Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30611 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. III, 27/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6057/2017 proposto da:

FALLIMENTO A.R., in persona del Curatore Fallimentare

Avv. T.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE ROCCO CAPASSO giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ SGA SPA, in persona del suo

rappresentante amministratore delegato e legale p.t. Dott.

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI SOLIMENE giusta procura in calce al

controricorso;

INTESA SANPAOLO SPA, in persona del suo legale rappresentante p.t.

avv. P.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE, 3, presso lo studio legale RAPPAZZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NICOLA ROCCO DI TORREPADULA giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4161/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso

chiedendo l’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso; con

rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 3/3/2017 il fallimento A.R. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Napoli numero 4161/2016, pubblicata il 23 novembre 2016, affidandolo a quattro motivi. Le parti intimate Intesa Sanpaolo s.p.a. (succeduta nella posizione factor Banco di Napoli) e la Società per la Gestione di Attività SGA (cessionaria dei crediti del factor) resistono e hanno notificato controricorso.

2. La sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello delle odierne resistenti, ha ritenuto che il Tribunale abbia erroneamente considerato che la cessione dei crediti attuata da A.R. con contratto del 1.04.1993, pacificamente rientrante nel novero della cessione in massa di crediti futuri di cui alla L. n. 52 del 1991, art. 3, dovesse avere termine una volta decorsi 24 mesi dalla stipula del contratto di factoring, laddove, di contro, la norma non prevede alcuna limitazione temporale del contratto di riferimento, essendo il limite temporale di 24 mesi riferito alla quantità dei crediti che possono essere ceduti in massa in quell’arco temporale, in base alla stipula di contratti dai quali sarebbero sorti i crediti incassati anche successivamente a tale periodo. Secondo la Corte d’appello il Banco di Napoli (cui è succeduta Intesa S. Paolo s.p.a.) aveva pertanto diritto di ricevere dal debitore ceduto il pagamento di crediti (ceduti in massa dall’imprenditore al factor), maturati successivamente alla scadenza del contratto, perchè derivanti da contratti di fornitura stipulati nell’arco temporale di durata del contratto di factoring, e ha quindi riformato la sentenza del Tribunale che, invece, aveva sancito che il termine di 24 mesi previsto dalla norma rappresenti un limite di efficacia della cessione di crediti futuri, anche per la esatta determinazione dei crediti ivi inclusi, e non un termine entro il quale il cedente, dopo essersi impegnato a cedere i crediti futuri, deve stipulare i contratti dai quali sorgeranno i crediti medesimi.

3. Il pubblico ministero ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il fallimento ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 52 del 1991, art. 3,comma 3, nella parte in cui è stata data la suddetta interpretazione limitativa del contratto. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 c.c., essendo l’applicazione della norma in contrasto con il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto della prestazione oggetto dell’obbligazione; con il terzo motivo denuncia l’omesso esame della circostanza che le somme incassate dal Banco di Napoli si riferiscono ai contratti d’acquisto stipulati oltre 24 mesi dalla stipula dell’atto di cessione di crediti futuri, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, essendo una circostanza dedotta sin dal primo grado, non considerata dalla Corte d’appello, laddove l’attore aveva affermato che, essendo trascorsi più di tre anni dalla stipula dell’atto di cessione, i crediti sorti in virtù di rapporti contrattuali intervenuti dopo il mese di aprile 1995 non potevano essere incassati dal cessionario: l’interpretazione della normativa sul factoring seguita dal tribunale di Avellino aveva messo quindi da parte tale tematica della datazione degli ordini, ma una volta scelta una diversa prospettiva di interpretazione del contratto, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare se la datazione degli ordini fosse nei margini di tempo consentiti dal contratto, rigettando la domanda della banca cessionaria per i crediti derivanti da ordini successivi all’ 1 aprile 1995, coincidenti quantitativamente a pressochè l’intero importo ricevuto in pagamento. Con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda, formulata in primo grado, di dichiarare che il cedente aveva diritto a ottenere la restituzione di tutte le somme percepite dal Banco di Napoli in virtù della richiamata cessione a far data dal 1 aprile 1995, trattandosi di rapporti contrattuali intervenuti tra il cedente e la debitrice ceduta dopo il periodo di efficacia del contratto. Al riguardo sostiene che la Corte di merito si è limitata a una declamazione in astratto, senza verificare in concreto se nel caso di specie la banca cessionaria avesse incassato anche crediti derivanti da contratti conclusi tra cedente e debitore oltre il biennio di durata del contratto.

