Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30622 del 20/12/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. III, 20/12/2017, (ud. 26/10/2017, dep.20/12/2017),  n. 30622

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

P.V. propose azione revocatoria ordinaria dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale su beni immobili stipulato dai coniugi S.P. e A.P., quest’ultimo garante dell’adempimento delle obbligazioni assunte dalla società Nizza s.r.l. verso il P. con tre contratti preliminari di vendita di immobili.

La domanda, disattesa in primo grado dal Tribunale di Lecco, è stata accolta, a seguito di impugnazione, dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 3467/2015 del 1 settembre 2015.

Premesso che in tema di negozio costitutivo di fondo patrimoniale l’eventus damni è integrato dalla mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore (da cui discende il pericolo di danno dell’eventuale infruttuosità di azioni esecutive) e per la scientia damni è sufficiente la mera consapevolezza del pregiudizio arrecato agli interessi dei creditori, la Corte meneghina ha, con riferimento al caso concreto, dato rilievo all’epoca di costituzione del fondo (appena otto giorni dopo la notifica all’ A. di un decreto ingiuntivo di pagamento di circa due milioni di Euro), all’omessa allegazione di necessità familiari giustificanti il negozio ed alla mancata prova dell’esistenza di ulteriori beni dell’ A. idonei a soddisfare le pretese creditorie.

Ricorrono per cassazione S.P. e A.P., affidandosi a tre motivi; resiste, con controricorso, P.V.. Ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Alla pubblica udienza celebrata il 26 ottobre 2017, il Collegio ha rilevato ex officio la questione della improcedibilità del ricorso per omesso deposito nelle forme rituali della copia notificata della sentenza impugnata e la ha sottoposta al contraddittorio delle parti; esaurita la discussione, ha deliberato in Camera di consiglio il giorno 5 dicembre 2017, a seguito di riconvocazione.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Nella memoria ex art. 378 c.p.c., parte ricorrente ha formulato istanza di riunione, per ragioni di connessione oggettiva (specificamente, di pregiudizialità – dipendenza in senso tecnico), del presente ricorso a quello iscritto al numero 26963 del R.G. dell’anno 2015, pendente innanzi altra sezione della Corte, avente ad oggetto la decisione sull’esistenza del credito a tutela del quale è stata esperita l’azione revocatoria in questa sede controversa.

La richiesta, peraltro palesemente infondata (cfr., ex plurimis, Cass. 10/02/2016, n. 2673; Cass. 12/07/2015, n. 17257; Cass. 06/10/2005, n. 19492), resta al momento assorbita dalla natura interlocutoria della presente ordinanza.

2. In via preliminare, va esaminata la questione – rilevata di ufficio – dell’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per mancato deposito della “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.

Parte ricorrente ha espressamente dedotto che la sentenza impugnata, pronunciata dalla Corte di Appello di Milano in data 1 settembre 2015 n. 3467/2015, le è stata notificata via posta elettronica certificata il giorno 8 settembre 2015.

Agli atti del fascicolo, si rinviene (allegata dal ricorrente) copia autentica di detta sentenza, rilasciata con attestazione di conformità dalla Cancelleria dell’Ufficio giudiziario emittente.

Quanto alla relazione di notificazione, parte ricorrente ha prodotto soltanto la copia stampata, priva di qualsivoglia attestazione di conformità, di un messaggio di posta elettronica certificata datato “07/09/2015 ore 17.21” – apparentemente proveniente dalla casella p.e.c. dell’Avv. Anna Zazzeri (difensore di P.V. nel giudizio di appello), diretto alle caselle p.e.c. dell’Avv. Giorgio Junginger e dell’Avv. Elisa Jungiger (procuratori costituiti di A.P. e S.P. in grado di appello) ed avente ad oggetto “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” – da cui risulta l’inoltro di allegati (tra i quali il file denominato “relata.pdf.p7m”) che – si legge – “sono documenti firmati digitalmente dal mittente, riconoscibili in quanto presentano il suffisso .p7m”.

Non è stata aliunde acquisita la copia autentica della relazione di notifica della gravata sentenza, non avendo il controricorrente allegato tale documento nè risultando lo stesso presente agli atti del fascicolo di ufficio.

2.1. Orbene, in situazioni analoghe, il giudice di legittimità ha affermato – con indirizzo ermeneutico recentemente espresso eppure già più volte ribadito – che in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione sancito, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente della stessa L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica (in tal senso, sulla scia di Cass. 14/07/2017, n. 17450, cfr. Cass. 10/10/2017, n. 23668; Cass. 16/10/2017, n. 24292; Cass. 16/10/2017, n. 24347; Cass. 17/10/2017, n. 24422; Cass. 26/10/2017, n. 25429; Cass. 09/11/2017, n. 26520; Cass. 09/11/2017, n. 26606; Cass. 09/11/2017, n. 26612; Cass. 09/11/2017, n. 26613).

