Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30640 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/11/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 25/11/2019), n.30640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2012-2018 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

GIOACCHINO BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato DINO DEI ROSSI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INAPP – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ANALISI DELLE POLITICHE PUBBLICHE,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

ISFOL – ISTITUTO PER LO SVILUPPO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI

LAVORATORI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3375/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 16 giugno – 6 luglio 2017 n. 3375 la Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta da O.V. nei confronti di ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo 5 giugno 2003 – 31 dicembre 2007 e per il pagamento delle conseguenti differenze di retribuzione;

che a fondamento della decisione la Corte Territoriale riteneva non condivisibile il criterio di sussunzione adottato dal Tribunale, fondato sulla stabilità ed obbligatorietà dell’inserimento in un contesto organizzativo altrui, sulla disponibilità offerta tra una prestazione e l’altra, sull’assenza di rischio e di autorganizzazione.

Assumeva essere tratto qualificante della subordinazione il vincolo gerarchico mentre la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento nell’organizzazione aziendale erano compatibili anche con il lavoro autonomo, così come la mancanza di rischio economico.

I contratti di collaborazione sottoscritti contenevano precise indicazioni sui programmi nel cui ambito si inserivano le attività della O. e delle attività che ella doveva svolgere; il compenso era stato pattuito in misura complessiva, convenendosi solo la corresponsione di acconti mensili, peraltro subordinata alla verifica di una relazione periodica sull’attività espletata, compatibile con il controllo dei risultati.

Quanto alla prova orale, il Tribunale aveva attribuito rilievo alle dichiarazioni della teste C. circa lo svolgimento dell’attività lavorativa dal lunedì al venerdì “tendenzialmente” negli stessi orari dei dipendenti, alla presenza di una postazione di lavoro, al fatto che dipendenti e collaboratori svolgevano promiscuamente le attività, all’organizzazione del lavoro da parte della responsabile.

Era tuttavia carente l’elemento qualificante della subordinazione: la teste CO. aveva affermato che ella assegnava i compiti secondo le competenze previste in contratto, che non impartiva direttive, che non esisteva un piano ferie ma una disponibilità alla presenza nel periodo estivo, su base volontaria, che la O. in caso di assenza si limitava ad avvisare, che non aveva obblighi di presenza e di orario, che tra un contratto e l’altro non aveva lavorato.

Il Tribunale, senza trovare alcuna censura, aveva già escluso che la O. avesse lavorato tra un contratto e l’altro.

La relazione della Corte dei Conti trascritta nell’appello della O. si limitava a segnalare il rapporto numerico tra collaboratori, lavoratori a termine, incaricati e lavoratori a tempo indeterminato, dal quale emergeva l’insufficienza di questi ultimi;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso O.V., articolato in cinque motivi, cui ha opposto difese con controricorso INAPP (Istituto nato il 1 dicembre 2016 come trasformazione dell’ISFOL, in seguito a quanto disposto dal D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185); ISFOL è rimasto intimato;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente negli indici valorizzati dal Tribunale per l’accertamento della subordinazione.

Ha assunto che la qualificazione come subordinato del rapporto di lavoro non può dipendere unicamente dalla verifica del potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, che costituisce solo uno degli elementi di giudizio, cui devono aggiungersi, con pari valenza ricognitiva, la assenza di autonomia organizzativa e la messa a disposizione delle energie lavorative in relazione alle direttive ed ai comandi del datore di lavoro.

Il responsabile dell’ufficio stampa dell’ISFOL, signora CO., aveva dichiarato di non avere esercitato potere gerarchico non solo nei confronti della O. ma nei confronti di tutti i dipendenti dell’ufficio;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Con il motivo si denunzia l’omessa valutazione del fatto, emergente dalle dichiarazioni testimoniali rese dalla responsabile dell’ufficio stampa CO., che il mancato esercizio del potere gerarchico datoriale non era sintomatico della insussistenza di subordinazione, in quanto la responsabile aveva dichiarato di non avere esercitato il potere gerarchico nei confronti di alcun dipendente dell’ufficio, in un clima collaborativo;

– con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Si deduce l’omessa valutazione del fatto, emergente dalle dichiarazione delle testi C. e CO., che la prestazione di lavoro della ricorrente si era svolta a partire dall’anno 2005 anche presso il Servizio Sistemi Informativi Autorizzati (SIA), benchè tale attività non fosse prevista nei contratti di collaborazione sottoscritti;

– con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3,- violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., comma 1.