1.1. Preliminarmente, il ricorso va ritenuto ammissibile, contrariamente a quanto sostenuto dalle parti resistenti, in quanto le censure non hanno carattere astratto e sono autosufficienti, e comunque non è censurabile il fatto che siano state trascritte per esteso parti della sentenza (Cass. 24538/2016). Inoltre le eccezioni o questioni sollevate dal ricorrente non sono nuove, come anche ritenuto dal Pubblico Ministero, poichè il fatto che il Giudice di primo grado abbia ritenuto “inefficaci gli atti di cessione”, l’appello di tale dictum non ha comportato per il ricorrente di dovere assumere una difesa diversa da quella tesa a inquadrare come inesigibili posizioni maturate o venute in essere successivamente, come denunciato dal ricorrente.

2. Il primo e secondo motivo sono infondati, poichè la norma va interpretata nel senso indicato dalla Corte di merito per i seguenti motivi.

2.1. Quanto al primo motivo, attinente alla denuncia di errata interpretazione e applicazione della legge speciale di riferimento, la Corte d’appello ha innanzitutto ritenuto che non è contestata la qualificazione dell’operazione conclusa in termini di “cessione in massa di crediti futuri”, regolata dalla L. n. 56 del 1991, art. 3 e che la disciplina del factoring chiarisce che la cessione in massa di crediti futuri abbia oggetto determinato qualora sia indicato il debitore ceduto riguardo a “crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi”, rilevando che il testo della legge è chiaro con riguardo alla presunzione di determinabilità della “possibile quantità di crediti in esso inclusi”, da individuarsi in relazione ai contratti che saranno stipulati con un debitore già individuato nell’arco di durata temporale del contratto di factoring. Tale interpretazione della norma, indicata a correzione di quella data dal Giudice di prime cure, ha pertanto condotto all’accoglimento dell’impugnazione del factor che si assumeva in diritto di riscuotere crediti futuri ceduti in massa collegati al rinnovo, avvenuto entro il biennio di efficacia contrattuale, del contratto di fornitura sottostante al contratto di factoring, anche se maturati successivamente nei confronti del debitore ceduto.

2.2. In tal caso non è in predicato la validità ed efficacia del contratto di factoring stipulato inter partes e concernente un determinato rapporto di fornitura con un debitore ceduto preventivamente individuato, ma la sua efficacia temporale nel tempo con riguardo ai crediti futuri ceduti in massa che si intendono in esso inclusi nell’arco dei 24 mesi di durata del contratto di factoring. Il ricorrente, in merito, ritiene che in esso non possono essere inclusi crediti futuri, ceduti al factor in massa, che vanno a maturare successivamente al termine finale di durata del contratto. Il factor, invece, ritiene che è sufficiente che il contratto da cui sorge il futuro credito, di cui alla cessione “in massa”, sia stipulato nell’arco del biennio di durata del contratto, potendosi esigere la riscossione di crediti maturati anche successivamente, se collegati a contratti stipulati prima del termine con il debitore ceduto: in tal caso, infatti la cessione avrebbe un oggetto comunque determinabile, relativo a un predeterminato contratto di fornitura (di pietra di gesso), rinnovatosi di anno in anno con lo stesso debitore ceduto fino alla durata massima del contratto di factoring.

