Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30628 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 20/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.C. (c.f. (OMISSIS));

S.R. (c.f. (OMISSIS));

parti entrambe rappresentate e difese dall’avv. Di Giovanni Paolo con

il quale si domiciliano in Roma, via di Fioranello 96, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.M.C. ved. R. (c.f. (OMISSIS));

R.D. (c.f. (OMISSIS));

R.A. (c.f. (OMISSIS));

R.G. (c.f. (OMISSIS)) la prima in

proprio e tutti quali eredi di R.F. parti

rappresentate e difese dall’avv. Sardone Donato giusta procura in

calce al controricorso domiciliate ex lege presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione;

– Controricorrenti –

contro la sentenza n. 289/2005 della Corte di Appello di Potenza,

pubblicata il 23/12/2005 e notificata il 27/01/2006;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

20/12/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Paduli per delega dell’avv. Sardone, per i

controricorrenti, che ha insistito per il rigetto del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.F. e P.M.C. citarono, con atto notificato il 16 maggio 1985, innanzi al Tribunale di Potenza, C. C. e S.R. – ai quali avevano venduto, con atto pubblico del febbraio del 1980, un appezzamento di terreno di are 40 in agro di (OMISSIS), confinante con altro di proprietà di essi attori- chiedendo che fossero condannati a restituire la porzione di suolo che i convenuti avevano indebitamente occupato nel costruire una recinzione in cemento ed a risarcire i conseguenti danni. I C. – S. resistettero alla domanda, contestando il riferito sconfinamento, adducendo che la linea di confine sarebbe stata determinata dagli stessi venditori, con l’ausilio di un tecnico.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza 10154/2003, accolse la domanda di restituzione e respinse quella di risarcimento, ponendo a base della decisione le risultanze di un’esperita CTU e negando che fosse stata raggiunta la prova di un accordo circa l’esatta confinazione dei fondi.

La Corte di Appello di Potenza, con sentenza n. 289/2005, respinse il gravame dei C. – S. osservando che, se pure doveva dirsi accertato che effettivamente il R. aveva fatto eseguire dall’Impresa Guglielmi il tracciato dei confini, secondo i dati catastali richiamati nell’atto di vendita, e che lungo detta linea confinaria era stata in concreto realizzata la recinzione oggetto di causa, tuttavia non poteva univocamente concludersi che l’apposizione dei picchetti fosse una manifestazione di volontà negoziale diretta a stabilire il confine lungo la linea così erroneamente determinata.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso i C. – S. sulla base di due motivi; hanno proposto controricorso la P. nonchè D., A. e R.G., figli della stessa e di R.F., deceduto nelle more del giudizio di appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Va esaminata in via prioritaria l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti assumendosi l’inesistenza del ricorso per mancanza, nella copia notificata, della procura speciale : tale eccezione non è fondata in quanto il Collegio condivide l’orientamento consolidato di questa Corte – contrario a quello citato nel controricorso, risalente agli anni 60/70 del secolo scorso- che è nel senso che qualora, come nella specie, l’originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte che gli ha conferito la procura, la mancanza di sottoscrizione, da parte del difensore, della copia notificata del ricorso non determina l’inammissibilità del ricorso stesso quando tale copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dal difensore munito di procura speciale, elementi tra i quali è da ritenere compresa l’attestazione dell’Ufficiale giudiziario in ordine alla richiesta di notificazione (cfr. Cass. n. 4548/2011; Cass n. 636/2007; Cass. S.U. n. 11632/2003;

Sez. 3 n. 13385/2005; n. 9206/2001). (sull’onere dell’eccipiente di depositare la copia notificata del ricorso al fine di permettere alla Corte di valutare la mancanza, in essa, di elementi che dimostrino la provenienza dell’atto da difensore munito di mandato speciale: vedi Cass. n. 5249/1999; Cass. n. 10423/2000).

1/a – Va altresì dato atto che il ricorso non è soggetto – ratione temporis – alla disciplina dei quesiti di diritto, introdotta con l’art. 366 bis c.p.c. ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, per le sole sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 – data di abrogazione della disciplina in questione ad opera della L. n. 69 del 2009-: ne consegue che l’esame della Corte prescinderà dalla delibazione dei pur presenti “quesiti”.

2- Con il primo motivo il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1325 c.c. e dell’art. 950 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Motivazione omessa o contraddittoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere insussistenti elementi che conducessero a ritenere che l’apposizione dei picchetti fosse un atto di natura negoziale avente funzione di accertamento della linea confinaria; in particolare si dolgono i ricorrenti della mancata applicazione delle norme di ermeneutica ad un contratto concluso per facta concludentia assumendo al proposito che, se pure, come opinato dalla Corte di Appello, le modalità ed i tempi dell’apposizione dei picchetti potessero essere interpretate – non già come negozio di accertamento sulla linea di confine sibbene – come atto di esecuzione del contratto di compravendita, tuttavia era mancata, nel giudice di appello, ogni valutazione delle successive condotte delle parti, consistite nella costruzione del muto sulla linea confinaria così individuata.

3- Il motivo non può trovare accoglimento.

3/a – Invero, partendo dal presupposto che il negozio di accertamento si caratterizza dall’intento di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto – al quale si collega – al fine di precisarne l’esistenza, il contenuto e gli effetti, rendendo definitive ed immutabili situazioni di incertezza e vincolando le parti ad attribuire al preesistente rapporti gli effetti risultanti dall’accertamento – così da poter essere stipulati anche per facta concludentia, non avendo ad oggetto il trasferimento, la creazione o la disposizione di diritti su immobili, a mente dell’art. 1350 cod. civ. ( V. Cass. n. 24022 /2004; Cass. n. 6189/2001; Cass. n. 4994/1997; Cass. n. 13212/1991) – il giudice del merito non si è discostato da detto principio – rendendo tra l’altro del tutto inconferente il richiamo alla violazione dell’art. 950 e 1325 cod. civ.- avendo la Corte territoriale chiaramente messo in rilievo la ragione per la quale l’apposizione dei termini non potesse rivestire un valore diverso da quello della confinazione, in esecuzione degli accordi: in particolare la Corte di merito ha evidenziato che il contratto di vendita venne stipulato prima della materiale perimetrazione del lotto ed in esecuzione del frazionamento fatto eseguire, in precedenza, dal venditore R.: dunque senza che fosse sopravvenuta una situazione di incertezza che giustificasse il preteso negozio di accertamento.

3/b – La censura poi attinente alla violazione delle norme di ermeneutica è del tutto infondata in quanto manca nella fattispecie – per quanto appena detto – la materia da interpretare: invero i ricorrenti lamentano, come visto, che la condotta delle parti avrebbe dovuto esser meglio indagata al fine non già di valutare il contenuto di un negozio di accertamento dichiaratamente esistente, quanto piuttosto di delibare la sussistenza dello stesso.

4- Le considerazioni appena esposte valgono anche per il denunziato vizio di motivazione, non senza omettere di considerarne l’inammissibilità, mancando la specifica esposizione del passo argomentativo, contenuto nella sentenza, che si assumeva contraddittorio rispetto agli assunti logici di partenza o carente nell’esame di un punto controverso della decisione di primo grado, riducendosi pertanto la critica in una non consentita diversa valutazione del materiale probatorio sottoposto al controllo giudiziale.

4- Con il secondo motivo viene denunziata la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1324 c.c. e dell’art. 950 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” lamentando, parte ricorrente, che la Corte distrettuale avrebbe escluso la sussistenza del negozio di accertamento in base al non corretto presupposto che tale forma contrattuale fosse necessariamente bilaterale, mentre la libertà di forme garantite dalle norme richiamate nel motivo avrebbe dimostrato che detto negozio ben avrebbe potuto prender la struttura di un impegno unilaterale, al fine di conferire certezza agli aspetti dubbi del rapporto sottostante.

4/a – Anche tale motivo deve dirsi infondato per le medesime ragioni sopra esposte, atteso che la mancanza di una res dubia rendeva non configurabile un negozio di accertamento, men che mai nella sua forma unilaterale.

5 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, a favore dell’avv. Donato Sardone, procuratore dei contro ricorrenti, dichiaratosi antistatario; non è fondata invece la richiesta di condanna dei ricorrenti al risarcimento del danno per aver, i medesimi, agito in giudizio con colpa grave, dal momento che tale richiesta, pure se ammissibilmente contenuta nel controricorso (Cass. n. 24.645/2007; Cass. n. 13.395/2007) tuttavia non può essere basata sul sol fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo altresì la deduzione e la dimostrazione – nella fattispecie del tutto mancate – nell’indicato comportamento dell’avversario, della ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi (cfr. Cass. n. 15.629/2010).

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge, con attribuzione all’avv. Donato Sardone, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 20 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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