Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3059 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. II, 10/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 10/02/2020), n.3059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19977/2018 R.G. proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’avv. Lorenzo Pilon, con

domicilio eletto in Roma, Via Latina n. 276, presso lo studio

dell’avv. Sandro Riccobelli.

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DI DISCIPLINA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI,

PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI LODI, in persona del

Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Vittoria

Scandroglio, con domicilio eletto in Roma, Via Trionfale n. 5697,

presso l’avv. Domenico Battista;

– controricorrente –

avverso la decisione del Consiglio nazionale dell’ordine degli

architetti n. 17/2018, depositata in data 18.5.2018;

Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del giorno 7.11.2019

dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

Udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Sgroi Carmelo, che chiesto il rigetto del ricorso.

Uditi l’avv. Sandro Riccobelli e l’avv. Vittoria Scandroglio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del tribunale penale di Trento n. 179/2014, l’arch. C.A. è stato condannato alla pena della reclusione di anni uno e mesi sei e al pagamento di Euro 500,00 di multa, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di cui agli artt. 61,11,81,100 e 646 c.p., per essersi appropriato di somme di pertinenza del Condominio (OMISSIS), pari ad Euro 150.000,000.

Passata in giudicato la sentenza di condanna in data 21.6.2016, il Consiglio dell’ordine degli architetti ha sottoposto il ricorrente a procedimento disciplinare, disponendone – all’esito – la cancellazione dell’albo.

Il provvedimento sanzionatorio è stato confermato dal Consiglio nazionale degli architetti, a parere del quale:

a) il ricorso doveva dichiararsi – in via preliminare – inammissibile, non contenendo alcuna indicazione dei fatti di causa, ossia di un elemento “non rinunciabile per porre l’organo giudicante in condizione di individuare le ragioni a sostegno della richiesta di annullamento”.

b) le contestazioni mosse al ricorrente in sede penale avevano determinato un forte discredito per la categoria professionale, per aver il ricorrente disatteso l’obbligo di tenere una condotta morale specchiata, avendo perso il diritto a mantenere l’iscrizione all’albo;

c) nonostante la riduzione di pena dovuta al rito abbreviato, l’appropriazione indebita ascritta al C. risultava particolarmente grave, perchè commessa con più azioni criminose, legate dal vincolo della continuazione, consumate in occasione dell’incarico conferito dal Condominio ed infine per la rilevante entità del danno patrimoniale cagionato alle parti offese;

d) i fatti non potevano ritenersi estranei allo svolgimento dell’attività professionale, dato che il ricorrente aveva ammesso, nel corso del procedimento, di aver affiancato l’amministratore del Condominio in qualità di tecnico, e di essersi relazionato, in tale veste, con l’assemblea, indicando i lavori che sarebbe stato opportuno compiere per mantenere in efficienza l’edificio, per cui l’occasione per diventare successivamente amministratore e porre in essere l’appropriazione indebita era stata fornita proprio dalla sua veste tecnica di architetto, avendo inoltre compensato le somme prelevate dai conti condominiali, con i crediti professionali.

Per la cassazione di questa decisione, C.A. ha proposto ricorso in 6 motivi.

Il Consiglio di disciplina dell’ordine degli architetti ha proposto controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia – letteralmente – la violazione dell’art. 11 del codice deontologico, lamentando che il Consiglio nazionale abbia applicato le norme professionali entrate in vigore l’1.1.2014 a condotte consumate negli anni 2007/2011, in violazione dei principi di legalità e di irretroattività delle leggi sanzionatorie.

Il secondo motivo denuncia – genericamente – la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la pronuncia ritenuto inammissibile il ricorso, poichè carente dell’esposizione dei fatti di causa, trascurando che l’atto – a pag. 3 – conteneva una puntuale esposizione delle vicende che avevano condotto alla cancellazione dall’albo e riportava il contenuto della pronuncia dell’Ordine territoriale.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il Consiglio confermato la sanzione in base alla sentenza penale di condanna, senza menzionarne gli estremi, senza riportarne il contenuto e senza indicare l’organo giudicante e la condotta sanzionata in sede penale, avendo respinto il motivo volto a censurare l’analoga carenza presente nella prima decisione, adottando un’inammissibile motivazione per relationem.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 11, 41, del codice deontologico, R.D. n. 2537 del 1925, artt. 7, 20, 46, L. n. 1938 del 1874, art. 28, parte prima, e R.D. n. 601 del 1931, art. 12 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando4 che, ai sensi delle norme deontologiche e delle linee guida in tema di procedimenti disciplinari, il Consiglio avrebbe dovuto valutare nuovamente i fatti di causa ed apprezzarne la gravità, poichè la cancellazione dall’albo non era conseguenza automatica della condanna penale, potendo essere disposta solo qualora i I ricorrente avesse riportato una pena superiore al carcere, ossia alla reclusione superiore a tre anni.

Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 11, 37, 40 del codice deontologico e il R.D. n. 2537 del 1925, art. 47 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la decisione omesso di valutare – ai fini della legittimità della misura irrogata- la reiterazione della condotta e le circostanze soggettive e soggettive dell’infrazione, e per aver omesso di graduare la sanzione in base a tutte le circostanze del caso concreto, occorrendo, per i fatti estranei all’esercizio della professione, la concreta lesività dell’onore e del prestigio della categoria professionale.

Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il Consiglio nazionale ritenuto che la condotta fosse lesiva del prestigio della categoria in base ad argomentazioni meramente tautologiche, trascurando che il ricorrente aveva ottenuto la nomina ad amministratore in quanto già condomino dello stabile, ed aveva percepito i soli compensi deliberati dall’assemblea, senza avvalersi della qualifica professionale rivestita, che, peraltro, non aveva assunto alcun rilievo in relazione ai fatti contestati.

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto nei confronti del Consiglio nazionale dell’ordine degli architetti e del Consiglio di Disciplina dell’ordine degli architetti di Lodi, entrambi privi di legittimazione passiva.

Deve osservarsi che il D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, lett. f), convertito con L. n. 148 del 2011 ha riformato gli ordinamenti professionali, disponendo – per quanto qui interessa – l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari.

Il D.P.R. n. 137 del 2012, art. 8 ha previsto l’istituzione dei Consigli di disciplina territoriali, cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo.

I componenti dei Consigli di disciplina territoriali sono nominati dal Presidente del tribunale, nel cui circondario hanno sede, tra i soggetti indicati in un elenco di nominativi predisposti dai corrispondenti Consigli dell’ordine.

La Delib. 16 novembre 2012, art. 1 del Consiglio nazionale degli architetti ha precisato che il Consiglio di disciplina ha la funzione di valutazione preliminare, istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti, con piena indipendenza di giudizio e con autonomia organizzativa ed operativa, nel rispetto delle disposizioni di legge e regolamentari relative al procedimento disciplinare.

Conformemente a quanto già ritenuto da questa Corte con riferimento agli organi di disciplina istituiti in attuazione dei principi di cui al D.L. n. 138 del 2011 e nel quadro delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 137 del 2012, deve dunque ribadirsi che detti organismi svolgono funzioni proprie, nettamente separate dai compiti di sorveglianza affidati ai Consigli territoriali.

La posizione di autonomia organizzativa, di terzietà e l’assenza di compiti di sorveglianza li rendono – quindi – privi di qualunque interesse ad agire o resistente in giudizio (in questi esatti termini, con riferimento agli ordini di disciplina degli avvocati: Cass. 16933/2017; Cass. 26148/2017, nonchè, con riferimento al Consiglio di disciplina dell’ordine dei geometri, Cass. 2695/2019). In definitiva, il ricorso andava proposto verso il Consiglio dell’ordine professionale di Lodi, tenuto alla sorveglianza degli iscritti all’albo, e al Procuratore della Repubblica competente per territorio, cui spetta il potere di vigilanza sull’esercizio delle funzioni dei Consigli degli ordini professionali e sullo svolgimento delle professioni.

Il ricorso in cassazione deve – perciò – dichiararsi inammissibile poichè non notificato ad alcuno degli indicati contraddittori necessari, senza che possa rilevare la notifica al Consiglio nazionale o al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione (Cass. s.u. 991/1998; Cass. s.u. 4209/1982). Le spese seguono la soccombenza, con liquidazione in dispositivo. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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