2.3. Non è neanche in discussione tra le parti che nel contratto di factoring del 1993 vi fossero già i presupposti per un rinnovo annuale tacito del contratto di fornitura (di pietra di gesso) tra parte fornitrice e parte debitrice, da cui sarebbero sorti un numero indefinito di crediti futuri oggetto della cessione. Tuttavia, sempre in riferimento alla norma da applicarsi, si discute degli effetti di una siffatta interpretazione di tale clausola, tesa a rendere indeterminabile e incerto il contenuto dell’obbligazione da cui sorgono i crediti futuri. I dubbi, in tal senso, sono stati fatti propri anche dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte depositate.

2.4. Quanto alla norma in esame, si osserva, in iure, che la L. n. 52 del 1991, all’art. 3 (cessione di crediti futuri e di crediti in massa) sancisce che: “1. I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno; 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa; 3. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3”. Il disposto normativo, pertanto, non può letteralmente interpretarsi nel senso indicato dal ricorrente, in quanto sul punto, la norma è estremamente chiara e intellegibile in tutto il suo portato.

2.5. Quanto alla censura di indeterminatezza dell’obbligazione che deriverebbe da una simile interpretazione, oggetto del secondo motivo di censura, si osserva che la giurisprudenza ha già affrontato il problema, risolvendolo nel senso della plausibilità dell’interpretazione accolta dalla sentenza impugnata che, in proposito, non considera l’obbligazione futura a contenuto indeterminato o indeterminabile, proprio perchè la legge speciale ha determinato specifici limiti a tale effetto di assoluta indeterminatezza della res oggetto dell’obbligazione contrattuale, attinente alla cessione di un credito futuro.

2.6. In proposito, è condivisibile l’orientamento espresso da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3829 del 15/02/2013 con cui si è sancito che “ai contratti di factoring caratterizzati da una cessione dei crediti di impresa e, pertanto, da una causa prevalente di scambio, trova applicazione della L. n. 52 del 1991, art. 3, il quale prevede, tra l’altro, la possibilità di una cessione in massa che si considera ad oggetto determinato, anche se riguarda crediti futuri nascenti non necessariamente da un contratto già stipulato, ma anche da un contratto ancora da stipulare, purchè in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi”. In motivazione si legge che “la L. n. 52 del 1991, art. 3, disciplina, infatti, la cessione di crediti futuri e di crediti in massa prevedendo, tra l’altro, la possibilità di una cessione in massa avente ad oggetto crediti futuri nascenti non solo da un contratto già stipulato, ma addirittura da un contratto da stipulare (con un limite temporale di ventiquattro mesi)”.

2.7. L’interpretazione data dalla giurisprudenza, pertanto, è nel senso che l’obbligazione oggetto della cessione in massa di crediti futuri sia da considerarsi con oggetto predeterminato o comunque determinabile, e come tale suscettibile di protezione giuridica, posto che è la stessa legge speciale di riferimento che ha, entro certi limiti, sancito la liceità e conformità a un interesse meritevole di tutela di un negozio atipico di cessione di crediti futuri nei confronti di un determinato debitore.

2.8. Tale interpretazione risulta conforme a quanto sancito, più in generale, da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2746 del 08/02/2007 riguardo al contratto di factoring, ove ha stabilito che “il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella L. 21 febbraio 1991, n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 c.c. e segg. – attuata mediante la cessione, “pro solvendo” o “pro soluto”, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (“factor”), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario (“factor”), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto”.

2.9. Anche ove si volesse considerare la situazione che si viene a determinare con la dichiarazione di fallimento del creditore cedente che ha stipulato il contratto di factoring, si osserva che la giurisprudenza ha ritenuto che il rapporto di factoring instaura un’obbligazione che trae origine dal contratto di factor, il quale legittima il factor a pretendere l’obbligazione direttamente nei confronti del debitore ceduto, non comportando il pagamento successivo alcuna sottrazione di risorse alla massa fallimentare, sanzionabile L. Fall., ex art. 44, posto che il factor non è un mandatario del cedente (v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19716 del 02/10/2015).

