Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30624 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. III, 27/11/2018, (ud. 28/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16746-2017 proposto da:

AUTORITA’ PORTUALE DI VENEZIA, in persona del legale rappresentante

p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

R.R., F.M., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA QUINTO NOVIO 39, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA

BENINCASA, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLA NARDINI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1151/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.R. e F.M., moglie e figlia di F.A., convenivano in giudizio l’Autorità Portuale di Venezia, già Provveditorato al Porto di Venezia, quale datore di lavoro del congiunto, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del marito e padre che aveva contratto un mesotelioma pleurico lavorando, esposto senza presidi alle relative polveri, dal 1956 al 1982, quale socio d’opera della Compagnia dei lavoratori portuali di Venezia, alle dipendenze di fatto del suddetto Provveditorato.

Si costituiva in giudizio l’Autorità portuale di Venezia controdeducendo, per quanto qui ancora rileva, la mancanza di legittimazione passiva, dovendo ritenersi sussistente quella della Compagnia portuale di cui F. era socio d’opera.

Il tribunale accoglieva la domanda e la corte di appello, investita del gravame da parte della soccombente che, in particolare, negava di poter essere considerata successore universale del Provveditorato, confermava la decisione di prime cure rilevando che la Compagnia portuale aveva svolto mere funzioni di intermediario tra i lavoratori e il Provveditorato in parola, effettivo gestore della forza lavoro e dunque soggetto passivo dell’obbligazione in discussione, infine assunta dall’Autorità convenuta.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Autorità Portuale di Venezia, cui indicava essere subentrata l’Autorità di sistema portuale mare adriatico settentrionale, formulando un unico motivo.

Resistono con controricorso R.R. e F.M..

Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la difesa erariale prospetta la violazione e falsa applicazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, artt. 6 e 20 poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che:

a) la prima delle due norme richiamate fa divieto alle Autorità di porto introdotte dalla riforma di gestire le operazioni portuali, che sono state così privatizzate e affidate a società commerciali in cui i precedenti enti provveditorali, non estinti, si sono trasformati succedendo nelle relative funzioni, e acquisendo, come nel caso di specie, anche il relativo personale;

b) il riferimento della seconda delle due norme invocate al subentro delle Autorità in questione alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso, andrebbe sistematicamente letto nel senso di riferire i rapporti ai beni e non alle funzioni, e in ogni caso non a quelle divenute privatistiche, tra cui i compiti gestori che avevano integrato un profilo costitutivo dell’illecito, affidati alle menzionate società;

c) nessuna norma di legge indicava, comunque, la pubblica amministrazione portuale quale soggetto titolare sostanziale del rapporto di lavoro con i portuali, formalmente dipendenti delle Compagnie del relativo porto.

2. Il motivo di ricorsoè infondato.

La L. n. 84 del 1994, art. 20 stabilisce, al comma 5, che “fino alla data della avvenuta dismissione” riferita alle “attività operative delle organizzazioni portuali”, “le organizzazioni portuali e le Autorità di sistema portuale sono considerate, anche ai fini tributari, un unico soggetto; successivamente a tale data, le Autorità di sistema portuale” (come oggi denominate ai sensi del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 232, art. 15, comma 11) “subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso”.

L’avvocatura statale sostiene, come visto, che la successione in tutti i rapporti dovrebbe essere rapportata ai citati beni, e ad ogni modo non alle funzioni privatizzate con la dismissione delle attività operative appena rammentata, effettuata (art. 20, citato, comma 2) “mediante la trasformazione delle organizzazioni medesime, in tutto o in parte, in società secondo i tipi previsti nel libro 5^, titoli 5^ e 6^ del codice civile, ovvero, anche congiuntamente, mediante il rilascio di concessioni ad imprese che presentino un programma di utilizzazione del personale e dei beni e delle infrastrutture delle organizzazioni portuali, per l’esercizio, in condizioni di concorrenza, di attività di impresa nei settori delle operazioni portuali, della manutenzione e dei servizi, dei servizi portuali nonchè in altri settori del trasporto o industriali”.

In altri termini, la titolarità passiva dell’obbligazione risarcitoria avrebbe dovuto ritenersi traslare a chi aveva assunto privatisticamente le funzioni gestorie prima svolte dal Provveditorato e sottese alla sua responsabilità.

Questa ricostruzione si infrange, però, sia con la lettera della legge che con la sua “ratio”.

Il menzionato art. 20, comma 5 non limita in alcun modo, come avrebbe potuto e dovuto altrimenti fare, la successione nei rapporti ad alcuni di essi.

Al contempo, la riforma ha inteso trasferire, appunto, le funzioni ma non i rapporti anche passivi ai soggetti privati, con una distinzione volta evidentemente a favorire l’implementazione degli obiettivi della riforma senza oneri e pendenze che ne potessero rallentare l’avvio.

Non vi è cioè nulla che impedisca al legislatore di distinguere la traslazione delle funzioni da quella dei rapporti pendenti.

Nè la conclusione è logicamente mutata dall’acquisizione del personale (da parte delle società), peraltro allegata facendo riferimento a documenti significativamente non menzionati nella sentenza gravata e in parte (il primo dei due indicati a pag. 29 del ricorso) non oggetto della specifica del luogo di acquisizione nelle fasi di merito.

Quanto al punto c), qui così capitolato e sintetizzato sub 1., si tratta di una censura diversa da quella che occupa il corpo del motivo, mescolata ad essa (pag. 24, primo capoverso, del ricorso) e genericamente nonchè ambiguamente formulata rispetto alla motivazione della sentenza di appello che si è correttamente fondata sull’effettiva dazione e gestione della forza lavoro, con le correlative responsabilità ex art. 2087 c.c. (Cass., 15/03/1995, n. 2992, Cass., 08/10/2012, n. 17092), e quindi presupponendo esattamente quanto viene qui reso oggetto di contestazione, ossia la mancanza di una norma che stabilisse il rapporto di lavoro formalmente in capo all’amministrazione portuale (non è dato capire se si riferisca a quella di allora o a quella post riforma) invece che, come era, alle Compagnie portuali.

Consegue il rigetto.

3. Spese compensate stante i profili di novità della questione trattata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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