2.2 Appare opportuno, per una migliore comprensione del problema, ripercorrere in sintesi le principali argomentazioni poste a fondamento dell’enunciato principio di diritto, diffusamente illustrate nella sentenza capofila dell’orientamento, la citata Cass. 17450/2017.

Il ragionamento muove dall’individuazione della ratio sottesa alla disposizione dettata dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, (secondo cui con il ricorso debbono essere depositate, a pena di improcedibilità “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”) nell’esigenza – di natura pubblicistica, in quanto correlata all’osservanza del vincolo della cosa giudicata formale – di consentire alla Corte il controllo sulla tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, ove avvenuta la notificazione della sentenza, può avvenire soltanto nel rispetto del cd. termine breve stabilito dall’art. 325 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 10/12/2010, n. 25070; Cass. 16/04/2009, n. 9005; Cass. 09/06/2008, n. 15232; Cass. 01/10/2004, n. 19654).

In quanto finalizzata ad una verifica officiosa, sottratta cioè alla disponibilità delle parti, la produzione, nelle forme rituali, della relazione di notificazione della sentenza non può trovare succedanei in una condotta processuale serbata dai contraddittori, di non contestazione oppure addirittura di esplicita ammissione: ai fini del riscontro della tempestività del gravame, non riveste cioè alcuna valenza la mancata proposizione di eccezione ad hoc da parte controricorrente, nè la conferma ad opera di quest’ultima della avvenuta notificazione della sentenza nella data ex adverso indicata.

Coerente con l’enunciato scopo dell’art. 369 c.p.c., è, invece, l’esclusione della comminatoria della sanzione dell’improcedibilità ove, pur avendo il ricorrente omesso il prescritto deposito, la relazione di notifica risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè il documento sia stato tempestivamente prodotto dal controricorrente oppure perchè esso sia presente tra gli atti del fascicolo di ufficio, trasmesso dal giudice a quo (Cass., Sez. U, 02/05/2017, n. 10648).

La omessa produzione della relazione di notifica della sentenza gravata non sortisce poi effetti inficianti ove l’impugnazione innanzi il giudice di legittimità appaia certamente tempestiva, il che si verifica quando la notifica del ricorso per cassazione, dal lato del ricorrente, si sia perfezionata entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, risultando, in una evenienza del genere, il termine breve ex art. 325 c.p.c., sicuramente rispettato (ex plurimis, Cass. 10/07/2013, n. 17066; Cass. 22/09/2015, n. 18645).

2.3. Gli esposti enunciati, di tenore generale, sulla corretta esegesi dell’art. 369 c.p.c., devono essere armonizzati, da un lato, con la peculiare disciplina dettata per le notificazioni con modalità telematica e, dall’altro, con le specificità del giudizio per cassazione.

Per un verso, la sequenza del procedimento notificatorio svolto dagli avvocati con l’impiego dello strumento della posta elettronica certificata – secondo le regole della L. n. 53 del 1994 – si connota per l’emissione da parte del gestore del servizio di posta elettronica di due documenti in formato digitale, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna (ricevute che segnano il perfezionamento della notificazione rispettivamente per il notificante e per il notificato, alla stregua del principio della scissione degli effetti: Cass., 07/10/2015, n. 20072), entrambi tuttavia inviati dal server all’indirizzo di posta elettronica del mittente: ne segue che la dimostrazione della notifica (e del momento di essa) per il soggetto destinatario non può che avvenire attraverso il messaggio di posta elettronica ricevuto e la “relazione di notificazione (redatta) su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata” del mittente (L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 5).

D’altro canto, occorre tener conto dell’attuale limitata applicabilità nel giudizio di cassazione delle disposizioni sul processo civile telematico (circoscritta alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancelleria delle sezioni civili: D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 10, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221): se infatti presso le Corti di merito le parti possono (anzi, devono) effettuare le loro produzioni con modalità telematiche (cioè a dire con documenti in formato digitale), in sede di legittimità la stessa attività postula, di necessità, la previa “conversione” dei documenti digitali in formato analogico, e, quindi, qualora occorra dar prova della tempestività del ricorso, esige il deposito di copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e della relazione di notifica ad esso allegata.

A disciplinare la descritta situazione ben si attaglia il combinato disposto della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis ed 1 ter, norma che “in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche” abilita l’avvocato ad estrarre copia su supporto analogico “del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna” e ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1.

Nella prospettiva del destinatario della notificazione telematica, l’applicazione della trascritta disposizione impone, dunque, per soddisfare l’onere di produzione stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, la estrazione di copie analogiche del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e dei suoi allegati (tra i quali è inclusa la relazione di notificazione), la redazione di un’attestazione, sempre in forma cartacea, di conformità corredata da sottoscrizione necessariamente autografa (e non digitale: Cass. 23/03/2017, n. 7443) e, infine, il deposito di tali documenti presso la cancelleria della Corte entro il termine ad hoc fissato dal codice di rito.

3. Il principio di diritto di cui si è sin qui discorso, pienamente condiviso dal Collegio, non appare scalfito nella sua correttezza dai rilievi sollevati dal ricorrente ed è altresì applicabile anche alla peculiare vicenda controversa, in appresso meglio chiarita.