2.10. La giurisprudenza sopra citata, invero, dimostra che l’interpretazione della legge che regola il factoring accolta dalla Corte di merito si inscrive nell’ambito di una corrente giurisprudenziale sinora mai smentita.

2.11. Per una onnicomprensiva valutazione del portato della L. n. 52 del 1991, art. 3, qui in esame, e della perplessità che può nascere dal fatto che, in tal modo, si possano ricomprendere entro la cornice di tale rapporto anche futuri contratti di vendita (derivanti da ordini) correlati al rapporto di fornitura rinnovatosi entro il biennio, ma sorti successivamente, è necessario soffermarsi sul dibattito che si è creato sulla questione, assai discussa tra gli interpreti, in ordine all’ammissibilità nel nostro ordinamento di una cessione di crediti futuri. In proposito, risulta utile accennare a quelle che sono state le opinioni dottrinali più rilevanti sul tema, il che implica anche l’esame della disciplina sulla vendita di cosa futura sottesa alla cessione di crediti futuri, nascenti da contratti di fornitura di beni e servizi stipulati da un imprenditore che, in tale modo, costituiscono il presupposto di vendite future.

2.12. L’art. 1472 c.c., disciplina la vendita di cose future e, in tale ambito, la dottrina si è chiesta se si possano ricomprendere anche i diritti futuri, derivanti da fattispecie, negoziali o legali, non ancora perfezionate. La risposta, prevalentemente positiva, ha dato adito ad un quesito circa la natura giuridica del negozio in esame. L’opinione prevalente propende per la configurazione di un contratto già perfetto nel quale l’effetto traslativo è procrastinato ad un momento successivo, secondo lo schema della vendita obbligatoria (v. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1069 del 23/02/1981; Cass. Sez 2, Sentenza 20998/2009). Altri ritengono che, invece, non possa considerarsi un negozio perfetto, ma a formazione progressiva: è indubbio, infatti, che fin quando la cosa venduta non acquista un’esistenza autonoma, il contratto produce effetti soltanto preliminari. Gli effetti finali del passaggio di proprietà e del trasferimento del rischio si producono, infatti, con il venire ad esistenza della cosa.

2.13. Prima dell’entrata in vigore della L. n. 52 del 1991, il problema connesso all’ammissibilità della cessione dei crediti futuri era dunque complesso, sussistendo alcuni ostacoli. Il primo ostacolo era costituito dalla normativa codicistica (artt. 1260 e segg.) che disciplina soltanto la cessione dei singoli crediti, non prendendo in considerazione la cessione dei crediti in massa -propria dell’attività d’impresa -. Altro, non meno importante, ostacolo derivava dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 3421 del 2/8/1977 con cui si era affermato che, perchè potesse cedersi un credito futuro, occorreva che, al momento della cessione, esistesse un atto o un fatto da cui il credito potesse derivare. Ciò al fine di garantire la determinatezza o la determinabilità dell’oggetto ex art. 1346 c.c..

2.14. Ma, come esattamente rilevato dalla dottrina più accreditata in materia, tali esigenze sussistono quando si fa riferimento alla cessione di singoli crediti futuri e non in relazione al trasferimento in blocco dei crediti futuri (come avviene nel factoring), poichè la connessione di tale trasferimento all’attività d’impresa garantisce il requisito della determinatezza o della determinabilità sia rispetto all’individuazione oggettiva dei crediti (connessione con la vendita di certi beni o servizi) sia soggettiva (vendita a clienti abituali dell’impresa).

