Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30607 del 20/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30607 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso 29115-2015 proposto da:
SAIS SERGIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COPENAGHEN, 10,
GIANPAOLO

presso
PAGLIA,

lo

studio

rappresentato

dell’avvocato
e

difeso

dall’avvocato SERGIO TURRA’ giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
3524

contro

G.S. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamenete domiciliata in ROMA, PIAZZA
DEL POPOLO 18, presso lo studio degli avvocati NUNZIO
RIZZO e PIERLUIGI RIZZO, che la rappresentano e

Data pubblicazione: 20/12/2017

difendono giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 9249/2014 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/01/2015 r.g.n.
3847/2012;

udienza del 20/09/2017 dal Consigliere Dott.
GUGLIELMO CINQUE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

RG 29115/2015

Fatti di causa
1. In data 17.1.1998 la spa Discount Sud, poi incorporata nella
GS spa, licenziò per giusta causa il dipendente Sergio Sais per avere
prestato attività lavorativa a favore di altro esercizio commerciale nel
periodo in cui era assente per malattia.
2.

Impugnato il provvedimento dal lavoratore, con ricorso del

2.11.1998, il Tribunale di Napoli con sentenza del 21.12.99 rigettò la
domanda per mancata dimostrazione circa la tempestività
dell’impugnazione del licenziamento in quanto il documento prodotto,
originale del telegramma, non risultava sottoscritto dal ricorrente.
3.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 25.3.2004,

rigettò l’appello del Sais.
4.

Su ricorso di quest’ultimo la Corte di Cassazione, con

pronuncia del 6.10.2008, cassò con rinvio la decisione osservando
che la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare, ai fini di valutare la
tempestività dell’impugnazione, se fosse stato il lavoratore ad avere
consegnato personalmente l’originale del telegramma o fatto
consegnare, da altri soggetti da lui incaricati, il detto originale.
5.

La Corte distrettuale, adita in sede di rinvio, con sentenza del

4.2.2010 rigettò l’appello rilevando che solo in sede di gravame, e
quindi tardivamente, il Sais aveva chiesto di provare per testi le
suddette circostanze mentre nel ricorso introduttivo non era stato
allegato alcun elemento relativo alle circostanze che chiedeva di
provare in appello.
6.

Proposto nuovamente ricorso la Suprema Corte, con sentenza

n. 3186/2012, cassò nuovamente la decisione di appello ritenendo
che il giudice di rinvio non avrebbe potuto rifiutare l’accertamento
demandatogli ed avrebbe dovut, quindi, attenersi al principio di diritto
affermato in sede di legittimità.
7.

Riassunto il giudizio ad istanza del Sais ed espletata l’attività

istruttoria, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 9249/2014,
i

k

RG 29115/2015

respinse l’originario appello proposto dal dipendente, sia pure con
diversa motivazione, avverso la pronuncia di rigetto, emessa dal
Tribunale della stessa città del 21.12.99, della richiesta di declaratoria
di illegittimità del licenziamento per giusta causa.
8.

A fondamento della decisione la Corte distrettuale rilevò che:

essendo stato sottoscritto dal Sais, comunque era stato da
quest’ultimo personalmente consegnato all’ufficio postale dal quale
era stato spedito alla società datrice di lavoro, per cui la
contestazione del recesso fu tempestiva ed idonea ad impedire la
decadenza dall’impugnazione; b) dal dato testuale della lettera di
contestazione, si evinceva (in particolare dall’inciso “attività
incompatibile con il preteso stato di malattia”) che la condotta
contestata era quella di avere il Sais svolto presso terzi attività
lavorativa (la stessa di ausiliario di vendita che avrebbe dovuto
svolgere presso la società datrice di lavoro) in una situazione di
simulazione dello stato di malattia o, comunque, tale da comportare
l’aggravamento di esso; 3) dalla documentazione prodotta e dalle
risultanze istruttorie condotte in sede di rinvio era emerso che la
società di lavoro avesse fornito la prova del fatto addebitato e, quindi,
della giusta causa di licenziamento; 4) la condotta posta in essere dal
lavoratore integrava una grave violazione dei doveri generali di
correttezza e buona fede nonché degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà e, quindi, costituiva giusta causa di licenziamento;
5) il vincolo fiduciario, a causa di tale comportamento, era stato leso
in maniera irreparabile.
9.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione

Sergio Sais affidato a tre motivi.
10. Ha resistito con controricorso la GS spa.

2

a) dalla prova per testi era emerso che il telegramma, pur non

RG 29115/2015

Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione del disposto di cui all’art. 1 legge n. 604/1966 e dell’art.
2119 cc, in relazione al disposto di cui agli artt. 2967 e 2729 cc
perché erroneamente i giudici di seconde cure avevano ritenuto,

potevano assurgere al rango di prova: in particolare, le relazioni
dell’agenzia investigativa Security Quality Service; la denunzia presso
i Carabinieri sporta il 7.1.1998 da Iacchetti Pietro, responsabile dei
servizi di sicurezza e ispettorato della società nonché la deposizione
del teste Giudice Antonino.
2.

Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa

applicazione del disposto di cui all’art. 132 cpc e, per altro verso,
dell’art. 112 cpc, per motivazione contraddittoria e, in parte,
apparente circa una violazione del principio della proporzionalità tra
sanzione del licenziamento e fatti commessi, essendosi gli
accertamenti investigativi riferiti a quattro giorni, quando, invece, era
stata contestata la prestazione dell’attività lavorativa presso terzi per
un periodo di giorni dodici.
3.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa

applicazione del disposto di cui agli artt. 2087 e 2110 cc, in relazione
al DL n. 463/1983, assumendo che: a) in alcun modo era risultato
che egli fosse guarito in data antecedente alla certificazione medica
cui aveva fatto riferimento la datrice di lavoro nella lettera di
contestazione; b) per il periodo di protrazione dello stato morboso il
lavoratore doveva essere esonerato dalla prestazione; c) il datore di
lavoro, qualora non avesse ritenuto sussistente lo stato di malattia
per tutta la durata della prognosi, avrebbe dovuto rivolgersi ai
competenti organi ispettivi per valutare la verifica delle condizioni di
salute del lavoratore: circostanza che non era avvenuta nel caso in
esame.
3

idonei all’assolvimento dell’onere della prova, elementi i quali non

RG 29115/2015

4.

Il primo motivo è inammissibile.

5.

In primo luogo, infatti, con riferimento alle dedotte violazioni

di legge, difettano gli appropriati requisiti di erronea sussunzione
della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle disposizioni
di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto

in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità
o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 26 giugno 2013 n. 16038; Cass.
28.2.2012 n. 3010).
6.

In secondo luogo, l’inammissibilità consegue anche al fatto

che le doglianze sono essenzialmente intese alla sollecitazione di una
rivisitazione del merito della vicenda ed alla contestazione della
valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il
suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice del
merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011
n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288).
7.

Il secondo motivo è invece infondato.

8.

Giova preliminarmente richiamare il principio sancito da

questa Corte, cui si intende dare seguito, secondo cui in tema di
licenziamento per giusta causa, quando vengono contestati al
dipendente diversi episodi rilevanti sul

piano disciplinare, pur

dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli
atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro
concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non
occorre che l’esistenza della “causa idonea” a non consentire la
prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel
complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli
addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoroindividuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che
giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di
4

contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano

RG 29115/2015

gravità richiesto dall’art. 2119 cc (Cass. 2.2.2009 n. 2579; Cass. n.
11674/2005; Cass. n. 19343/2007).
9.

Per quanto sopra esposto non rileva, quindi, ai fini della

correttezza giuridica delle argomentazioni della Corte di merito, che la
valutazione sulla giusta causa sia stata limitata ai quattro giorni,

aveva riguardato la prestazione di attività lavorativa presso terzi,
durante lo stato di malattia, per dodici giorni di assenza.
10. In ordine, poi, alle doglianze circa la violazione e falsa
applicazione degli artt. 132 cpc e 112 cpc, per motivazione
contraddittoria e in parte apparente sulla violazione del principio di
proporzionalità tra la sanzione del licenziamento e i fatti commessi
(riferiti a quattro giorni), deve rilevarsi che il vizio previsto dal citato
articolo 132 cpc, secondo il consolidato orientamento di questa Corte,
sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza
nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla
formazione del proprio convincimento, rinviando genericamente e

“per relationem”

al quadro probatorio acquisito, senza alcuna

esplicitazione al riguardo, né disamina logico-giuridica che lasci
trasparire il percorso argomentativo seguito.
11. Nella fattispecie in esame, invece, la Corte territoriale con
argomentazioni logiche, coerenti e complete, ha sottolineato che la
condotta posta in essere dal lavoratore, nei limiti dell’accertamento
effettuato, aveva dimostrato la simulazione dello stato di malattia e,
quindi, aveva integrato una grave violazione dei doveri generali di
correttezza e buona fede nonché degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà e, conseguentemente, era idonea a ledere in
maniera irreparabile il vincolo fiduciario, in quanto la società non
avrebbe potuto fare alcun affidamento su un dipendente che,
simulando uno stato di malattia per propri interessi personali e
familiari, si era sottratto all’adempimento dei propri obblighi.
5

4,

oggetto degli accertamenti investigativi, mentre la contestazione

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12. Si tratta di conclusioni chiare, idonee ad esprimere la ratio
decidendi e che rendono prive di fondamento le censure contenute
nel motivo di ricorso.
13. Il terzo motivo è, infine, anche esso inammissibile perché le
censure ivi contenute non sono pertinenti rispetto alla decisione
atteso che tutte le prospettazioni del ricorrente non colgono il senso

della sentenza che ha ritenuto una simulazione dello stato di malattia
e, in relazione ad esso, ha rilevato la sussistenza di una giusta causa
di licenziamento.
14. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere
rigettato.
15. Al rigetto segue la condanna del ricorrente, sebbene ammesso
al gratuito patrocinio, al pagamento delle spese del presente giudizio
in favore della controricorrente atteso che l’ammissione comporta che
lo Stato è tenuto a corrispondere solo le spese necessarie alla difesa
della parte non abbiente (cfr. Cass. 19.6.2012 n. 10053; Cass.
31.3.2017 n. 8388), ma non si estende anche al pagamento delle
spese all’altra parte risultata vittoriosa.
16.11 ricorrente, però, in quanto ammesso in cassazione al
patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto al versamento
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art.
13 comma 1 quater DPR 30.5.2002 n. 115 (Cass. n. 18523/2014).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed
agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte
dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
6

4

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unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 20 settembre 2017
Il Presidente
Dr. Giovanni Amoroso
Il Consigliere est.
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