Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30591 del 20/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30591 Anno 2017
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso 1256-2013 proposto da:
BERNARDINI

LINDA

(BRNLND45S57H501E),

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 82, presso lo
studio dell’avvocato VITTORIO SUSTER, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI
VINCENZO;
– ricorrente contro

MANENTI ANDREA (MNNNDR75E1555555H501X), MANENTI FABIO
(MNNFBA73D3OH501F), domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA
CAVOUR,

presso

la

CANCELLERIA della

CORTE

DI

Data pubblicazione: 20/12/2017

CASSAZIONE,

rappresentati

e

difesi

dall’avvocato

VITTORIO MESSA;
– controricorrenti nonchè contro

BERNARDINI FRANCO,

BERNARDINI ADORINO,

BERNARDINI

– intimati –

avverso la sentenza n. 2630/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 16/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito

l’Avvocato

dell’Avvocato

VINCENZO

LUIGI

BOFISE’,

VINCENZO

con

delega

difensore

della

ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

GABRIELLA, BERNARDINI DOMENICA, BERNARDINI ADRIANA;

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

Fatti di causa
Bernardini Linda, Adorino, Gabriella, Domenica, Adriana e Franco
convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma i sigg. Manenti
Andrea e Fabio, chiedendo che venisse accertata la proprietà di una
corte di circa sette metri di profondità, circondante il fabbricato di

t 0L va. (v)zi&
I
passaggio e sosta anche di auto, condannate i convenuti ad
abbattere il loro fabbricato, perché edificato su terreno agricolo e
senza alcuna concessione edilizia e, comunque, per violazione sia
delle norme sulla distanza, altezza, superficie e cubatura, sia del
codice civile che dei Regolamenti edilizi. A sostegno di queste
domande gli attori esponevano che, con atto del 5 settembre 1950,
Giovanni Bernardino aveva donato ai propri figli e al proprio nipote
Franco un appezzamento di terreno sito in Guidonia Montecelio (ad
Ottavia la particella 18, a Linda le part. 105 e 57,a Clelia le partt.
106 e 109, a Temistocle le part. 108 e 111 / al nipote Franco le
partt. 107 e 110). Con lo stesso atto venivano donati ai figli, al
nipote le partt. 77 e 82 costituenti le strade di accesso ai fondi
frazionati. Il casale con la corte, di cui alla particella 56, che, in
seguito al frazionamento era stato ricompresooalla particella 106,
era stato suddiviso tra i donatari. Le particelle 107, 108, 106, 105
erano gravati, di servitù. Successivamente, Clelia donava al figlio
De Gasperis Alessandro le particelle 252 e 254 (ex 105/b e 106/c).
A sua volta le particelle 252 e 254 con entrostante fabbricato
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loro proprietà e, comunque, in subordine, il diritto di servitù di

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

fatiscente su due piani erano state vendute a Quintino Colle ed
Enzo Gianni nel giugno 1993. Gli acquirenti demolirono la parte del
fabbricato acquistato, realizzando a cavallo tra la particella 252 e
254 un villino bifamiliare di cui due piani fuori terra ed un
seminterrato, che divisero tra loro. Nel frattempo, Gianni trasferì ai

costruzione secondo gli attori insisteva su parte della corte e
violava le distanze legali.
Si costituivano i convenuti, contestando le domande degli attori ed /
eccependo di esser proprietari delle particelle 252 e 254 e
l’inesistenza di diritti altrui; proponevano domanda riconvenzionale
per chiedere la demolizione e retrocessione dell’ampliamento del
fabbricato, che gli stessi attori avevano realizzato, occupando la
particella 254.
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RA1A-

Fspletata l’istruttoria, anche con espletamento di CTU, il Tribunale
di Roma, con sentenza n.30072 del 2004, rigettava tutte le
domande degli attori e anche la domanda riconvenzionale avanzata
dai convenuti. Secondo il Tribunale di Roma, non sussistevano i
presupposti per l’acquisto della proprietà per usucapione, non
sussistevano neppure i presupposti per l’acquisto della servitù, dato
che non era stato dimostrato che la mera esistenza di area non
piantumata fosse stata destinata all’esercizio della servitù, non
risultavano violate le distanze legali tra fabbricati, se non altro
perché i due fabbricati non erano frontistanti.
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sigg. Manenti Fabio e Andrea la sua parte di proprietà del villino. La