Con il motivo si assume il non corretto esame delle prove documentali prodotte (documenti dal n. 141 al n. 148), consistenti in sei determinazioni e due relazioni della Corte dei Conti sull’attività istituzionale e sui rapporti di lavoro di ISFOL. A quanto riportato dalla Corte dei Conti l’Istituto e lo stesso Ministero del Lavoro evidenziavano che, in mancanza dell’apporto dei collaboratori, la conduzione delle attività istituzionali dell’ente avrebbe subito un grave pregiudizio; la Corte dei Conti aveva considerato i collaboratori a tutti gli effetti nel quadro delle risorse umane.

Nell’anno 2008, infine, erano state operate procedure concorsuali per la assunzione a tempo determinato, vinte dai suddetti collaboratori. La sentenza dava atto, invece, di una unica relazione.

– con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1. Il motivo afferisce alla statuizione resa quanto al pagamento delle spese del primo grado, evidenziandosi che davanti al Tribunale ISFOL era difeso da funzionari che non avevano la qualifica di avvocati;

che ritiene il Collegio si debbano dichiarare inammissibili i motivi di ricorso dal primo al quarto ed accogliere il quinto;

che invero:

i primi quattro motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, censurano l’accertamento di fatto, compiuto nella sentenza impugnata, della natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso tra le parti di causa. Non vi è invece questione in punto di individuazione dei criteri generali di qualificazione del rapporto. Trattasi, dunque, di valutazione rimessa al giudice del merito, sindacabile da questo giudice di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. I motivi del ricorso non individuano uno specifico fatto non esaminato nella sentenza impugnata, oggetto di discussione tra le parti ed avente rilievo potenzialmente decisivo. Così, in relazione ai primi due motivi, il fatto che anche la gestione dei dipendenti avvenisse in un clima collaborativo non incide sulla differenza del regime delle presenze, degli orari, dei congedi per ferie, della assegnazione delle mansioni nè consente di qualificare tutti i lavoratori come subordinati; quanto al terzo motivo, la circostanza che in alcuni anni la CO. lavorasse non solo nell’Ufficio stampa ma anche presso altro servizio dell’Ente (Sistemi Informativi Autorizzati-SIA) non è indicativa di subordinazione, essendo piuttosto decisivo stabilire se tale attività rientrasse o meno tra gli obiettivi della collaborazione fissati dai contratti e, soprattutto, se tale assegnazione fosse stata imposta o liberamente concordata; anche il quarto motivo non veicola un fatto decisivo, poichè la rilevanza assunta dalle collaborazioni ai fini dello svolgimento della attività dell’ISFOL non è indicativa per sè della subordinazione dei collaboratori.

In sostanza i motivi piuttosto che dedurre un vizio della motivazione richiedono a questo giudice di legittimità una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio.

– il quinto motivo è fondato.

Il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato nell’anno 2011 sicchè non trova applicazione l’art. 152 bis disp. att. c.p.c., che disciplina la liquidazione delle spese di cui all’art. 91 c.p.c., a favore delle pubbliche amministrazioni assistite da propri dipendenti ai sensi dell’art. 417-bis c.p.c..

La L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 42, – nell’aggiungere nel titolo III, capo V, dopo l’art. 152 disp. att. c.p.c., l’art. 152 bis disp. att. c.p.c.,- statuisce che la medesima disposizione “si applica alle controversie insorte successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” e dunque introdotte successivamente all’1 gennaio 2012 (data di decorrenza fissata dalla medesima L., art. 36).

Nel presente procedimento continuano, dunque, a trovare applicazione i principi giurisprudenziali, già enunciati da questa Corte in assenza di una disposizione specifica, in ordine all’impossibilità di riconoscere competenze professionali di avvocato a dipendenti privi di tale qualità, potendo attribuirsi il solo rimborso delle spese vive, da indicarsi in apposita nota (in termini, ex plurimis: Cass. civ. sez. II 29 novembre 2013 n. 26855, 27 maggio 2011n. 11816; 24 maggio 2011 n. 11389; 27 agosto 2007, n. 18066; sez. I, 2 settembre 2004 n. 17674; 20 agosto 2003 n. 12232 in tema di opposizione a sanzioni amministrative; Cass. sez. VI 17 ottobre 2016 n. 20980 in relazione al giudizio di opposizione proposto, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, avverso il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato).

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, la sentenza impugnata deve essere cassata con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., limitatamente alla statuizione di condanna di O.V. al pagamento della spese del primo grado, dichiarati inammissibili i primi quattro motivi;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la questione può essere decisa nel merito, dichiarando O.V. non tenuta alla refusione delle spese del primo grado, ferma la statuizione sulle spese del giudizio di appello;

che le spese del presente grado si compensano per il parziale accoglimento del ricorso;

che, trattandosi di accoglimento parziale, la parte non è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e – decidendo nel merito – dichiara la parte ricorrente non tenuta la pagamento delle spese del primo grado.

Compensa le spese di questo grado.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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