2.15. Alcuni, peraltro, sostengono che, per il factor, lo schema assunto dalla convenzione avrebbe, sempre e solo, natura normativa poichè rimarrebbe libero di stipulare, o meno, le singole cessioni. Ritengono, pertanto, che la convenzione sia commista di un elemento normativo e di uno dispositivo. Altrettanto interessante è la teoria che afferma esservi, nella convenzione, due distinti contratti, quello normativo (in base al quale le parti predispongono le regole giuridiche dirette a disciplinare una serie di negozi eventuali e futuri) ed il preliminare (diretto alla creazione di obblighi giuridici). Altra corrente di pensiero, sostiene che il contratto di factoring è un unico e definitivo negozio di cessione di una massa di crediti presenti e futuri derivanti da transazioni di carattere commerciale: a tal fine si sottolinea come il contratto di factoring, integrato dalle condizioni particolari, costituisca un contratto definitivo da cui nascono diritti ed obblighi per entrambe le parti ed al quale va ricollegato l’effetto traslativo dei crediti d’impresa. Le singole cessioni sono, invece, i momenti attuativi del contratto definitivo.

2.16. I vantaggi di questa ultima costruzione sono relativi alle condizioni di opponibilità del trasferimento dei crediti d’impresa sia verso il debitore che verso i terzi, poichè il factor diviene titolare dei crediti non appena sorgono e prima, invece, sarebbe titolare di un’aspettativa giuridicamente tutelata, almeno rispetto a quei rapporti di durata per i quali, al momento della stipulazione del contratto, è sorto il fatto generatore del credito. Nello stesso senso, peraltro, pare porsi anche la Corte di legittimità nella pronuncia di cui a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3829 del 15/02/2013, sopra richiamata.

2.17. Alla luce di quanto sopra, pertanto, risulta condivisibile la interpretazione adottata dalla Corte d’appello di Napoli che si dimostra coerente sia con la ratio legis, che con l’interpretazione sino ad oggi data alla norma in questione dalla giurisprudenza di legittimità, poichè nel contratto si intendono inclusi i crediti futuri, ceduti in massa, che risultano comunque individuabili in relazione ai contratti fornitura d’impresa stipulati entro l’arco temporale di efficacia del contratto di factoring, non essendo necessario che la loro esistenza ed esigibilità maturi entro lo stesso periodo di tempo, poichè è sufficiente che gli ordini da cui derivano i crediti siano strettamente collegati ai contratti stipulati dall’impresa e con il medesimo imprenditore entro quel periodo di tempo.

2.18. I motivi di censura sollevati dal ricorrente, pertanto, non hanno assolutamente pregio nella situazione considerata dal legislatore, e già risolta con un bilanciamento degli interessi sottesi, proprio perchè la legge ha inteso equilibrare il profilo di eccessiva indeterminatezza dei crediti rafforzando il collegamento funzionale del credito con l’attività di una impresa, il che rende comunque prevedibile e determinabile la massa di crediti futuri, nascente da un contratto di fornitura comunque valevole entro un circoscritto limite di tempo.

2.19. I motivi, pertanto, risultano manifestamente infondati, e dunque inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, in quanto tendono a porre problematiche interpretative già risolte in modo conforme dalla giurisprudenza della Corte, stante il chiaro tenore del disposto normativo dal legislatore e l’equilibrato bilanciamento degli interessi in esso racchiuso.

3. Con i restanti due motivi, il fallimento ricorrente prospetta censure relative all’omessa considerazione, da parte della Corte di merito, della clausola di rinnovo tacito di anno in anno della fornitura di cui alla scrittura privata del 1.4.1993, che “avrebbe costruito un impegno nei fatti sine die a cedere al factor tutti i crediti futuri facenti capo al debitore dell’imprenditore”, e deduce che la Corte di merito non si è pronunciata su tale rilievo e che, soprattutto, non ha considerato che gli ordini di cui si è chiesto il pagamento sono stati effettuati successivamente alla scadenza del contratto.