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

La Corte di Appello di Roma, pronunciandosi su appello proposto da
Linda, Adorino, Gabriella, Domenica e Adriana Bernardini e
contestualmente su appello proposto da Franco Bernardini, a
contraddittorio integro con sentenza n. 2630 del 2012, rigettava

distrettuale andavano confermate le argomentazioni adottate dal
Tribunale e poste a fondamento del rigetto delle domande degli
attori.
La cassazione di questa sentenza .è stata chiesta da Bernardini
Linda con ricorso affidato a otto motivi, illustrati con memoria.
Manenti Andrea e Manenti Fabio hanno resistito con controricorso.
Bernardini Franco, Adorino, Gabriella, Domenica, Adriana in questa
fase non hanno svolto attività giudiziale.
Ragioni della decisione
1.= Con il primo motivo Bernardini Linda lamenta la violazione e/o
ioG I
falsa applicazione degli artt. 922, V962_} 1062 in ordine alla
distinzione tra i modi di acquisto della proprietà a titolo originario,
rispetto ai modi di acquisto delle servitù per usucapione e per
destinazione del padre di famiglia:; Violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112. Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello,
affermando che la domanda svolta dagli attori non era prospettata
sulla titolarità della corte ex titulo, bensì, esclusivamente, su un
suo acquisto a titolo originario (per usucapione o per destinazione
del padre di famiglia), avrebbe inventato un nuovo modo di
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l’appello e confermava la sentenza impugnata. Secondo la Corte

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

acquisto del diritto di proprietà (per destinazione del padre di
famiglia) e soprattutto, avrebbe confuso la domanda principale con
la domanda subordinata (acquisto della servitù per usucapione o
per destinazione del padre di famiglia). Pertanto, la sentenza
apparirebbe viziata proprio in ordine all’esatta identificazione della

1.1. = Il motivo è infondato. Dal contesto della sentenza appare
evidente che, pur non volendo intendere che il riferimento alla
destinazione del padre di famiglia, come modo di acquisto della
proprietà, fosse un refuso in quanto riferito alla proprietà e non
propriamente al diritto di servitù, quel riferimento, non solo non
comporta alcuna violazione di norme, ma, neppure, alcuna
confusione tra petitum e causa petendi. La Corte distrettuale, in
verità, ha esaminato distintamente prima la domanda di
accertamento della proprietà della corte di cui si dice e, dunque, la
domanda di acquisto della servitù di passaggio per destinazione del
padre di famiglia, rigettandole entrambe.
2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 950 cod. civ. in ordine alle modalità di
identificazione dei confini di proprietà, nonché, omesso esame circa
alcuni fatti decisivi del giudizio, rappresentati dall’individuazione
delle dimensioni della corte da parte dei testimoni, dalla presenza
sulla corte di vari manufatti a servizio dei proprietari del casale,
dalla menzione della corte, anche nel rogito del 1989. Secondo la
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causa petendi degli appellanti.

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe compiuto un’inversione del
modus operandi che avrebbe dovuto seguire perché, prima ancora
della valutazione sulla titolarità del diritto di proprietà della corte i
avrebbe dovuto accertare l’effettiva consistenza dell’area adibita a

ricorrente che, solo dopo aver chiarito l’esistenza e l’esatta
dimensione della corte, il Giudice avrebbe dovuto cimentarsi
nell’esame circa l’animus ed il corpus possidendi. Al fine di
giungere, poi, alla conclusione in ordine all’esistenza o meno della
corte i giudici di merito avrebbero dovuto seguire le regole
giuridiche poste dall’art. 950 cod. civ. per individuare il confine tra i
terreni e prendere atto degli elementi offerti dall’istruzione
probatoria di primo grado.
2.1. = Il motivo è infondato.
In via preliminare, appare opportuno premettere che l’acquisto
della proprietà per usucapione dei beni immobili ha per fondamento
una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del
diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto
sulla cosa da parte di chi si sostituisce a lui nell’utilizzazione di
essa. La pienezza e l’esclusività di questo potere che soddisfano il
requisito dell’univocità del possesso e lo rendono idoneo a
determinare il compiersi della prescrizione acquisitiva vanno dal
giudice di merito apprezzate e valutate non in astratto, ma con
riferimento alla specifica natura del bene, alla sua destinazione

corte pertinenziale del casale. Non sarebbe dubbio secondo la

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

economica e produttiva, alle utilità che esso secondo un criterio di
normalità è capace di procurare al proprietario.
Ora la natura e la stessa struttura dell’azione di usucapione
postulano la certezza del bene che si intende usucapire, nonché la

distrettuale non avrebbe dovuto accertare, come ritiene la
ricorrente, i confini del bene che si pretendeva fosse usucapito
proprio perché l’azione di usucapione è azione diversa dall’azione di
regolamento di confini, perché si usucapisce un bene determinato e
l’azione di usucapione non può che essere svolta per un bene già
identificato e determinato. Piuttosto, la Corte distrettuale ha
accertato che non vi erano elementi, nei titoli, dai quali potesse
desumersi la presenza al momento dell’acquisto da parte dei
Manenti delle part. 252 e 254 e del villino di una corte che
circondasse, anche solo di fatto, il fabbricato e che la stessa fosse
di comproprietà di tutti gli attori.
3.= (a ricorrente lamenta ancora:
a) con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art.
1140 cod. civ. e 1158 cod. civ. in ordine agli elementi per la
qualificazione del possesso ai fini della maturazione dell’usucapione
ventennale, nonché omesso esame circa alcuni fatti decisivi per il
giudizio, rappresentati dalla presenza sulla corte di recinzioni e di
vari manufatti a servizio dei proprietari del casale, nonché della
presenza di contestazioni da parte degli appellanti al momento
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sua identità fisica determinata dai confini. Pertanto, la Corte

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dello spoglio. Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe
errato nell’affermare che le attività che di fatto vi sarebbero state
svolte non attesterebbero in via univoca esercizio di potestà
domeDnicali, avendo trascurato di considerare tutti gli elementi

che per 44 anni la corte fosse nella libera disponibilità degli aventi
causa degli istantij che sulla corte vi era la presenza di manufatti a
servizio dei proprietari del casale provata per test ,1 e per
fotografie, che la zona ad est adiacente al fabbricato era destinata
al parcheggio delle auto ed ad ovest della corte era utilizzata a
pollaio; che Franco Bernardini aveva apposto una rete di
receintione;
b) Con il quarto motivo di ricorso, la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 1061 cod. civ. in ordine al requisito
dell’apparenza della servitù ai fini dell’acquisto per usucapione o
destinazione del padre di famiglia, nonché, omesso esame circa
alcuni fatti decisivi per il giudizio rappresentati dalla comprovata
presenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della
servitù sulla corte. Secondo la ricorrente, la Corte avrebbe, altresì,
errato nell’escludere l’acquisto della servitù in virtù del fatto che
non sussistevano opere visibili e permanenti per l’esercizio della
medesima (servitù apparente), non considerando che la zona ad
est adiacente al fabbricato era, da sempre, destinata a parcheggio
delle autovetture e per effettuare le manovre , che la zona ovest
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offerti. In particolare la Corte distrettuale non avrebbe considerato

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

della corte comune era utilizzata a pollaio e vi era ubicato anche
un forno e che nella zona nord della corte comune era ubicata una
porcilaia. La presenza di opere visibili e permanenti sulla corte era
punto cruciale e presupposto indefettibile per dimostrare sia

destinazione del padre di famiglia, sia la natura stessa della servitù
che non era solo di passaggio.
3.1.= I motivi appena richiamati che, per la innegabile connessione
che esiste tra gli stessi, vanno esaminati congiuntamente, sono
infondati ed, essenzialmente, perché le assunte violazioni di legge
si basano e presuppongono una diversa valutazione e ricostruzione
delle risultanze di causa, censurabile – e solo entro certi limiti sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma
previsto per la formulazione di detto motivo. Va qui ribadito che, in
tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una
norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare
l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di
Cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma
di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la
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l’apparenza della servitù ai fini dell’acquisto per usucapione o per

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cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del
vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero, erronea
applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria

evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la
prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di
causa (in tal senso essenzialmente cfr. Cass. n. 16698 e 7394 del
2010)
Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale ha, con chiarezza,
specificato “non vi sono censure idonee a superare il passaggio
argomentativo secondo il quale le attività che di fatto vi sarebbero
state svolte (per accedere all’immobile, per parcheggiare
l’automobile per depositare materiali e per fare pranzi e cene
d’estate non attesterebbero in via univoca esercizio di potestà
domenicali (….)” E, con riferimento alla servitù, la Corte ha avuto
modo di specificare che “(…) quanto all’asserita acquisizione per
destinazione del padre di famiglia ex art. 1061 cod. civ. mancano,
come già osservato dal primo giudice, elementi sufficienti ad
evidenziare che vi fossero segni visibili dell’esercizio di una servitù,
tali non potendo considerarsi la mera eventuale esistenza di
un’area non piantumata intorno al fabbricato. Ne consegue che i
dati offerti dal CTU a tale riguardo (desuntk, dalle fotografie aeree)
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ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

non appaiono risolutivi ai fini della soluzione della questione
relativa all’area di terreno (….)”. Si tratta come è evidente di una
valutazione della Corte ponderata e priva di vizi logici e, come tale,
non soggetta ad un sindacato nel giudizio di legittimità.

circa un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato
dall’impedimento di aprire una finestra attestato dal CTU con
riferimento alla domanda di risarcimento per violazione della
servitù di veduta. Secondo la ricorrente avrebbe errato la Corte
distrettuale nel rigettare la domanda relativa alla lesione della
servitù di veduta, non tenendo conto del fatto che, ribadito più
volte dal CTU, a seguito di interventi dei confinanti nel 2000 al
Bernardini venisse impedito di aprire una finestra, che era
presente dal 1950 e goduta da 50 anni dai proprietari del casale.
4.1. = Il motivo è inammissibile perché non coglie l’effettiva ratio
della decisione. La Corte distrettuale ha avuto modo di specificare
“(…) che nessun elemento poi attesta che vi sia lesione della
servitù di veduta, nel seno che gli appellanti sembrano dolersi, ma
senza aver esercitato la relativa azione di tutela, (di) una
sostanziale turbativa rispetto all’affaccio che dà sul terreno dei
Manenti (…)”. Ora, appare del tutto evidente che, secondo la Corte
distrettuale, gli appellanti non avrebbero esercitato la relativa
azione di tutela rispetto ad una turbativa all’affaccio che dà sul
terreno dei Manenti e questa esplicita ratio non sembra sia stata
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4.= Con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

censurata. Piuttosto, sarebbe stato necessario che la ricorrente
indicasse quando e con quale atto aveva proposto l’azione cui si
riferisce la Corte distrettuale.
5.= Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa

Guidonia Montecelio, dell’art. 9 del DM 2 aprile 1968 e dell’art. 61
cod. proc. civ. per omessa motivazione in ordine alla mancata
valutazione delle risultanze della CTU. Secondo la ricorrente, la
Corte distrettuale nell’affermare che “emerge dalla CTU che gli
stessi edifici non si fronteggiano e stando alle misurazioni indicate
(distanze di mt 3,70 tra i due spigoli) non si evince un contrasto
con le prescrizioni di cui agli artt. 905 e 907 cod. civ. né con
norme regolamentari (….)” non avrebbe tenuto conto che dalla CTU
emergeva che “(…) la distanza minima dovrebbe essere almeno
pari all’altezza del fabbricato più alto mentre, nel nostro caso, è di
circa la metà essendo il villino alto sul piano di campagna al colmo
del tetto, non meno di 6,57 metri lineari non rispettando quindi le
distanze previste in zona agricola (…)”. Piuttosto, la Corte
distrettuale non avrebbe indicato, e lo avrebbe dovuto fare, le
ragioni per le quali avrebbe disatteso le conclusioni del CTU. Non
solo, ma la sentenza impugnata non avrebbe neppure applicato
correttamente la normativa regolamentare, posto che l’art. 5 delle
NTA del PGR del Comune di Guidonia prescrive che dovranno esser
rispettati i limiti di distanza fra i fabbricati contenuti nell’art. 9 del
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applicazione dell’art. 5 comma IV, delle NTA del PRG del Comune di

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DM 2 aprile 1968, il quale prevede che la distanza minima sia pari
all’altezza del fabbricato più alto.
5.1. = Il motivo è infondato.
Va qui osservato che il comma sesto dell’art. 5 delle NTA del PRG

dell’art. 2 del DM 2 aprile 1968 che prevede “(….) il
fronteggiamento, anche parziale dei fabbricati ai fini del calcolo
delle distanze tra i medesimi, fronteggiamento che la Corte
distrettuale ha escluso proprio in ragione di quella CTU contenente
errate conclusioni giuridiche
Correttamente, dunque, la Corte distrettuale ha affermato,
conclusivamente, e sia pure in forma sintetica, che, nel caso
concreto, non emergeva un contrasto con norme regolamentari.
6.= Con settimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (il noto principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) in ordine alla
mancata pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni a
carico del casale e quantificati dal CTU. Secondo la ricorrente, la
Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di
risarcimento danni a carico del casale provocati dai lavori intrapresi
dai convenuti e loro aventi causa. Per altro, la Corte distrettuale
non avrebbe tenuto conto delle conclusioni della CTU, secondo cui i
lavori di realizzazione del villino avevano comportato “(….)
fenomeni di umidità ascendente, derivanti dal terrapieno, per
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del Comune di Guidonia opera un rinvio recettizio al dettato

RG. 1256 del 2013 Bernardini – Manenti

capillarità ed, anche, per imbibizione della parete di confine per
l’innaffiamento di quanto piantumato nel giardino.
6.1.= Il motivo è inammissibile per novità dell’eccezione. Come si
apprende dalla lettura dell’atto di costituzione e risposta in appello i

danni per perdita di aria, luce, veduta, ma non anche come viene
detto con il ricorso il risarcimento dei danni dovuti a “(….) fenomeni
di umidità ascendente, derivante dal terrapieno, per capillarità ed
anche per imbibizione della parete di confine per l’innaffiamento di
quanto piantumato nel giardino “. E’ ius receptum, che i motivi del
ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità,
questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio
d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di
legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non
trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni
rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità per novità della censura, ha l’onere, non solo di
allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del
merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio
lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di
controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminarne il merito.
8.= Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. (in ordine alla
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sigg. Bernardini avevano avanzato domanda di risarcimento dei

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condanna parziale alle spese in caso di soccombenza parziale) e
112 cod. proc. civ. (principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato), Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe
omesso di pronunciarsi su una domando. di usucapione proposta dai

dichiarare inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. civ. Ove la Corte
distrettuale avesse esaminato la domanda di cui si dice e la avesse
dichiarata inammissibile gli appellati sarebbe stati soccombenti
parziali e il regolamento delle spese avrebbe dovuto compensare le
spese del giudizio e non porle a solo carico degli appellanti.
8.1.= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perché risulta
dall’atto di costituzione in appello dei Manenti che gli stessi hanno
formulato un’eccezione di usucapione della porzione di terreno in
contesa, al fine di ottenere il rigetto delle pretese avversarie, ma,
non anche, una domanda autonoma di accertamento del diritto di
la Corte distrettuale
■_
proprietà. Trattandosi di eccezione -&—diféliù
non avrebbe dovuto, come ha fatto, rigettare una domanda ma kiTai
disattesig l’eccezione difensiva. Pertanto, l’eccezione di cui si dice
essendo un’eccezione difensiva non poteva produrre, come non ha
prodotto, alcun effetto in ordine al regolamento delle spese.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del
principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannata a
rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio,
che vengono liquidate con il dispositivo.
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Manenti (appellati) che in quanto domanda nuova avrebbe dovuto

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PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare a
parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione
che liquida in C. 4.200,00 di cui C. 200,00 per esborsi, oltre spese

Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile
della Corte di Cassazione il 10 luglio 2017
Il Consigliere relatore
Il Presidente
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ano Giudiziario

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generali, pari al 15% del compenso, ed accessori, come per legge.

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