Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3061 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3061 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MANZON ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso 28353-2016 proposto da:
PANTA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE C.F.06304850586, in persona
del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in RONIA,
VIALE GIULIO CESARE n.95, presso lo studio dell’avvocato
PANCRAZIO CUTELLE’ e ANDREA CUTELLE’, che unitamente
e disgiuntamente la rappresentano e difendono;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

sT:vro, che la rappresenta e difende ope legis;
– contro ricorrente –

Data pubblicazione: 08/02/2018

avverso la sentenza n. 2354/37/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALI di ROMA, depositata il 27/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO
MANZON.

Presidente e del Relatore.
Rilevato che:
Con sentenza in data 7 marzo 2016 la Commissione tributaria
regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dalla Panta srl in
liquidazione avverso la sentenza n. 2751/2/15 della Commissione
tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro
l’avviso di accertamento IRAP, IRES, IVA 2006. La CTR osservava in
particolare che doveva considerarsi inammissibile e comunque
infondato il motivo di gravame riguardante l’invalidità dell’atto
impositivo impugnato per difetto della sottoscrizione dello stesso; che
ugualmente dovevano considerarsi infondati i motivi di gravame
inerenti il merito delle pretese fiscali oggetto della lite, risultando le
medesime basate sul metodo presuntivo consentito dalla legge nel caso
di dichiarazione omessa, qual’era quello in questione, ed in assenza di
adeguate contro prove della società contribuente.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società
contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 156,
secondo comma, stesso codice, poiché la CTR ha affermato
l’infondatezza della sua eccezione di invalidità dell’avviso di
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Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

accertamento impugnato per carenza della sottoscrizione (assenza della
qualifica dirigenziale del funzionario sottoscrittore ed irritualità della
delega allo stesso).
La censura è inammissibile.
Va ribadito che «In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di

motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o
costituenti “obiter dieta”, poiché esse, in quanto prive di effetti
giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della
decisione» (Sez. L, Sentenza n. 22380 del 22/10/2014 Rv. 633495 01).
Orbene, è del rutto evidente che sul punto decisionale de quo la
considerazione della CTR in ordine alla infondatezza dell’eccezione in
esame ha natura di obiter dictutn, essendone invece ratio decidendi del rutto
primaria ed assorbente il rilievo preliminare della inammissibilità
dell’eccezione medesima, in quanto proposta per la prima volta in con
il gravame alla sentenza della CTP.
Peraltro tale affermazione del giudice tributario di appello è del rutto
conforme al principio di diritto che «In materia tributaria, alla sanzione
della nullità comminata dall’art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600 del
1973 o da altre diposizioni non si applica il regime di diritto
amministrativo di cui agli artt. 21 septies della 1. n. 241 del 1990 e 31,
comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010, che risulta incompatibile con le
specificità degli atti tributari relativamente ai quali il legislatore, nella
sua discrezionalità, ha configurato una categoria unitaria d’invaliditàannullabilità, sicché il contribuente ha l’onere della tempestiva
impugnazione nel termine decadenziale di cui all’art. 21 del d.lgs. n.
546 del 1992, onde evitare il definitivo consolidarsi della pretesa
tributaria, senza che alcun vizio possa, poi, essere invocato nel giudizio
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interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella

avverso l’atto consequenziale O, emergendo dagli atti processuali, possa
essere rilevato di ufficio dal giudice» (Sez. 5, Sentenza n. 18448 del
18/09/2015, Rv. 636451 – 01).
Con il secondo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc.
civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione di plurime

pretese erariali portate dall’avviso di accertamento impugnato senza
un’ adeguata valutazione dei documenti forniti a riprova dalla
ricorrente medesima, essendo comunque le proprie allegazioni
difensive non contestate dall’Ente impositore.
La censura è inammissibile.
Va ribadito che:
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge
consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento
impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge
implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa;
viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione
del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità,
attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);
-«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può
rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme,
l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli
elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che
l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di
legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è
conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma
solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di
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disposizioni legislative, poiché la CFR ha ritenuto la fondatezza delle

merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne
attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5,
Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01).

limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi
in tali arresti giurisprudenziali.
La ricorrente, peraltro in modo del tutto generico e quindi collidente
con l’ulteriore principio di diritto che «Il giudizio di cassazione è un
giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito
devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in
quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso
sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della
decisione che non consente di riesaminare e di valutare
autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non
può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze
processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la
propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli
accertamenti di fatto compiuti» (Sez. 5, Sentenza n. 25332 del
28/11/2014, Rv. 633335 – 01), sostanzialmente critica con il mezzo de
quo la valutazione delle prove operata dal giudice tributario di appello,
chiedendone appunto inammissibilmente una revisione.
Né peraltro può sopperire a tal fine l’invocato principio di non
contestazione, non essendo la censura incentrata sul vizio di cui al n. 5,
del primo comma dell’art. 360, cod. proc. civ., e comunque data la
totale assenza di autosufficienza e specificità del motivo di ricorso in
ordine alle lamentate lacune motivazionali della sentenza impugnata la
censura medesima non può essere così riqualificata, secondo il
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Lo sviluppo della censura collide radicalmente con le indicazioni sui

principio che « Il principio di non contestazione, di cui all’art. 115,
primo comma, cod. proc. civ., si applica anche nel processo tributario,
ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda
esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e
sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel

2196 del 06/02/2015, Rv. 634386 – 01).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in
dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in curo 2.300 oltre spese prenotate a debito.
\i sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, 10 gennaio 2018

UI

processo, non ritenga di escluderne resistenza» (Sez. 5, Sentenza n.

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