3.1. Il pubblico ministero esprime, a sua volta, un margine di residuo dubbio sulla correttezza di un’interpretazione che giunga a tale effetto, perchè giudica eccessivamente astratto, per quanto giuridicamente corretto, il ragionamento della Corte di merito, laddove non evidenzia che sia stata effettuata un’analisi specifica della riferibilità degli ordini di acquisto ai contratti-quadro di fornitura stipulati nel biennio, con individuazione della cornice negoziale entro cui classificarli. All’uopo riporta la giurisprudenza resa da Cass. 16820/2015 in tema di invalidità dei contratti finanziari in esecuzione del contatto-quadro, che non inficiano il contratto-quadro, ma le operazioni che seguono a cascata, se non contratte in ossequio alle leggi di protezione degli investitori. Il Pubblico Ministero deduce, pertanto, che l’applicazione della norma data in concreto dalla Corte d’appello, carente di tale analisi, potrebbe condurre a vanificare la portata limitativa della disposizione di legge.

3.2. Quanto a tali motivi che, nel loro insieme, si traducono in una denuncia di omissione di pronuncia, si osserva che le questioni risultano in parte assorbite da quanto sopra detto in ordine alla corretta interpretazione da darsi al contratto e alla circostanza che comunque, non risulta contestato che il rapporto di fornitura collegato al contratto di factoring si sia rinnovato annualmente, e negli stessi termini, sino alla scadenza biennale del contratto.

3.3. Le censure sulla mancata analisi della cornice contrattuale cui ricondurre gli ordini successivi risultano oltretutto inammissibili, in quanto aspecifiche e si riferiscono alla produzione di un elenco di ordini, con emissione di fatture, intervenuti successivamente alla scadenza del contratto di factoring, senza indicazione se essi si riferiscano a contratti-quadro di fornitura diversi o stipulati dopo la scadenza contrattuale del 1 aprile 1995 del contratto di factoring. Difatti i crediti derivanti da ordini, anche successivi a tale data, sono da considerarsi comunque legittimi ove si riferiscano a contratti di fornitura dello stesso tipo stipulati dall’imprenditore cedente con il medesimo debitore ceduto, anteriormente alla scadenza del termine di 24 mesi di efficacia del contratto in cui, appunto, i futuri crediti imprenditoriali risultano essere stati oggetto di cessione in massa.

3.4. La deduzione di nullità della sentenza per omissione di pronuncia o analisi di tale specifica questione, pertanto, non è formulata secondo il principio di specificità e di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, per consentire di valutarne il carattere di decisività e rilevanza, in quanto non precisa quando e come sia stato contestato specificamente che i suddetti ordini, da cui derivano i crediti maturati successivamente alla scadenza del contratto di factoring, si riferiscano ai contratti di fornitura stipulati successivamente, e non in vigenza del contratto.

3.5. Difatti, l’omissione di pronuncia ha rilevanza solo ove risultino pretermessi fatti o questioni di rilevanza decisoria. Per essere il motivo dedotto in coerenza con la nuova formulazione della norma processuale che ammette il sindacato di legittimità su fatti, oggetto di discussione, la cui rilevanza e decisività non è stata considerata dal giudice, il “fatto omesso” avrebbe dovuto essere specificamente allegato, dovendosi la norma coordinare con l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che impongono il requisito di autosufficienza del ricorso in sede di legittimità, in modo da potere individuare “come, dove e quando” tale fatto sia stato allegato e oggetto di discussione processuale tra le parti, sì da permettere alla Corte di verificare se la circostanza omessa (che conduce a un’omissione di pronuncia), nonostante sia stata oggetto di discussione tra le parti, era realmente decisiva ai fini della pronuncia (v. Cass S.U. n. 8053/2014).

3.6. Di contro, la stessa censura, per come è formulata, nella premessa pare volere metter ancora una volta in discussione, sotto il profilo dell’omessa motivazione, l’interpretazione della legge data dalla Corte di merito, risultata del tutto corretta, con riferimento al contratto di factoring, collegato a un contratto d’impresa generatore di crediti futuri in virtù di clausole interne di tacito rinnovo annuale, queste ultime fatte valere sino al termine finale di efficacia del contratto di factoring.

4. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in merito alle spese del giudizio di cassazione da liquidarsi in favore delle parti controricorrenti, nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in 10.200,00, oltre e 200,00 per esborsi, Iva e Cpa in favore di ciascuna parte;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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