Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30600 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. III, 27/11/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 27/11/2018), n.30600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16343-2015 proposto da:

SCAM SC A RL, in persona del legale rappresentante pro tempore

Dott.ssa G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALBENGA 45, presso lo studio dell’avvocato RITA BRANDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO BIRGA giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INSIS SPA, in persona del suo Amministratore Delegato, legale

rappresentante pro tempore dott. R.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MASSIMO D’AZEGLIO, 33, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICA MENICI, rappresentata e difesa dall’avvocato

DARIO ARDIZZONE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1563/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di La Spezia, con sentenza in data 18.10.2013 n. 821: a) revocava il decreto ingiuntivo rilasciato in favore di SCAM (Sicurezza Civile Ambientale Marina) soc. cons. a r.l., con il quale si ingiungeva a INSIS s.p.a. il pagamento dei canoni insoluti relativi a tre distinti rapporti aventi ad oggetto la concessione di beni immobili, che le parti contraenti avevano espressamente qualificato, con clausola inserita in ciascun titolo, come – contratto atipico misto di concessione di beni e servizi”, clausola che veniva sussunta dal Tribunale nello schema del negozio bilaterale di accertamento; b) riconosceva a SCAM scarl l’importo di Euro 51.544,22 dovuto a titolo di canoni, nonchè accertava il diritto di INSIS s.p.a. ad agire in rivalsa, nei confronti di SCAM scarl, per l’importo di Euro 14.854,42 che era stata costretta a versare alla Agenzia delle Entrate in seguito ad accertamento fiscale volto al recupero di indebita detrazione Iva per l’anno 2009, rilevando che la ripresa fiscale, inerente ad un distinto atto di concessione, analogo a quelli oggetto di controversia, era imputabile a fatto e colpa della società concedente, avendo l’Agenzia fiscale contestato la indetraibilità dell’Iva sui canoni, non avendo la società locatrice preventivamente esercitato l’opzione per l’applicazione del regime di imponibilità IVA; c) rigettava, invece, la domanda di INSIS s.p.a. volta ad ottenere la condanna alla restituzione di quanto corrisposto a titolo di IVA sulle fatture emesse per canoni relativi alle tre concessioni per i quali era stato revocato il decreto ingiuntivo; d) compensava i rispettivi importi a credito, condannando INSIS s.r.l. al pagamento della eccedenza.

La Corte d’appello di Genova, investita dalla impugnazione proposta da INSIS s.p.a., con sentenza in data 22.12.2014 n. 1563, ha qualificato i contratti relativi alle tre concessioni di beni immobili, diversamente dal primo Giudice, come rapporti di locazione di immobili ad “uso diverso” da quello abitativo, ritenendo non vincolante la clausola definitoria del rapporto pattuita dai contraenti, in quanto nella specie non veniva in questione un affidamento in concessione di beni o servizi pubblici, e non risultava comunque provata, in base all’esame dei bilanci di esercizio di SCAM scarl, la prevalenza nella economia del rapporto dei servizi accessori che, attesa la loro natura, erano da ritenere, invece, meramente strumentali alla obbligazione principale avente ad oggetto il godimento dell’immobile. I Giudici di appello hanno ritenuto che, il mancato esercizio, da parte della locatrice SCAM scarl, della facoltà di opzione relativa alla imponibilità della operazione, fondava la richiesta di condanna restitutoria di INSIS s.p.a. avente ad oggetto le somme indebitamente versate a titolo di IVA sulle fatture emesse per canoni, quantificate nell’importo, non contestato, di Euro 70.126,12 con conseguente obbligo di SCAM scarl di corrispondere ad INSIS s.p.a. l’importo residuo risultante dalla compensazione di tale credito con il debito della conduttrice per canoni insoluti.

La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione da SCAM soc. cons. a r.l. con quattro motivi.

Resiste con controricorso INSIS s.p.a.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1571 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

La ricorrente reitera, infatti, nel motivo gli identici argomenti in fatto dedotti nel giudizio di merito a sostegno della diversa qualificazione dei rapporti come “contratti misti di concessione di beni e di servizi”, venendo di fatto a contrapporre la propria valutazione delle risultanze istruttorie a quella effettuata dalla Corte territoriale alla stregua dell’esame del contenuto delle clausole contrattuali. La ricorrente rimprovera al Giudice di merito di non aver considerato “prevalente” nella economia del contratto l’offerta del servizio di “incubatore di imprese” rispetto alle altre prestazioni sinallagmatiche dello scambio del godimento di un bene immobile dietro pagamento di un corrispettivo. Trattasi evidentemente di una critica del tutto estranea al profilo del vizio di legittimità denunciato, non venendo in questione un “errore di diritto” ma la contestazione dell’accertamento in fatto del contenuto volitivo dei negozi, avendo inteso escludere il Giudice di appello una autonomia dei “servizi accessori” (predisposizione di una sala riunioni e di un punto ristoro – gestito da soggetto terzo -, del cablaggio dello stabile ed assunzione dell’obbligo di manutenzione ordinaria), ritenuti del tutto compatibili con lo schema causale della locazione in quanto meramente strumentali a consentire il godimento del bene immobile, funzionale all’esercizio della attività di impresa della società conduttrice.

Ne segue che la corretta formulazione della critica rivolta al predetto accertamento, se circoscritta all'”errore di fatto”, avrebbe richiesto che fosse specificamente indicato, in conformità ai requisiti della censura indicati nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile – ratione temporis -), il fatto storico “decisivo” che la Corte d’appello aveva omesso di considerare nella individuazione e selezione degli elementi circostanziali indispensabili a ricostruire il voluto negoziale; se, invece, diretta a criticare l’impiego dei criteri ermeneutici legali degli atti negoziali, avrebbe dovuto rispondere ai requisiti di specificità prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e precisati da questa Corte alla stregua del principio di diritto secondo cui, qualora la parte ricorrente intenda impugnare la sentenza per violazione od errata applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss, è suo preciso onere dedurre tale vizio in modo chiaro e specifico: ed infatti la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013).

Nella specie la società ricorrente si è limitata a prospettare un possibile significato, delle disposizioni negoziali (delle quali, peraltro, ha omesso del tutto la trascrizione, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), alternativo e diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, in quanto tale “ex se” inidoneo ad inficiare la corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito, atteso che – ribadendo il principio di diritto costantemente affermato da questa Corte – “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009; id. Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014).

Il secondo motivo (omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) è anch’esso inammissibile.

La ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha trascurato di considerare quale fosse il compito istituzionale assegnato a SCAM scarl, quale società a partecipazione maggioritaria pubblica, in funzione dello sviluppo produttivo ed occupazionale delle imprese, e della attività di recupero di un complesso immobiliare dismesso da adibire a tali scopi. Inoltre il Giudice di appello avrebbe omesso di considerare che il bando di gara diretto alla individuazione della parte contraente, richiedeva ai partecipanti di indicare specifici requisiti inerenti gli obiettivi occupazionali prefissati, la nuova impresa che si andava ad esercitare, l’assolvimento di impegni volti alla innovazione tecnologica.

Indipendentemente dal mancato corretto adempimento prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (i fatti, in ipotesi omessi dal Giudice, vengono riferiti come allegati in comparsa di costituzione e risposta in primo grado, ma viene del tutto omessa la indicazione dei documenti, prodotti in giudizio, dai quali gli stessi risulterebbero comprovati: il riferimento a “prod. n. 3” è del tutto generico e non consente di individuare il luogo processuale in cui reperire il documento: Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1822 del 18/02/2000: id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22607 del 24/10/2014; id. Sez. 5. Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; id. Sez. 1 – Sentenza n. 5478 del 07/03/2018), osserva il Collegio che difetta del tutto l’elemento della “decisività” del fatto storico, atteso che lo scopo istituzionale della società consortile non è elemento che deve ritenersi necessariamente ed automaticamente trasposto nel contratto in concreto stipulato con il terzo (bene potendo rimanere confinato nei motivi che hanno indotto alla conclusione del rapporto locativo), ed in ogni caso detto scopo istituzionale non verrebbe “ex se” ad inficiare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al rapporto dal Giudice di appello sulla base di un accertamento in fatto della oggettiva prevalenza della prestazione di concessione del godimento dell’immobile sugli altri servizi accessori; quanto alla procedura di selezione del contraente, è sufficiente rilevare che gli impegni ed i requisiti prescritti alle imprese per la partecipazione alla gara, vengono a collocarsi in una fase precontrattuale e, in difetto finanche di allegazione contraria, non valgono a modificare il contenuto delle obbligazioni in concreto assunte dalle parti con la successiva stipula del contratto di locazione (con prestazioni accessorie) così come rilevato dal Giudice di secondo grado.

Con il terzo motivo (omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la società ricorrente contesta alla Corte territoriale di non aver considerato che l’esercizio della facoltà di opzione, relativa alla imponibilità IVA dei canoni locativi, doveva intendersi comunque effettuato dalla locatrice, in quanto nei contratti era stata pattuita espressamente la misura dei canoni “oltre Iva al 20%”, risultando specificata, quindi, anche la debenza della imposta, e tanto sarebbe stato sufficiente a ravvisare un esercizio della opzione per “facta concludentia” alla stregua della disciplina normativa introdotta dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 (recante “norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette”), regolamento delegato autorizzato dalla L. n. 662 del 996, che art. 1 stabilisce: “l’opzione e la revoca di regimi di determinazione della imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La validità della opzione e della relativa revoca è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività…”, mentre, al successivo art. 2, comma 3, prevede che la violazione degli obblighi di comunicazione dell’opzione mediante la dichiarazione annuale IVA o la dichiarazione dei redditi, non pregiudica la opzione esercitata per “facta concludentia”, salva l’applicabilità delle previste sanzioni pecuniarie.

Il motivo è inammissibile.

Secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente SCAM scarl, il Tribunale di La Spezia aveva rigettato la domanda di restituzione dell’IVA versata sui canoni locativi, proposta da INSIS s.p.a., argomentando dal fatto che alcun pregiudizio poteva lamentare la conduttrice, trattandosi di una mera “partita di giro”, omettendo in conseguenza l’esame del fatto diretto a negare la pretesa, che era stato oggetto di eccezione di merito dedotta da SCAM scarl nella memoria in primo grado, depositata in data 7.10.2013 (riprodotta in stralcio alla pag. 18-20 del ricorso), secondo cui l’opzione era stata esercitata per “facta concludentia” come previsto dal D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1.

Il motivo di gravame, formulato avverso tale statuizione della sentenza di prime cure dall’appellante INSIS s.p.a., è stato accolto dalla Corte di appello in base alla motivazione per cui il recupero da parte della Agenzia delle Entrate della detrazione d’imposta di cui si era avvalsa INSIS s.p.a. indebitamente (non potendo ritenersi assoggettato il rapporto locativo al regime fiscale IVA, in difetto di previo esercizio della opzione da parte della locatrice SCAM scarl) verrebbe illegittimamente a far gravare definitivamente l’IVA sulla conduttrice, impedita ad avvalersi del sistema di neutralità della imposta volto a traslare sul consumatore finale l’onere economico della imposta, consentendo agli operatori di “scaricare” la imposta attraverso il sistema della detrazione.

Orbene nel caso in cui una domanda od eccezione (nella specie la eccezione di merito concernete l’esercizio della opzione per “facta concludentia”) sia rimasta assorbita nella decisione di merito favorevole alla parte risultata interamente vittoriosa, quest’ultima onde non incorrere, in caso di accoglimento dell’appello proposto dalla parte soccombente, nella preclusione dell’esame da parte del Giudice del gravame per rinuncia delle questioni proposte in primo grado e rimaste assorbite, è onerata dal riproporre nella comparsa di risposta, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande od eccezioni non esaminate dal primo Giudice, dovendo ribadirsi, pertanto, il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a “riproporle” espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 11799 del 12/05/2017; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24658 del 19/10/2017; id. Sez. U -, Sentenza n. 13195 del 25/05/2018).

Osserva il Collegio, “per obiter”, che la tesi sostenuta dalla ricorrente neppure appare fondata, laddove si consideri che la richiamata disposizione del D.P.R. n. 442 del 1997 deve intendersi parzialmente derogata dalla riformulazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 8), operata dalla L. 4 agosto 2006, n. 248 di conversione con modifiche del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (recante: Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), avendo previsto tale disposizione, applicabile alla fattispecie in esame “ratione temporis”, che ” Sono esenti dall’imposta:…..8) le locazioni e gli affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di terreni e aziende agricole, di aree diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria, e di fabbricati, comprese le pertinenze, le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili locati e affittati, escluse le locazioni di fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utiliaione senza radicali trasformazioni effettuate nei confronti dei soggetti indicati alle lett. b) e c) del n. 8-ter) ovvero per le quali nel relativo atto il locatore abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;….”. La previsione legale della necessità di una “dichiarazione espressa” per l’assoggettamento del rapporto al regime IVA, da inserire nel contratto di locazione, evidenzia, infatti, la volontà del Legislatore di derogare, nella specifica materia delle locazioni e degli affitti immobiliari, alla precedente norma del D.P.R. n. 442 del 1997 che consentiva di desumere anche da comportamenti concludenti o da manifestazione di volontà implicite l’esercizio della opzione (vedi: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 848 del 24/01/2002).

Con il quarto motivo (omesso esame circa un fatto decisivo: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) SCAM scarl deduce che la Corte d’appello avrebbe del tutto omesso di considerare l’illecito arricchimento conseguito da INSIS s.p.a. atteso che la società conduttrice avrebbe ottenuto, da un lato, il recupero della imposta versata alla locatrice e, dall’altro, beneficiato del sistema di neutralità dell’IVA, portando in detrazione le medesime somme, tanto più che l’imposta relativa agli anni 2007 e 2008 non potrebbe più essere assoggettata ad accertamento fiscale, essendo decorsi i relativi termini quinquennali di decadenza.

Il motivo è inammissibile, non venendo indicato alcun “fatto storico decisivo”, che sia stato oggetto di verifica istruttoria, trascurato dalla Corte d’appello nella attività di rilevazione e selezione del materiale probatorio: ed infatti, gli elementi fattuali a supporto del motivo, ed in particolare la detrazione da parte di INSIS s.p.a. dell’Iva passiva – corrisposta a SCAM scarl sulle fatture emesse per canoni locativi -, risultano soltanto meramente allegati dalla ricorrente che non è stata in grado di individuare alcun documento od altra prova, ritualmente acquisita al giudizio di merito, diretta alla dimostrazione dell’ingiustificato arricchimento della società conduttrice, difettando pertanto il riscontro probatorio della asserita detrazione dell’Iva passiva da parte della conduttrice. Ed è appena il caso poi di osservare come il relativo onere probatorio gravi sulla società ricorrente, atteso che i fatti costitutivi della domanda di restituzione dell’indebito ex art. 2033 c.c., originariamente proposta da INSIS s.p.a., si esauriscono nella prova dell’effettivo pagamento della somma e della assenza di un titolo causale che giustifichi il pagamento: avendo il “solvens” fornito la dimostrazione di aver corrisposto l’IVA sulle fatture emesse per canoni sebbene non dovuta – alla stregua dell’accertamento fiscale condotto dalla Agenzia delle Entrate -, per paralizzare l'”actio condictio indebiti” l'”accipiens” avrebbe dovuto quindi fornire la prova contraria, non essendo pertinente a tal fine il fatto – peraltro come visto rimasto indimostrato – dell’utilizzo in detrazione di tali somme da parte della contribuente INSIS s.p.a., trattandosi di condotta attinente al rapporto tributario “inter alios”, cui rimane estranea SCAM scarl e che non è oggetto della presente controversia.

Va, dunque, esente dal vizio denunciato la statuizione della Corte territoriale che, anche sulla scorta della verifica fiscale condotta dalla Agenzia delle Entrate (da cui era emersa l’inapplicabilità del regime Iva su altro contratto “analogo” stipulato dalle stesse parti), ha ritenuto che la imposta non fosse dovuta sui canoni relativi ai tre contratti di locazione immobiliare oggetto della controversia (in difetto di esercizio della opzione richiesta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10,comma 1, n. 8), ed ha riconosciuto, in conseguenza, il diritto di INSIS s.p.a. alla restituzione degli importi indebitamente versati a tale titolo alla locatrice.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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