Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3064 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 10/02/2020), n.3064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20301-2014 proposto da:

S.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE BERSANI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA DI CIRCOLO MELEGNANO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ADDA 99, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DE CICCIO,

rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMILIANO SILVETTI, ORAZIO

SALVATORE SAVIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 660/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/01/2014 R.G.N. 1926/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza in data 28 maggio 2013-20 gennaio 2014 n. 660 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Lodi, che aveva respinto la domanda proposta da S.M. nei confronti della AZIENDA OSPEDALIERA DI MELEGNANO (in prosieguo: AZIENDA OSPEDALIERA) per il risarcimento del danno subito per effetto della illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro del 4 settembre 2006, oggetto di tre proroghe (fino al 31 dicembre 2009).

2.La Corte territoriale osservava che il primo motivo di appello – con il quale il S. impugnava la sentenza di primo grado per aver ritenuto inapplicabile la disciplina della direttiva 199/70/CE, clausola 5, nella ipotesi di unico contratto prorogato- era superfluo ed inconferente.

3. L’appellante non aveva interesse alla censura, relativa alla decisione assunta dal Tribunale sulla illegittimità del termine, illegittimità che era stata comunque accertata, seppure per ragioni diverse (mancata specificazione della causale nel contratto di lavoro); il rigetto della domanda era avvenuto, invece, per mancanza di allegazione e prova del danno.

4. Il secondo motivo di appello, concernente il rigetto della pretesa risarcitoria, era infondato.

5. Il lavoratore poneva a sostegno della domanda unicamente la perdita del posto di lavoro, che non si sarebbe verificata se l’AZIENDA OSPEDALIERA non avesse instaurato un rapporto a termine illegittimo e, comunque, se egli avesse reso la prestazione in favore di un datore di lavoro privato.

6. Sotto il primo profilo, l’appello poggiava sull’erroneo presupposto del diritto alla assunzione a tempo indeterminato laddove l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione avviene solo per concorso; sotto il secondo profilo, era erronea la comparazione delle tutele del lavoro privato e del lavoro pubblico, ancorchè privatizzato.

7. In ogni caso, nonostante la decisività delle suddette considerazioni, l’appello si sostanziava nella erronea deduzione di un danno presunto o in re ipsa.

8. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S.M., articolato in un unico motivo, cui ha resistito la AZIENDA OSPEDALIERA con controricorso.

9. Il ricorrente ha depositato memoria; la AZIENDA ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.con l’unico motivo la parte ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione: del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36 anche in relazione al considerando n. 16 della direttiva 1999/70/CE; dell’art. 2 della direttiva 1999/70/CE; del preambolo dell’ACCORDO QUADRO CES-UNICE-CEEP in data 18 marzo 1999 sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE.

2.Ha dedotto che l’illegittima apposizione del termine determina un obbligo risarcitorio in capo alla PA, secondo i principi, enunciati dalla Corte di Giustizia UE, di equivalenza, effettività ed efficacia della sanzione avverso la condotta della pubblica amministrazione di abuso nell’utilizzo del contratto a termine.

3. Il motivo è fondato.

4. Le Sezioni Unite questa Corte, nell’arresto del 15/03/2016 n. 5072, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno enunciato il principio secondo cui nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno. Dando atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile – (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari) – le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.

5. Questa Corte in epoca successiva al suddetto arresto ha precisato (Cassazione civile sez. lav., 02/03/2017, n. 5319; Cassazione civile sez. VI, 20/07/2018, n. 19454) che nel lavoro pubblico contrattualizzato il ricorso alla disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, al fine di agevolare l’onere probatorio del danno conseguente all’illegittima reiterazione di rapporti a termine, si giustifica con la necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro, allegato alla direttiva 1999/70/CE, che concerne la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine e che, pertanto, la presunzione non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui l’illegittimità concerna l’apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro.

6. Da tale ipotesi va tuttavia distinto il caso in cui siano intervenute una o più proroghe del termine illegittimo apposto all’unico contratto di lavoro, come pure chiarito da questa Corte (Cass. sez. lav. 28 febbraio 2017 n. 5229; sez. lav. 13/03/2017, n. 6413; sez. VI n. 23945/2018).

7. La illegittimità del termine originario determina infatti ex se, indipendentemente da ulteriori verifiche, la illegittimità della proroga, in questo essa trova la sua causa nella attribuzione di ulteriori effetti nel tempo ad un termine invalido.

8. La proroga costituisce, dunque, una condotta successiva che reitera la illegittimità della iniziale apposizione del termine; sotto il profilo comunitario si qualifica, pertanto, come abusiva successione dell’utilizzo del contratto a termine, sanzionata dalla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.

9. Ne deriva che in caso di illegittimità del termine originario apposto al contratto di lavoro concluso con la pubblica amministrazione ove il termine illegittimo venga prorogato il lavoratore che propone la azione risarcitoria D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36 è assistito dalla presunzione di danno (in relazione alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile) codificata dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, per il lavoro privato, ferma restando la sua possibilità di provare, assumendone il relativo onere, di avere subito danni ulteriori.

10. La Corte territoriale non si è adeguata a tale principio laddove ha posto a carico del lavoratore l’onere della prova del pregiudizio sofferto nonostante la condotta abusiva della p.a. di proroga del termine illegittimo.

11. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e gli atti rinviati alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione affinchè si conformi nell’esaminare la domanda di danno al principio di diritto sopra esposto.

12. Il giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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