Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30596 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. III, 27/11/2018, (ud. 06/02/2018, dep. 27/11/2018), n.30596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3071-2016 proposto da:

T.L., A.S., A.T., P.D.,

quest’ultima nella qualità di genitore esercente la patria potestà

sui minori A.A. ed A.E. eredi del sig.

AQ.AL., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALCAMO 14, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA LOMBARDI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato UMBERTO GRAZIANI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, già MILANO ASSICURAZIONI SPA, in

persona del suo procuratore speciale Dr. F.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA C MONTEVERDI 16, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3989/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.L., A.S., A.T. e P.D. (quest’ultima nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori A. ed A.E.), tutti in quanto eredi di Aq.Al., ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 3989/15 del 1 luglio 2015, emessa dalla Corte di Appello di Roma, che – rigettando il gravame esperito dagli odierni ricorrenti contro la sentenza n. 11786/09 del 27 maggio 2009, resa dal Tribunale di Roma – ha rigettato la domanda da costoro proposta nei confronti della società Milano Assicurazioni S.p.a. (oggi UnipolSai Assicurazioni S.p.a.), sul presupposto dell’intervenuta prescrizione del diritto azionato.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver convenuto in giudizio – nella già ricordata qualità di eredi di A.A. – la Milano Assicurazioni S.p.a., perchè fosse accertato che l’infortunio in cui aveva perso la vita il loro dante causa rientrava nelle garanzie assicurative previste dalla polizza infortuni contratta dalla Cantieri Navali Riva di Traiano S.r.l. (d’ora in poi, “Cantieri Navali”) a favore del proprio amministratore, ovvero il predetto A.A., con conseguente condanna della convenuta al pagamento dell’indennizzo contrattualmente stabilito nella misura di Euro 129.114,22.

Costituitasi in giudizio la Milano Assicurazioni, la stessa, nel merito, contestava – per quanto qui ancora di interesse – che il sinistro mortale occorso all’ A. rientrasse tra le ipotesi previste dalla polizza (non essendovi prova che costui, in occasione dell’incidente mortale, stesse svolgendo l’attività di insegnamento e controllo dei mezzi presenti nel cantiere della società, attività in relazione alle quali era prevista l’operatività dell’assicurazione), non senza, però, previamente eccepire l’intervenuta prescrizione del diritto nascente dal contratto. Assumeva, infatti, la convenuta che la lettera inviata dalla Cantieri Navali in data 19/20 aprile 2004 non fosse idonea ad interrompere la prescrizione prevista dall’art. 2952 c.c., comma 2, (di durata annuale, trovando nel caso di specie applicazione, “ratione temporis”, il testo della norma suddetta non ancora modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 22, comma 14, convertito con modificazioni nella L. 17 dicembre 2012, n. 221). La missiva, infatti, proveniva dalla società che aveva stipulato il contratto, e non dagli eredi del beneficiario, come imposto. dall’art. 1891 c.c., comma 2, di talchè il primo atto dagli stessi realizzato, astrattamente utile ad interrompere la prescrizione – la richiesta di pagamento dell’indennizzo del 13 aprile 2005 – non era in concreto idoneo a tale scopo, risalendo a quasi due anni dopo il sinistro (avvenuto il (OMISSIS)).

Accogliendo tale eccezione, il Tribunale capitolino rigettava la domanda attorea.

3. Gli eredi dell’ A. proponevano gravame avverso la pronuncia di rigetto della loro domanda, dolendosi – per quanto qui ancora di interesse – innanzitutto dell’affermazione secondo cui la missiva del 19/20 aprile del 2004, in quanto proveniente dal soggetto contraente l’assicurazione e non dal beneficiario (o meglio, stante il decesso di costui, dai suoi eredi), sarebbe stata inidonea ad interrompere il corso della prescrizione, atteso che l’art. 1891 c.c., comma 2, esclude che il contraente possa far valere i diritti nascenti dal contratto “senza espresso consenso dell’assicurato medesimo”. Obiettavano, al riguardo, gli allora appellanti che, essendo il beneficiario della polizza il legale rappresentante della società contraente, il consenso dovesse ritenersi “in re ipsa”. Inoltre, lamentavano gli appellanti che a seguito dell’invio della missiva suddetta erano lungamente intercorse trattative (persino riprese dopo la comunicazione, da parte dell’assicuratore, della reiezione della richiesta di indennizzo) volte alla liquidazione dell’indennizzo stesso, dovendo, dunque, ravvisarsi nel comportamento della Milano Assicurazioni gli estremi della rinuncia tacita alla prescrizione (art. 2937 c.c.), ovvero, quantomeno, del riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere la prescrizione dello stesso (art. 2944 c.c.).

Il gravame era, tuttavia, rigettato dalla Corte di Appello che, in relazione ai motivi testè illustrati, affermava quanto segue.

In ordine, in particolare, alla possibilità di ravvisare “in re ipsa” il consenso del beneficiario, osservava che esso, in realtà, non può essere manifestato se non attraverso una dichiarazione esplicita. Quanto, invece, all’ulteriore doglianza, richiamava il principio secondo cui “le trattative per comporre bonariamente la vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria, e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell’art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva, nè possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione medesima, perchè non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta (senza, cioè, possibilità alcuna di diversa interpretazione) con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto), come richiesto dall’art. 2937 c.c., comma 3, a meno che dal comportamento di una delle parti non risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito, e si accerti che la transazione è mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione del credito e non anche all’esistenza di tale diritto” (Cass. Sez. 3, sent. 27 gennaio 2010, n. 1687, non massimata).

4. La decisione della Corte romana è stata impugnata per cassazione dai ricorrenti sulla base, come detto, di tre motivi.

4.1. Con il primo motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ancorchè tale norma non sia espressamente richiamata) – si deduce “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Si contesta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui gli eredi A. avrebbero effettuato la richiesta di liquidazione soltanto il 13 aprile del 2005 (a prescrizione del diritto ormai maturata), nonchè quella che ha negato l’idoneità della missiva del 19/20 aprile 2004 ad interrompere la prescrizione, in quanto proveniente non dagli eredi del beneficiario dell’assicurazione, bensì dal – nuovo – legale rappresentante della società contraente. Si tratterebbe, invero, di affermazioni entrambe errate, giacchè frutto di “omesso esame di tutta la documentazione prodotta dagli odierni ricorrenti”.

Per un verso, infatti, si sottolinea che il giudice di appello ha omesso di considerare la comunicazione di “apertura del sinistro” inviata già il 29 maggio 2003 dalla compagnia assicuratrice, ciò che confermerebbe l’esistenza di una valida richiesta di liquidazione dell’indennizzo ben prima di quella inviata il 19/20 aprile 2004. Per altro verso, invece, si osserva che da tutta la “copiosa documentazione prodotta dai ricorrenti” emergerebbe che Milano assicurazioni ha sempre e solo interloquito, in relazione alla gestione di detta pratica, con la società Cantieri Navali (e non con gli eredi dell’ A.), inducendo così i medesimi a ritenere “che tutte le comunicazioni – compresa la lettera di interruzione della prescrizione – dovessero pervenire dalla Cantieri Navali”.

4.2. Con il secondo motivo – formulato, questa volta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2937 c.c., comma 3, e dell’art. 116 c.p.c.”.

Si assume, in questo caso, l’erroneità dell’affermazione della Corte capitolina, laddove ha escluso che nel comportamento tenuto dalla Milano Assicurazioni non potesse ravvisarsi una incompatibilità assoluta rispetto alla volontà, successivamente manifestata, di avvalersi della prescrizione (così come ritenuto da Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2002, n. 14909, Rv. 558021-01).

Ci si duole del fatto che a differente conclusione il giudice di appello sarebbe pervenuto ove avesse esaminato – ciò che lamentano non essere avvenuto – la “copiosa documentazione” prodotta da essi ricorrenti, ovvero le missive della Milano Assicurazioni del 3, 21 e 22 dicembre del 2004 (con le quali, rispettivamente, si richiedeva, per poter procedere alla liquidazione dell’indennizzo, una descrizione più dettagliata del sinistro, precisando che tale descrizione dovesse risultare da atti ufficiali, domandandosi, in particolare, la produzione del verbale della ASL e/o degli ispettori che avevano svolto le indagini sul sinistro mortale), nonchè, soprattutto, quella intervenuta il 22 febbraio 2004. Con essa, infatti, si invitavano gli eredi A. “nonostante la già comunicata reiezione della richiesta di indennizzo” (avvenuta il precedente 18 gennaio 2005) – “ad inviare ulteriore documentazione per un nuovo esame della pratica e/o per un appuntamento”.

Particolare rilievo rivestirebbe, secondo i ricorrenti, la mancata valutazione di tale documento, alla luce della pronuncia di questa Corte che – nell’annullare la decisione assunta del giudice di merito, giacchè viziata da violazione proprio delle norme evocate con il presente motivo di ricorso (artt. 2937 c.c., comma 3 e art. 116 c.p.c.) – ha affermato che, in una situazione di pretesa estinzione per prescrizione del diritto all’indennizzo assicurativo, allorchè l’assicuratore “manifesti, con una lettera, l’invito a riprendere la trattativa per la “definizione del sinistro””, il suo contegno “è apprezzabile come comportamento implicante rinunzia ad avvalersi della prescrizione già maturata agli effetti dell’art. 2937 c.c., comma 3” (Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2011, n. 7243, Rv. 617264-01).

4.3. Il terzo motivo – proposto, come il precedente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – “violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.”.

Si ritiene che la valutazione del fitto scambio di corrispondenza intercorso tra essi eredi A. (anche attraverso il proprio broker assicurativo) e la Milano Assicurazioni avrebbe dovuto portare il giudice di appello a ritenere l’esistenza, tra i primi e la seconda, di “una trattativa seria, articolata e specifica, diretta a risolvere stragiudizialmente la controversia”, da interpretare alla stregua di un riconoscimento, da parte della compagnia assicuratrice, del diritto all’indennizzo, come tale idoneo ad interrompere il corso della prescrizione ex art. 2944 c.c., comma 3.

L’esame della documentazione “de qua”, ed in particolare della già citata missiva del 21 dicembre 2004 con cui la Milano assicurazioni “richiedeva espressamente “ai fini autorizzativi per la liquidazione della somma assicurata” una descrizione delle circostanze del sinistro”, confermerebbe che la trattativa in corso concerneva soltanto la liquidazione dell’indennizzo, donde la possibilità di ravvisare i presupposti del riconoscimento del diritto. E ciò alla stregua del principio secondo cui “le trattative di amichevole composizione possono comportare l’interruzione della prescrizione, ex art. 2944 c.c., quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e la transazione sia mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione, ma non anche all’esistenza, del diritto, sicchè, “a fortiori”, l’effetto interruttivo si realizza quando le trattative abbiano avuto ad oggetto esclusivamente la liquidazione del “quantum” e si siano svolte in circostanze e con modalità tali da implicare l’ammissione del diritto stesso” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 24 settembre 2015, n. 18879, Rv. 636989-01).

5. Ha resistito con controricorso la UnipolSai, chiedendo la declaratoria di inammissibilità (soprattutto in relazione al difetto di autosufficienza del ricorso, per mancata trascrizione dei documenti posti a fondamento dei singoli motivi di censura) o, in subordine, il rigetto dell’avversaria impugnazione.

6. I ricorrenti hanno presentato memorie, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1. Tale è la condizione, innanzitutto, del primo motivo.

Invero, i ricorrenti – avendo dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame da parte del giudice, di “copiosa documentazione” intercorsa tra di essi e la compagnia assicuratrice – avrebbero dovuto provvedere a trascriverla nel ricorso, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Difatti, questa Corte ha affermato che, ove venga dedotto “l’asserito omesso esame di un documento” (costituito, oltretutto, nel caso allora deciso come in quello presente, da raccomandate asseritamente “interruttive della prescrizione”), si palesa “necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del documento non valutato (o insufficientemente valutato), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione del contenuto dell’atto nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa” (ex multis, Cass. Sez. Lav., sent. 4 marzo 2014, n. 4980, Rv. 630291).

7.2. Considerazioni analoghe impongono la declaratoria di inammissibilità anche dei motivi secondo e terzo.

In particolare, quanto al primo di essi, se appare corretto il richiamo alla pronuncia di questa Corte (Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2002, n. 14909, Rv. 558021-01) che ha ravvisato falsa applicazione dell’art. 2937 c.c., comma 3, proprio in un caso in cui si era negata, da parte del giudice di merito, la natura di rinunzia ad avvalersi della prescrizione all’invio di una missiva con cui, dopo l’infruttuoso svolgimento di trattative per la liquidazione di un sinistro, l’assicuratore aveva invitato l’assicurato a riprendere le trattative stesse, deve, nel contempo, notarsi che parte ricorrente ha omesso, però, di rammentare che a tale esito questa Corte è pervenuta solo in quanto risultava essere stato soddisfatto l’onere di autosufficienza del ricorso, per essere stata la lettera “riprodotta in parte testualmente, in parte indirettamente”.

Alla stregua di questi stessi principi, dunque, anche il terzo motivo di ricorso va ritenuto carente di autosufficienza, in difetto della trascrizione – in ricorso – della corrispondenza volta a comprovare l’instaurazione di “una trattativa seria, articolata e specifica, diretta a risolvere stragiudizialmente la controversia”, e, soprattutto, idonea porsi (nella prospettiva seguita dai ricorrenti) come dimostrazione dell’avvenuto riconoscimento del diritto all’indennizzo.

La semplice riproduzione per stralci dei documenti “de quibus” (o meglio, solo di alcuni di essi (giacchè i ricorrenti neppure identificano compiutamente tutti gli scritti costituenti la “copiosa documentazione” della quale sarebbe stato omesso l’esame) non può, dunque, bastare per ritenere soddisfatta la condizione di ammissibilità dell’impugnazione ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).

D’altra parte, la necessità di intendere in modo rigoroso l’adempimento previsto da tale norma risulta del tutto coerente sia con l’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato sulla motivazione, ai sensi del “novellato” testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia con l’interpretazione che questa Corte ha offerto dell’attributo della “decisività” che deve connotare, in base alla disposizione da ultimo menzionata, la risultanza documentale della quale si, lamenti la mancata valutazione. Si è, infatti, al riguardo affermato che “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 26 giugno 2018, n. 16812, Rv. 649421-01).

8. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico dei ricorrenti e sono liquidate come da dispositivo.

9. A carico dei ricorrenti, stante l’inammissibilità della proposta impugnazione, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando T.L., A.S., A.T. e P.D. a rifondere alla società UnipolSai Assicurazioni S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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