Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30619 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. III, 27/11/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Domenico – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4878-2017 proposto da:

HOTEL MAISON CASA BORELLA SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore V.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA VERDI 9 presso lo studio dell’avvocato STEFANO CRISCI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO CATTANO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE COL DI LANA & GENTILINO SRL, in persona

dell’Amministratore Unico A.D., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO n. 71, presso lo studio

dell’avvocato VALERIO VALLEFUOCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato LORENZO FARINA giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3673/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Hotel Maison Casa Borrella (HMCB) s.r.l. si opponeva a due decreti ingiuntivi ottenuti dalla Col di Lana & c. Gentilino s.r.l. per il pagamento dei canoni insoluti di due contratti di locazione immobiliare, esponendo, per quanto qui ancora rileva, che i beni locati presentavano vizi, pericolosi per la stessa salute di chi ne usufruiva, tali da legittimare la risoluzione negoziale, fermo restando che aveva eseguito lavori i cui oneri avrebbero dovuto comunque scomputarsi dal preteso.

L’opposta resisteva deducendo che le parti avevano concordato la necessità di un cambio di destinazione d’uso connesso ai lavori cui si era impegnata l’opponente a fronte di una riduzione sull’importo dei canoni.

Il tribunale rigettava l’opposizione con decisione confermata dalla corte di appello che, in primo luogo, disattendeva l’eccezione, formulata in seconde cure, di nullità del contratto concluso nella forma della scrittura privata non autenticata, osservando come la documentata rinuncia del locatore al diritto di disdetta alla prima scadenza non potesse trasformare il contratto in discussione da settennale, qual era, in ultranovennale, come preteso dall’appellante, posto che a tale ultima durata non era vincolata la conduttrice avendo mantenuto la facoltà di recesso. In secondo luogo, la corte territoriale affermava che, dal complessivo tenore del contratto e da quanto emerso con l’istruttoria in specie fotografica, risultava come le parti avessero univocamente quanto legittimamente concordato lavori di bonifica a carico della conduttrice in cambio di un significativo abbassamento del canone spalmato in vari anni, sicchè non vi erano i presupposti per la domandata risoluzione contrattuale.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la HMBC s.r.l. formulando tre motivi e depositando memoria.

Resiste con controricorso la Col di Lana & c. Gentilino s.r.l.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1325 c.c., n. 4, art. 1350 c.c., n. 8, art. 2643 c.c., n. 8 e della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27 poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che la facoltà di recesso prevista dal contratto a favore della conduttrice era quella con cui sarebbe stato comunque eterointegrato il contratto ex art. 27, comma 8, della citata sulle sul c.d. equo canone, sicchè la durata negoziale era stata trasformata inevitabilmente, dalla rinuncia del locatore alla facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza, in ultranovennale, con conseguente necessità della forma della scrittura privata autenticata, o dell’atto pubblico, ai fini della sua validità.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 1362,1363 e 1364 c.c., poichè la corte di appello avrebbe omesso di tenere nel dovuto conto la lettera del contratto che attestava la presa visione, da parte della deducente, del solo stato degli immobili e non di quello del relativo terreno in cui, solo successivamente alle movimentazioni inerenti ai lavori, era emersa la presenza di sostanze nocive prima occulte, secondo quanto documentato nella perizia di parte depositata ma travisata dal collegio di seconde cure, che ne aveva erroneamente evinto un inquinamento correlato solo ai cumuli esterni di rifiuti. Al contempo, la corte di appello avrebbe errato nell’interpretazione dell’accordo che prevedeva lavori specificati e diversi da opere di bonifica mai stabilite a carico della conduttrice in chiave di appalto, come invece ipotizzato nella sentenza gravata, laddove dal comportamento successivo alla stipula, e in specie da uno scambio di email tra le parti, avrebbe dovuto trarsi la conclusione opposta, escludendosi la necessità di un mutamento della categoria catastale e comunque un aggravio di costi all’esito dei lavori.

Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1580 e 1229 c.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che i vizi dedotti, in quanto lesivi della salubrità degli incaricati e dipendenti della conduttrice che avrebbero dovuto fruire dei beni, legittimavano la risoluzione anche se occulti, e che qualunque patto contrario ipotizzabile avrebbe dovuto ritenersi in ogni caso nullo perchè contrastante con norme da qualificare di ordine pubblico proprio perchè poste a tutela del richiamato diritto costituzionale.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato per un duplice ordine di autonome ragioni.

La prima consiste nel rilievo per cui la rinuncia alla facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza di cui all’art. 29 Legge sul c.d. equo canone, non comporta la trasformazione del contratto da settennale qual era nel caso di specie, in ultranovennale, con conseguente applicazione della relativa disciplina della forma.

La giurisprudenza che menziona nell’odierno gravame la ricorrente afferisce al tema, all’evidenza del tutto differente, dell’applicabilità della disciplina degli atti di straordinaria amministrazione alle locazioni che, pur essendo infranovennali, superino tale soglia temporale per la suddetta rinuncia (Cass., 29/10/1993, n. 10779).

La sentenza qui gravata osserva che, per qualificare una locazione ultranovennale, entrambe le parti debbono essere vincolate a tale durata, come non avveniva nella fattispecie stante la facoltà di recesso conservata alla conduttrice per esplicita clausola contrattuale.

La ricorrente obietta che la facoltà di recesso in parola (art. 3, trascritto a pag. 19 del ricorso), altro non era che quella in ogni caso imposta dalla legge (della Legge sul c.d. equo canone, art. 27, u.c.).

Questa obiezione è del tutto infondata e al riguardo va solo corretta la motivazione della pronuncia di seconde cure, posto che altro è il diritto del conduttore di recedere “in qualsiasi momento” “qualora ricorrano gravi motivi”, altro è il diritto di disdetta contrattuale alla sua scadenza che il locatario medesimo, a differenza del locatore, manteneva, proprio in correlazione alla durata settennale del negozio.

2.1. La seconda ragione di manifesta infondatezza della censura consiste nel rilievo per cui alla validità, tra le parti, di una locazione ultranovennale, diversamente da quanto deve dirsi rispetto alla sua opponibilità per mezzo della trascrizione, non è necessaria la scrittura privata autenticata o l’atto pubblico, ma è sufficiente anche una semplice scrittura.

La censura confonde, cioè, la validità contrattuale con l’opponibilità a terzi del negozio.

Nè si potrebbe obiettare che al riguardo, sarebbe sceso un contrario giudicato interno, come si allude in ricorso quando (a pag. 17, quarto capoverso) si scrive che, all’interpretazione per cui la scrittura privata autenticata era necessaria alla validità negoziale, “nulla ha avuto da obiettare” la sentenza.

Infatti, la decisione non affronta il profilo, nè esplicitamente nè implicitamente ma univocamente (Cass., Sez. U., 12/05/2017, n. 11799, in specie al punto 9.3.3.1), e dunque non si può ritenere sceso alcun giudicato per la mancata proposizione di un ricorso incidentale condizionato ad opera della controricorrente.

3. Il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

La prima ragione di inammissibilità è dovuta al fatto che la deducente non trascrive compiutamente, in ossequio al requisito di autosufficienza e cioè di specificità delle censure, le clausole contrattuali interessate da queste ultime, ossia, in particolare, gli artt. 8 e 9 dell’accordo.

Al contempo, in specie quanto alla prima di tali censure, deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la parte ricorrente per la cassazione della sentenza non può limitarsi a sostenere un’interpretazione del vincolo contrattuale differente da quella, pur plausibile, fatta propria dal giudice di merito nell’ambito del sindacato di fatto qui non riesaminabile come tale (Cass., 22/06/2017, n. 15471).

In altri termini, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito a un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 15/11/2017, n. 27136, Cass., 17/03/2014, n. 6125, Cass., 25/09/2012, n. 16254, Cass., 20/11/2009, n. 24539).

Ora, il collegio di merito ha ritenuto che dalle clausole di ricognizione dei luoghi, e dalla conformazione degli stessi quale emergente dalla documentazione, in particolare fotografica, prodotta, in uno alla significativa riduzione dei canoni pluriannuali, emergesse la volontà pattizia di rimettere al conduttore, anche nel suo interesse, l’onere di rendere il bene prescelto idoneo all’uso, attraverso i lavori necessari – così dunque dovendosi intendere, senza implausibili tassatività, le loro descrizioni – che avrebbe potuto e dovuto eseguire, direttamente o indirettamente ma sotto il suo coordinamento proprio in quanto diretti all’uso che il contraente ne voleva fare, fermi restando gli oneri economici imputati – nella misura preconcordata e nei complessivi tempi prospetticamente considerati – al locatore.

In questo contesto la corte territoriale sottolinea (pag. 6) che:

la presenza di sostanze nocive quali l’eternit era evidente o agevolmente desumibile dalle “caratteristiche costruttive del manufatto e dalla sua arguibile epoca di realizzazione”;

“sempre alla luce della succitata documentazione fotografica, tale stato dei luoghi era palesemente caratterizzato da componenti di franco degrado, con cumuli di rifiuti intuitivamente connessi all’esercizio della attività della precedente conduttrice e che era prevedibile potessero determinare un percolamento di sostanze, anche insane, nel terreno”.

A fronte di questa interpretazione del contratto e ricostruzione dei fatti, il secondo motivo si risolve nell’inammissibile contestazione di un’ermeneutica negoziale plausibile e nello speculare tentativo, altrettanto inammissibile, di rilettura istruttoria.

Nè il scambio di email sopra menzionato, per come trascritto (a pag. 28 del ricorso), si riverbera sulla suddetta plausibilità interpretativa, avendo riguardo alla variazione catastale che sarebbe eventualmente potuta derivare solo all’esito dei lavori, e sull’esclusione di oneri in relazione ad essa.

Così come non può logicamente essere in alcun modo ostativo il richiamo, invece meramente ed espressamente descrittivo (pag. 7, punto 8, della sentenza di appello), alle modalità dell’appalto per l’esecuzione degli interventi in questione.

In questa cornice è evidente, poi e infine, che la terza censura è infondata, posto che la ricostruita dinamica negoziale non mirava a violare norme di ordine pubblico quale l’art. 1580 c.c., ma proprio a disciplinare in chiave negoziale l’eliminazione dei vizi che potessero incidere sulla salubrità degli ambienti locati.

Ne deriva il complessivo rigetto del ricorso.

4. Spese secondo soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali della controricorrente liquidate in Euro 3.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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