Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30638 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. I, 28/10/2021, (ud. 23/09/2021, dep. 28/10/2021), n.30638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VANNUCCI Marco – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17602/2020 r.g. proposto da:

O.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Lidia Bianco Speroni, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 322/2020,

depositata in data 24 marzo 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da O.G., cittadino della Nigeria (Delta State), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 13.2.2018 dal Tribunale di Brescia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale e umanitaria da tale persona avanzate.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS), di essere di religione cristiana e di etnia agbor; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché minacciato di violenze dallo zio paterno che voleva impossessarsi delle sue terre.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a) e b), in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e non circostanziato e anche perché la vicenda narrata riguardava questioni prettamente private; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla Nigeria, Stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di soggettiva vulnerabilità e perché in caso di rimpatrio il richiedente aveva una rete protettiva familiare in Nigeria.

2. La sentenza, pubblicata il 24 marzo 2020, è stata impugnata da O.G. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente in relazione al mancato riconoscimento della protezione internazionale e del relativo status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), vizio di omesso esame di fatto decisivo quanto al mancato riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria.

2.1 I primi due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, prospettando le medesime doglianze – sono infondati.

Si duole il ricorrente, nei motivi qui in esame, del vizio di motivazione apparente in ordine al diniego sia della protezione internazionale che di quella umanitaria, con consequenziale nullità del provvedimento impugnato. Sul punto, giova ricordare che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr.: Cass. S.U., n. 22232 del 2016; Cass. S.U., n. 8053 del 2014; Cass., n. 13977 del 2019).

Ciò posto, rileva il Collegio che, sebbene la motivazione impugnata sia alquanto stringata, la stessa non può definirsi apparente, secondo il paradigma applicativo da ultimo ricordato, posto che il provvedimento reso dalla corte di appello spiega quali siano le argomentazioni poste a sostegno sia dello scrutinio di non credibilità del racconto (per fondare il giudizio di rigetto delle domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a) e b)) sia della valutazione di non pericolosità interna del paese di provenienza del richiedente e, da ultimo, della condizione di soggettiva non vulnerabilità del richiedente.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al diniego dell’invocata protezione sussidiaria.

3.1 La doglianza è inammissibile.

Sul punto, è certamente vero che in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la giurisprudenza di legittimità ha precisato che una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice è tenuto, a prescindere dalla valutazione di credibilità delle sue dichiarazioni, a cooperare all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate, le cui fonti dovranno essere specificatamente indicate nel provvedimento, al fine di comprovare il pieno adempimento dell’onere di cooperazione istruttoria (cfr., da ultimo: Cass., n. 262 del 2021).

3.2 Va precisato che, in effetti, il provvedimento impugnato, per argomentare il giudizio di non pericolosità interna caratterizzante il Paese di provenienza del richiedente – nel senso precisato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea e da quella di legittimità (cfr. Corte di giustizia UE-Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C285/12; C-465/07; Cass., n. 13858 del 2018) – indica alcune fonti informative consultate senza tuttavia precisarne la datazione, e dunque il grado di aggiornamento rispetto alla decisione adottata.

La doglianza del ricorrente risulta però formulata in modo generico e non conducente; non avendo egli specificato se nel giudizio di appello avesse indicato e allegato fonti di informazioni recenti, alternative a quelle utilizzate dalla corte territoriale, su cui si sarebbe dovuto sviluppare il contraddittorio fra le parti del processo. Il ricorrente, invero. affida il giudizio di fondatezza della doglianza, articolata come vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, al solo richiamo di una fonte informativa (“Easo COI report”, datata 26.11.2018), senza indicare se la stessa fosse stata allegata nelle fasi di merito e senza descriverne il contenuto, descrizione quest’ultima indispensabile per la valutazione di rilevanza del dedotto vizio di legittimità (in questo senso, cfr., fra le molte: Cass., n. 21932 del 2020; Cass., n. 22769 del 2020).

3.3 Sono inammissibili anche le ulteriori censure sollevate in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), perché trascurano di censurare la ratio decidendi principale posta a sostegno del rigetto della domanda: id est, la valutazione di non credibilità del racconto fatto dal ricorrente.

4. Infine, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e vizio di motivazione in relazione alla conferma del diniego della richiesta protezione umanitaria.

4.1 Il motivo – peraltro genericamente argomentato con richiami alla giurisprudenza di merito – è inammissibile, sia perché, in relazione al profilo di vulnerabilità collegato alla vicenda personale del richiedente, trascura, ancora una volta, di censurare la ratio decidendi (e cioè, la valutazione di non credibilità del racconto) sia perché richiede un nuovo scrutinio di carattere fattuale sul presupposto dell’intervenuta integrazione sociale del ricorrente, non consentito in questa sede di legittimità.

5. Nessuna statuizione è dovuta quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo la parte vittoriosa svolto difese.

Stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto; spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (in questo senso, cfr., per tutte: Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

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