3.1. Non sembra in primo luogo giuridicamente apprezzabile l’assunto del ricorrente secondo cui nel procedimento notificatorio disegnato dalla L. n. 53 del 1994, il difensore può estrarre copie analogiche ed attestare la conformità agli originali informatici unicamente degli atti da lui formati oppure dei messaggi di posta elettronica certificata dei quali sia mittente, e non anche di quelli di cui sia destinatario.

Basti, al riguardo, evidenziare come il tenore testuale della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis ed 1 ter, (sopra riportati nella loro integralità) non pone la prospettata limitazione al potere di estrazione ed autentica dell’avvocato, il quale ha ad oggetto, in via generale, i messaggi di posta elettronica ed i relativi allegati, senza alcuna distinzione tra quelli inviati e quelli ricevuti; peraltro, con riferimento ai sistemi di comunicazione a mezzo email, appare inconferente l’evocata nozione di “atto formato” ove si consideri che ogni messaggio di posta elettronica (anche quello di cui l’avvocato sia mittente) è documento informatico generato dal server, ovvero dal gestore del servizio di posta.

3.2. La necessità di documentare la notificazione della sentenza impugnata per cassazione con le modalità anzidette non soffre poi deroga nel caso (costituente l’elemento di peculiarità della fattispecie in esame rispetto a quelle oggetto dei precedenti arresti di questa Corte) in cui il patrocinio del ricorrente in sede di legittimità sia espletato da un avvocato diverso da quello destinatario della notifica telematica della pronuncia, siccome difensore costituito o anche soltanto domiciliatario della parte nel pregresso grado di giudizio.

In siffatta ipotesi, grava sul difensore costituito o domiciliatario, ancorchè sia stato revocato o abbia rinunciato al mandato, l’obbligo non soltanto di informare la parte già rappresentata dell’avvenuta notificazione della sentenza ma altresì di compiere, in maniera tempestiva, le descritte attività (estrazione di copie analogiche del messaggio p.e.c. e della relazione di notifica ad esso allegata ed attestazione cartacea di conformità con sottoscrizione autografa) e consegnare i relativi documenti al nuovo difensore ovvero (qualora non edotto della nuova nomina) alla parte stessa.

Si tratta, a ben vedere, di un differente atteggiarsi del medesimo obbligo del difensore destinatario della notificazione della sentenza in forme tradizionali, tenuto a consegnare, in maniera completa ed utile per l’esplicarsi della successiva – eventuale – attività processuale, gli atti e documenti afferenti il mandato: in ambedue le eventualità della notifica, una declinazione concreta, adeguata alle specificità della vicenda, del più generale dovere di diligenza professionale che l’avvocato, sotto pena della relativa responsabilità, deve serbare nei confronti del proprio cliente, anche se per qualsivoglia ragione sia cessato il mandato (sul tema, Cass. 12/10/2009, n. 21589).

3.3. Ai fini di una statuizione diversa dalla improcedibilità (avendo parte ricorrente provveduto solo al deposito del messaggio di posta elettronica certificata inviato dalla controparte in copia cartacea privo dell’indispensabile attestazione di conformità all’originale ed omesso la produzione della necessaria copia conforme della relazione di notificazione della sentenza) ovvero di una rimessione in termini non appare infine invocabile – come invece dedotto dal ricorrente – un incolpevole affidamento dell’impugnante in applicazione del cd. prospective overruling: il principio affermato da Cass. 17450/2017, infatti, configura una decisione su una questione in precedenza non esaminata, e non già un consapevole mutamento di una consolidata interpretazione del giudice della nomofilachia di una norma processuale (in cui si sostanzia invece l’overruling: tra tutte, Cass. 21/01/2016, n. 1101 e Cass. 23/11/2015, n. 23176).

4. Pur prestando convinta adesione all’univoco orientamento sul tema affermatosi (di cui agli arresti menzionati analiticamente sopra sub p. 2.1.), ritiene il Collegio che la questione sulle modalità di assolvimento dell’onere di produzione della relazione di notifica della sentenza eseguita in via telematica esiga un pronunciamento della Corte nella sua più tipica espressione di organo della nomofilachia: si versa, invero, in questione di massima di particolare importanza, in ragione degli assai incidenti (ed immediatamente percepibili) riverberi di natura pratico-applicativa che da essa scaturiscono, della necessità di un maggiormente sicuro affidamento delle parti e dei loro difensori circa le condizioni di accesso alla ultima istanza di giustizia in ambito nazionale, delle – ancora notevoli – incertezze interpretative che circondano, sotto vari aspetti, il peculiare operare del processo civile telematico nel giudizio di cassazione.

Ricorrono pertanto le condizioni per la rimessione del ricorso al Primo Presidente perchè valuti ex art. 374 c.p.c., l’opportunità di un’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

PQM

La Corte dispone la rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione sull’opportunità della assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione di massima di particolare importanza illustrata in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA