Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30612 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 14/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G., (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato D’ALESSIO

ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FIACCAVENTO MARIO;

– ricorrente –

contro

T.F., (OMISSIS), sia in proprio che quale

procuratore generale di RU.GI. (erede di R.

F.) elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI

55, presso lo studio dell’avvocato CEFALY FRANCESCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato CORSO GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 76/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.G., con atto notificato il 10 settembre 1975, citava in giudizio, davanti al Tribunale di Siracusa, Ru.Fr. ed esponendo che, con atto pubblico del 12 settembre 1955, la propria madre S.S. vendeva al Ru. (con patto di riscatto) un immobile a piano terra sito in (OMISSIS), che non era più di sua proprietà, bensì del deducente che lo aveva ereditato dal padre R.A., il quale lo aveva acquistato dalla moglie S.S., con atto notarile del 18 novembre 1933, chiedeva che venisse dichiarato nullo o inefficace l’atto di vendita del 12 settembre 1955, o, in subordine, che venisse dichiarata la simulazione dello stesso atto in quanto il trasferimento era stato attuato solo apparentemente per garantire il compratore del pagamento di un prestito.

Si costituiva Ru.Fr., sostenendo che l’attore non poteva qualificarsi quale avente causa del padre perchè non aveva accettato la di lui eredità; che l’atto pubblico del 1933 era soltanto fittizio: in ogni caso, che il deducente era diventato proprietario dell’immobile de quo avendolo posseduto da settembre 1955 ininterrottamente, per cui si era verificata l’usucapione acquisitiva.

Il Tribunale di Siracusa, con una prima sentenza non definitiva e con la sentenza definitiva, rigettava l’eccezione, avanzata da Ru., relativa alla simulazione dell’atto di compravendita rogato dal notaio Bonfanti il 19 novembre 1933e ordinava al Ru. di rilasciare al R. l’immobile.

Avverso le due sentenze, interponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Catania, T.F. in proprio e quale procuratrice del figlio Ru.Gi., entrambi eredi di Ru.Fr., chiedendo che venisse dichiarata l’inammissibilità o l’infondatezza della domanda di rivendica dell’immobile sito in (OMISSIS) e che ne venisse dichiarata la titolarità in capo ad essi appellanti quali eredi di Ru.Fr..

Si costituiva in giudizio R.G. chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma delle sentenze impugnate.

La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 76 del 2005, in riforma delle sentenze impugnate ; rigettava la domanda proposta da R.G. e accogliendo la domanda riconvenzionale proposta da T.F., dichiarava che l’immobile sito in (OMISSIS) era di proprietà di T. F. e Ru.Gi.. A sostegno di questa decisione la Corte catanese osservava: a) che erroneamente e senza motivazione era stata affermata la coincidenza tra il garage in contestazione e quello venduta da S.S. al coniuge R. con atto del 18 novembre 1933; b) che andava riconosciuto l’obbligo di R. G. quale erede di S.S., di far conseguire agli aventi causa da Ru.Fr. la proprietà dell’immobile de quo; c) che andava dichiarata l’avvenuta acquisizione del diritto di proprietà in capo ai convenuti per usucapione essendo stato l’immobile posseduto dai predetti ininterrottamente per oltre venti anni.

La cassazione della sentenza n. 76 del 2005 della Corte di Appello di Catania è stata chiesta da R.G. per quattro motivi.

T.F. in proprio e quale procuratrice del figlio Ru.Gi., ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo e il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente perchè tra loro connessi, il ricorrente, R. G., denuncia: a) il vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte: art. 360 c.p.c., n. 5; b) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, c) nonchè, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1159, 1165 c.c.. L. 23 marzo 1973, n. 36 D.P.R. 24 aprile 1973, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

a) Avrebbe errato la Corte di Appello di Catania, secondo il ricorrente, per aver accolto la domanda riconvenzionale proposta da T.F. specificando che “non risultava causa di sospensioni di termini per eventi eccezionali” genericamente addotte dal l’appellato, perchè la difesa dell’attuale ricorrente ripetutamente, nel corso del giduizio, ha eccepito che gli eredi Ru. non hanno maturato il periodo di venti anni per l’acquisto della proprietà per usucapione, per effetto della sospensione dei termini disposta ope legis (da ultimo D.L. 22 gennaio 1973, n. 2 convertito in L. 23 marzo 1973, n. 36 fissata in otto mesi dal D.P.R. 24 aprile 1973) in occasione di eventi eccezionali verificatesi nel ventennio 1955 -1975 In ragione di ciò, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Incorre in vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia a termini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il giudice del merito che consideri genericamente addotte violazioni di legge e norme espressamente indicate dalla parte? b) E di più la Corte catanese, secondo il ricorrente, non avendo tenuto conto della normativa sull’interruzione dei termini ope legis sarebbe incorsa nella palese violazione del disposto dell’art. 113 c.p.c., considerato che avrebbe dovuto autonomamente conoscere e fare retta applicazione dei testi normativi richiamati (Decreto legge, Legge e Decreto Presidente Repubblica), c) Avrebbe errato, altresì, la Corte di Appello di Catania, sempre secondo il ricorrente, per aver ritenuto che al momento della domanda proposta dal R. fosse già maturato il termine legale per l’usucapione ventennale perchè non risultavano cause di sospensione di termini per eventi eccezionali, quando invece la L. 23 marzo 1973, n. 36 e il D.P.R. 24 aprile 1973 prevedevano la sospensione dei termini, legali o convenzionali, di prescrizione i quali importano decadenze di qualsiasi diritto azione od eccezione. In ragione di ciò il ricorrente formula il seguente quesito di diritto:

Le disposizioni del D.L. 22 gennaio 1973, n. 2 convertito in L. 23 marzo 1973, n. 36 e del D.P.R. 24 aprile 1973, recanti la sospensione per eventi eccezionali dei termini di prescrizione e dei termini perentori legali o convenzionali i quali importano decadenze da qualsiasi diritto o azione od eccezione, impediscono per il periodo corrispondente, il maturare del termine di usucapione ordinaria ventennale e del termine per la proposizione della domanda di rivendica del bene immobile pretesamente usucapito? 1.1.= Tutte le tre le censure sono infondate per la stessa ragione e cioè perchè la sospensione dei termini disposta ope legis (da ultimo D.L. 22 gennaio 1973, n. 2 convertito in L. 23 marzo 1973, n. 36 fissata in otto mesi dal D.P.R. 24 aprile 1973) non si riferisce anche all’istituto dell’usucapione.

1.1.a).= E’ giusto il caso di evidenziare che la sospensione dei termini disposta dalla L. n. 36 del 197, riguarda ipotesi di prescrizione e di decadenza, ma non anche l’istituto dell’usucapione perchè l’usucapione non è una prescrizione acquisiti va considerato che un soggetto non acquista il bene che possiede perchè il proprietario di quel bene non esercita il diritto ma perchè possiede per il tempo stabilito della legge.

Il rinvio di cui all’art. 1165 cod. civ. alle norme sulla prescrizione in generale, ed, in particolare, a quelle relative alle cause di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell’usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali ,siccome diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente.

1.1.b) Pertanto, correttamente la Corte di merito ha escluso che nella situazione esaminata si fossero verificate cause di sospensione di termini per eventi eccezionali, così come sostenuto dall’appellante, odierno ricorrente.

2= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di appello di Catania, secondo il ricorrente, per aver accolto la domanda di usucapione ventennale proposta solo in appello, mentre l’originaria domanda della T. era sempre stata relativa all’usucapione decennale. La domanda accolta integrerebbe gli estremi di una domanda nuova non proponibile in fase di appello giusto il disposto di cui all’art. 345 c.p.c.. Sicchè chiede il ricorrente “Proposta dalla parte in primo grado, eccezione riconvenzionale di usucapione decennale a termini dell’art. 1159 cod. civ. incorre nel divieto fissato dal disposto dell’art. 345 c.p.c., il giudice di appello che accolga la domanda riconvenzionale di usucapione ordinaria, ai sensi dell’art. 1158 cod. civ. proposta dalla medesima parte per la prima volta con l’atto di appello? 2.1.= Anche questa censura è infondata e non può essere accolta perchè – come è detto in sentenza – ma come pure è riportato nell’atto di ricorso – Ru.Fr. (oggi gli eredi) nei suoi atti difensivi, di primo e di secondo grado, ha sostenuto che, avendo posseduto l’immobile acquistato dal settembre 1955, si sarebbe verificata l’usucapione acquisitiva. Appare, pertanto, legittimo ritenere che Ru. abbia eccepito un acquisto per usucapione e che il suo richiamo all’usucapione decennale, avesse il senso di chiarire che, nell’ipotesi, sarebbe stato sufficiente accertare gli estremi dell’usucapione abbreviata. E, comunque, ammesso pure che Ru.Fr. avesse eccepito in un primo momento l’usucapione decennale e, successivamente, l’usucapione ventennale, non avrebbe formulato una nuova eccezione o un nuovo motivo inammissibile in appello, ma avrebbe specificato le proprie ragioni e i fatti, già dedotti in giudizio.

2.2.= Va qui evidenziato che la parte, che, nel giudizio di accertamento di un diritto reale, invochi in appello l’usucapione ventennale, dopo che nel giudizio di primo grado abbia dedotto quella decennale, non propone una domanda nuova (improponibile in appello) ma deduce solo un diverso titolo a fondamento della domanda originaria consistente nel riconoscimento di un diritto reale, senza comportarne un’inammissibile mutatio”, perchè, in entrambi i giudizi (di primo e secondo grado) v’era, e resta, un’eccezione, costituita dalle domande che hanno nella proprietà la loro causa petendi.

2.2.a).= D’altra parte, è affermazione costante, in dottrina e in giurisprudenza, che sono nuove le domande: a) che implicano un’indagine su fatti che non appartengono già al processo; b) che propongono fatti diversi da quelli posti a base della originaria domanda; c) che sono fondate su di una causa petendi completamente diversa da quella originaria; d) che postulano un petitum del pari diverso da quello originario. Insomma, sono nuove quelle eccezioni che sconvolgono l’impostazione originaria della domanda costringendo la controparte ad un inopinato mutamento della difesa. Epperò, nessuna di questa ipotesi è rinvenibile nel caso in esame laddove, invece, la parte ha sempre chiesto che venisse accertato di aver acquistato la proprietà del bene oggetto di causa in ragione di un possesso ininterrotto dal settembre 1955.

In definitiva, il ricorso va rigettato e, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1600,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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