comunità di appartenenza in assenza di protezione statale. Lo stesso E. aveva inoltre domandato, in via subordinata, il riconoscimento della protezione umanitaria, chiedendo si tenesse conto della giovane età, del fatto che era orfano di entrambi i genitori e della sua impossibilità di far ritorno presso la comunità di provenienza per le ragioni sopra menzionate.

La Corte di appello di Bologna, investita del gravame, lo respingeva con sentenza del 10 ottobre 2017, fondando la propria pronuncia sulla sostanziale inattendibilità della narrazione del ricorrente; in considerazione dell’accertata inverosimiglianza della prospettazione del richiedente disponeva inoltre, con separato provvedimento, la revoca del gratuito patrocinio a spese dello Stato.

3. – Ricorre per cassazione E.C. facendo valere cinque motivi di impugnazione. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi posti a fondamento del ricorso sono i seguenti.

Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, lett. b) e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Si deduce che la Corte di Bologna avrebbe sostanzialmente riprodotto della sentenza impugnata le medesime argomentazioni del giudice di prime cure, senza farsi carico delle deduzioni ed eccezioni svolte con l’appello (ciò avendo particolarmente riguardo ai temi concernenti il culto dell’idolo e la mancata protezione della polizia).

Secondo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27. La censura investe il rilievo per cui, ad avviso della Corte di appello, la vicenda descritta pareva fondarsi su stereotipi narrativi relativi alla situazione propria di alcune comunità della Nigeria. Si osserva, al riguardo, che la ripetitività nella rappresentazione di fatti imponeva un più rigoroso esame delle condizioni oggettive del paese. Il motivo, inoltre, propone una doglianza con riguardo alla mancata documentazione delle affermazioni del ricorrente, e ciò avendo riguardo ai criteri, circa la valutazione della credibilità dell’interessato in assenza di prove, che sono posti dal cit. art. 3, comma 5.

Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 112 c.p.c., art. 3 e art. 14, lett. c). Viene lamentato che la sentenza impugnata non abbia motivato in ordine alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria, nonostante sul punto l’istante avesse ampiamente dedotto nel proprio atto di appello.

Quarto motivo: violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. E’ osservato come la tutela umanitaria prescinda dalla ritenuta credibilità delle dichiarazioni rese, richiedendo soltanto la sussistenza di seri motivi di carattere umanitario o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali. La Corte – secondo il ricorrente – si era limitata a negare l’esistenza di una condizione di vulnerabilità, senza offrire alcuna motivazione al riguardo.

Quinto motivo: violazione del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 136, CEDU, art. 6, e degli artt. 24 e 35 Cost.. La censura ha ad oggetto la statuizione di revoca dell’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio a spese dello Stato. Viene dedotto che la revoca avrebbe dovuto statuirsi con separato provvedimento, che tuttavia non era stato emesso; l’istante si duole, inoltre, dell’assenza di motivazione quanto alle ragioni di revoca del beneficio.

2. – Le esposte censure non possono trovare accoglimento.

Come è noto, il regime dell’onere della prova previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in tema di accertamento del diritto ad ottenere una misura di protezione internazionale, va inteso nel senso che, se il richiedente non ha fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se il richiedente: a) ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) ha fornito un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi, le dichiarazioni rese sono coerenti, plausibili e correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il caso; c) ha presentato la domanda il prima possibile o comunque ha avuto un valido motivo per ritardarla; d) dai riscontri effettuati il richiedente è attendibile (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138; in senso conforme: Cass. 10 luglio 2014, n. 15782). La Corte di merito ha respinto la domanda ponendo l’accento sulla sostanziale implausibilità della narrazione dell’istante, sottolineandone plurimi profili di incongruenza anche alla luce di fonti di informazione puntualmente indicate, e in proposito è da osservare come, per un verso, il giudizio espresso dal giudice del gravame sia insindacabile nel suo nucleo fattuale, mentre, per altro verso, le censure del ricorrente nemmeno investano efficacemente tutti i doversi elementi di incoerenza evidenziati dal giudice di appello (come ad esempio, quello della volontà, espressa dalla comunità, di conferire al ricorrente la carica sacerdotale: intendimento, questo, chiaramente contrastante con la mancata condivisione della pratica religiosa animista da parte dello stesso istante, che si era sempre disinteressato dell’attività religiosa del padre).

Non vale del resto opporre che la Corte di appello abbia impropriamente rimarcato che la rappresentazione dei fatti fornita dal ricorrente rispondesse a “stereotipi narrativi relativi alla situazione di alcune comunità della Nigeria”, giacchè la sentenza impugnata si fonda sul globale apprezzamento circa la non plausibilità della vicenda descritta piuttosto che sulla mera coincidenza tra i contenuti della vicenda riferita da E. e quelli presenti nei resoconti di altri cittadini nigeriani. Allo stesso modo, non è pertinente il rilievo secondo cui la Corte di merito avrebbe, nella sostanza rimarcato la mancata documentazione dei fatti dedotti, giacchè, al contrario, essa ha inteso valorizzare che la narrazione dell’istante era non credibile anche perchè poco circostanziata.

Contrariamente a quanto dedotto col terzo motivo, la Corte di appello ha poi reso pronuncia con riguardo alla protezione sussidiaria (pag. 4 della sentenza impugnata, terzo capoverso): è evidente, inoltre, che la ritenuta insussistenza del pericolo per la incolumità del richiedente” chiarisca come che la Corte abbia escluso si potesse individuare nella fattispecie quella ” minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” di cui è parola all’art. 14, comma 1, lett. c), che è richiamato nella rubrica del terzo motivo. D’altro canto, se è vero che l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (in tal senso Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07 Elgafaji), deve negarsi che, in concreto, ricorra il denunciato vizio di violazione di legge. Infatti, l’istante si duole, nella sostanza, dell’accertamento di fatto del giudice del merito, cui sarebbero stati forniti riscontri documentali rilevanti circa la situazione conflittuale della Nigeria, ma omette di considerare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, quindi implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa, e non ha quindi riguardo all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (Cass. Sez. U. 5 maggio 2006, n. 10313; in senso conforme, ad es.: Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315). Peraltro, i documenti di cui fa menzione l’istante non risultano nemmeno rettamente indicati (avendo il ricorrente mancato di procedere, a tal fine, a un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso: Cass. 7 marzo 2018, n. 5478); una censura vertente sull’omesso esame dei fatti risultanti dai detti documenti sarebbe, pertanto, inammissibile.

Quanto al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, occorre tener conto di quanto accertato dalla Corte di appello con riguardo alla vicenda narrata. Una volta escluso, sulla base di un esame non sindacabile nella presente sede, che E. fosse sottoposto a una situazione di pericolo in ragione del proprio rifiuto di assumere la carica sacerdotale, il giudice del gravame ha correttamente negato sussistessero situazioni di particolare vulnerabilità riconducibili alla previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ciò detto, contrariamente a quanto ritenuto dall’istante, i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trovano applicazione in ogni ipotesi di domanda di protezione internazionale (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221).

E’ solo il caso di aggiungere, per concludere, che la recente abolizione della figura della protezione umanitaria è inidonea a spiegare effetti sull’esito del presente giudizio. Va evidenziato, al riguardo, che non è necessario prendere posizione sulla questione relativa all’immediata o non immediata applicabilità delle modifiche introdotte col D.L. n. 113 del 2018, giacchè non si dibatte della riferibilità all’istante di una delle concli7ioni atte a legittimare il rilascio dei permessi speciali oggi previsti in luogo del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’abrogato dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6.

Per quanto infine attiene alla statuizione di revoca del gratuito patrocinio, essa non può essere oggetto del ricorso per cassazione. Infatti, la suddetta revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione dello stesso decreto, ex art 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal D.P.R. cit., art. 113, (Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29228).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Non va pronunciata condanna alla refusione di spese, stante la mancata resistenza del Ministero.

L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito dipendente dall’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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