Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3061 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2020, (ud. 19/12/2018, dep. 10/02/2020), n.3061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22917/2014 proposto da:

L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL D’OSSOLA

100, presso lo studio dell’avvocato MARIO PETTORINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO PETTORINO;

– ricorrente –

contro

A.S.I.A. NAPOLI AZIENDA SERVIZI IGIENE AMBIENTALE S.P.A., in persona

del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

FIORILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO D’APONTE;

– controricorrente inc.le –

avverso la sentenza n. 258/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/03/2014 R.G.N. 5832/2010.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 24239 resa in data 17.11.2009, accogliendo la domanda di L.R., ha dichiarato la irregolarità del contratto di somministrazione stipulato tra l’art. 1 Agenzia per il lavoro S.p.A. e la Napoli ASIA S.p.A. e, per l’effetto, ha riconosciuto la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il ricorrente e quest’ultima società a decorrere dal 21.7.2006, con diritto del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro e con la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 28.5.2008 alla riammissione in servizio, nella misura lorda mensile di Euro 1.326,72, oltre accessori di legge;

che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata in data 24.3.2014, in parziale accoglimento del gravame interposto da ASIA Napoli S.p.A. – Azienda Servizi Igiene Ambientale, avverso la pronunzia di primo grado, ritenuta l’applicabilità alla fattispecie della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ha condannato la società datrice al risarcimento del danno in favore del L., nella misura di otto mensilità dell’ultima retribuzione lorda mensile di Euro 1.327,72, oltre interessi legali secondo indici Istat dalla maturazione al saldo;

che per la cassazione della sentenza ricorre L.R. sulla base di un motivo;

che ASIA Napoli S.p.A. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale affidato a tre motivi;

che sono state comunicate memorie nell’interesse del lavoratore;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del giudicato interno formatosi sul capo del risarcimento del danno nella sentenza di primo grado e la conseguente nullità della sentenza della sentenza impugnata per violazione e erronea applicazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 e si assume che i giudici di secondo grado siano incorsi nelle menzionate violazioni per avere erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie lo ius superveniens di cui alla disposizione introdotta dalla L. n. 183 citata, art. 32, comma 5, la cui applicazione sarebbe stata assolutamente preclusa per la formazione del giudicato interno;

che, con il ricorso incidentale, si denuncia: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla mancata pronunzia della Corte di Appello sul motivo del rigetto della spiegata eccezione di nullità/inammissibilità della domanda introduttiva del giudizio, non avendo il L. provveduto a spiegare quali mansioni svolgesse realmente ed essendosi limitato a dichiarare di essere stato assunto con mansioni di operatore ecologico; 2), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla mancata pronunzia sul motivo della mancata autorizzazione alla chiamata in causa di art. 1; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine alle conseguenze sanzionatorie della somministrazione irregolare per non avere la Corte di merito “fornito argomentazioni in ordine all’eccezione secondo cui il D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 5, ha modificato gli effetti sanzionatori previsti dell’art. 21, comma 4, non nel senso invocato dal Tribunale, cioè in direzione di un ampliamento delle ipotesi di violazione formale, bensì riducendo le ipotesi di nullità”;

che il motivo articolato con il ricorso principale non è fondato; ed invero, al riguardo, correttamente, i giudici di seconda istanza hanno osservato che, nel caso di specie, non si è formato un giudicato interno, poichè il gravame proposto dalla società ha messo in discussione l’intera pronunzia; per la qual cosa la Corte territoriale è stata investita dell’intera controversia e delle problematiche ad essa connesse, tra le quali, all’evidenza, è compresa l’applicabilità della normativa sopravvenuta, costituita dalla L. n. 183 del 2010, che espressamente si applica anche ai giudizi pendenti (cfr. Cass., S.U. n. 21691/2016); la Corte ha inoltre, motivato con riguardo alla durata del rapporto ed alle dimensioni dell’impresa, la statuizione della misura del risarcimento del danno, individuata in otto mensilità dell’ultima retribuzione lorda;

che, conformandosi alle decisioni di questa Suprema Corte nn. 13404/2014 e 1148/2013, la Corte di Appello ha ritenuto applicabile il regime di risarcimento introdotto dalla L. n. 183 del 2010m, art. 32, comma 5, altresì alla somministrazione di lavoro, sussistendo anche nella fattispecie le condizioni della illegittimità dell’apposizione del termine e la conversione del rapporto. Ed invero il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, prevede, in caso di somministrazione irregolare, che il lavoratore possa richiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore dall’inizio della somministrazione e questa Corte di legittimità, con le pronunzie sopra citate, ha rilevato, sulla base del disposto della norma interpretativa introdotta dalla legge Fornero (L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13), che il legislatore fa, appunto, riferimento ad una pronunzia del giudice che abbia ordinato la ricostituzione del rapporto; e, pertanto, l’utilizzazione del termine “ricostituzione”, da parte del legislatore, induce a credere che si volesse indicare che il concetto di conversione comprende non soltanto i provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche quelli di natura costitutiva, tra i quali rientra quello previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27. E, nella fattispecie, la irregolarità è costituita dalla nullità dell’apposizione del termine: pertanto, tale rapporto, dal quale è scaturita una pronunzia avente carattere costitutivo, dal punto di vista del diritto sostanziale, presenta i requisiti anche di forma per la conversione ai sensi dell’art. 1424 c.c.. A fronte di tali considerazioni, non appaiono pertinenti con riguardo al motivo articolato nel ricorso principale, le considerazioni svolte dal ricorrente nella memoria illustrativa in ordine alla questione concernente la natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore, il quale, dopo la declaratoria giudiziale che ha accertato la illecita interposizione di manodopera, offerte le proprie energie lavorative, non sia stato riammesso in servizio; in tal caso, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni, salvo gli effetti dell’interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3-bis, a decorrere dalla messa in mora (Cass., S.U., n. 2990/2018; v., pure, Cass. n. 27976/2018);

che i primi due motivi del ricorso incidentale – da trattare congiuntamente per motivi di connessione – sono inammissibili; al riguardo, è da osservare che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 24.3.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche sintetiche, ma congrue, poste a fondamento della decisione impugnata; peraltro, in ordine alla pretesa nullità del ricorso introduttivo del giudizio, ed alla mancata autorizzazione alla chiamata in causa di art. 1, la Corte di merito, ha condivisibilmente motivato le ragioni del rigetto dei relativi motivi di appello; peraltro, ove non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., quello con cui il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte è un provvedimento meramente ordinatorio che coinvolge valutazioni discrezionali, perciò non suscettibile di formare oggetto di appello nè di ricorso per cassazione (cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 21706/2019);

che neppure il terzo motivo del ricorso incidentale può essere accolto, in quanto la parte ricorrente non ha indicato analiticamente sotto quale profilo le norme menzionate sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate ed altresì con specifiche argomentazioni tese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); questa Corte, dunque, non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta, che, per quanto innanzi osservato, appare articolata in modo esplorativo e finalizzata, nella sostanza, ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede;

che per tutto quanto in precedenza esposto, sono da respingere sia il ricorso principale che quello incidentale;

che la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini stabiliti in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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