Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30617 del 20/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30617 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

ORDINANZA

sul ricorso 19806-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e
difesa dall’avvocato PAOLO TOSI, giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

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SPADA GIORGIA;
– intimata –

avverso la sentenza non definitiva n. 141/2011 della

CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/03/2011

Data pubblicazione: 20/12/2017

R.G.N. 566/2010;
avverso la sentenza definitiva n. 501/2012 della
CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/08/2012

R.G.N. 566/2010.

RG. 19806/2013

RILEVATO

che, con sentenza non definitiva n. 141/2011, la Corte di Appello di
Venezia ha confermato la pronuncia emessa il 24.6.2009 dal Tribunale
di Verona -con la quale era stata accolta la domanda proposta da
Giorgia Spada diretta ad ottenere, tra l’altro, la declaratoria di nullità
della clausola del termine apposto al contratto intercorso con Poste

sensi dell’art. 8 CCNL 26.11.1994, con riconoscimento di un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato e condanna alla riammissione in
servizio della lavoratrice, mentre con sentenza definitiva n. 501/2012
sempre la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della
suindicata pronuncia del Tribunale di Verona, ha rideterminato il
risarcimento del danno nella misura di 3 mensilità della retribuzione
globale di fatto nonché, in relazione al periodo successivo alla data di
deposito del ricorso giudiziario di 1° grado e fino all’offerta di ripristino
del rapporto di lavoro, al pagamento delle mancate retribuzioni, con
detrazione dell’aliunde perceptum;

che avverso le due decisioni Poste Italiane spa ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria;

che l’intimata non ha svolto attività difensiva;
che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1372 1° comma, 1362 2° comma, 2697 cc e
115 cpc (art. 360 n. 3 cpc), nonché la violazione degli artt. 420 e 421
cpc (art. 360 n. 3 cpc) per essere stata esclusa, dai giudici di merito, la
configurabilità della risoluzione per mutuo consenso tacito; 2) la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e
accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 23 legge n. 56/1987 ed artt.
1362 cc e ss, nonché art. 8 2°c. CCNL 26.11.1994, come integrato
dall’accordo del 25.9.1997 e dai successivi accordi ad esso correlati

Italiane spa, dall’1.9.99 al 30.10.1999, per esigenze eccezionali ai

(art. 360 n. 3 cpc) per avere ritenuto erroneamente la data del
30.4.1998 quale presunto limite di efficacia temporale dell’Accordo del
25.9.1997; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 commi 5 e
6 legge n. 183/2010 (art. 360 n. 3 cpc), con doglianza avanzata in via
subordinata, per avere errato la Corte territoriale nella determinazione
del danno riconoscendo la indennità solo fino al deposito del ricorso di
primo grado e per avere omesso di valutare, nella quantificazione, i
criteri di cui all’art. 8 della legge n. 604/1966;

eccezione di risoluzione per mutuo consenso, l’indirizzo consolidato di
questa Sezione (cfr. tra le altre Cass. n. 5887/2011; Cass. n.
23057/2010) è nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore
dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far
considerare sussistente una risoluzione per mutuo consenso in quanto,
affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia
accertata -sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto
dalle parti e di eventuali circostanze significative- una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad
ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non sussistono vizi logici o errori di diritto: ipotesi queste non
ravvisabili nel caso in esame;

che il secondo motivo non è parimenti meritevole di accoglimento in
quanto, in tema di contratto a termine dei dipendenti postali, con
l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo del 16
gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza
della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
degli assetti occupazionali, fino alla data del 30.4.1998; le assunzioni a
termine effettuate dopo il 30 aprile 1998, come nel caso di specie, -a
prescindere dalla mancata dimostrazione che la complessa e l’estesa
ristrutturazione e riorganizzazione aziendale avesse reso necessario il

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che il primo motivo è infondato: invero, quanto alla questione della

ricorso a quella specifica assunzione a termine di cui il lavoratore si
duole- sono, pertanto, illegittime per carenza del presupposto
normativo derogatorio (Cass. n. 23120/2010; Cass. n. 24281/2011);

che è, invece, fondato, nei limiti di cui appresso si dirà e relativamente
alla sentenza definitiva n. 501/2012, il terzo motivo;

che, invero, per ciò che concerne la quantificazione dell’indennità, la
determinazione tra un minimo ed un massimo della misura della stessa
spetta al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo

17.3.2014 n. 6122; Cass. 31.3.2014 n. 7458): nel caso in esame, i
giudici di secondo grado hanno richiamato i criteri dell’art. 8 della
legge n. 604/1966 con valutazione congrua e logica giungendo alla
quantificazione dell’indennità in tre mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto. Del resto, il riferimento svolto dall’art. 8 citato alle
condizioni delle parti non significa che il lavoratore debba dimostrare
anche gli altri elementi quali la mancata instaurazione di altri rapporti,
la mancata percezione di ulteriori somme a titolo retributivo, il
tentativo di reperimento di altre occupazioni, essendo richiesta una
valutazione complessiva della situazione dedotta in giudizio (cfr. in
motivazione Cass. n. 21932/2014) come ha appunto fatto la Corte
territoriale nel caso concreto;

che, analogamente, in modo corretto non è stato tenuto conto degli
accordi di stabilizzazione, ai sensi dell’art. 32 comma 6 della legge n.
183/2010 perché, ai fini della possibilità di riduzione dell’indennità in
dipendenza dell’applicabilità degli stessi, occorre che la verifica debba
essere effettuata con riferimento alla data di cessazione del rapporto
ed è subordinata alla concreta possibilità per il lavoratore di aderire e
non alla semplice stipula, da parte del datore di lavoro, di tali accordi
(cfr. Cass. 11.2.2014 n. 3027): nella fattispecie in concreto, la stipula
degli accordi citati dalla ricorrente è successiva alla cessazione del
rapporto di cui al contratto a tempo determinato dichiarato nullo per
cui la lavoratrice non era all’epoca della cessazione nelle concrete
condizioni di potere aderire;

che è meritevole di accoglimento, invece, la doglianza formulata in
ordine al periodo di copertura della indennità de qua non essendosi i

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per motivazione assente, illogica o contraddittoria (cfr. Cass.

giudici di secondo grado attenuti al principio (cfr. per tutte Cass. n.
14461/2015), cui si intende dare seguito, secondo il quale l’indennità
ex art. 32 legge n. 183/2010 va quantificata per il periodo compreso
tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con cui il
giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto e non fino al depositoaldii)
di primo grado come, invece, in modo non condivisibile è stato
dichiarato dalla Corte distrettuale;

che la sentenza definitiva deve essere, pertanto, cassata in relazione

Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati il primo ed il secondo; cassa
la sentenza definitiva n. 501/2012 in relazione al motivo accolto e
rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione cui
demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 settembre 2017.

al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di

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