Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30589 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 26/11/2018), n.30589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3576-2018 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AL QUARTO

MIGLIO 50, presso lo studio dell’avvocato ROSA CARLO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1157/2017 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Il Tribunale di Bologna con sentenza 20.6.2017, per quanto ancora interessa, ha confermato la condanna di P.G. al pagamento della somma di Euro 954,42 oltre interessi in favore dell’avv. C.M. a titolo di residuo compenso professionale per l’attività difensiva svolta unitamente all’avv. B.G. in un giudizio (n. 2058/07) svoltosi davanti alla Corte d’Appello di Bologna.

Il giudice del gravame, nel respingere il secondo motivo, ha ritenuto che (nel caso di specie/vi fosse un rapporto diretto tra il P. e l’avv. C.. Ha poi considerato irrilevante il fatto che l’avvocato C. riferisse all’avv. B., essendo logico e coerente nel rapporto tra codifensori.

2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione il P. sulla base di un solo motivo contrastato con controricorso dal professionista.

Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2232 e ss, nonchè degli artt. 1719 e ss. quanto alla distinzione tra rilascio di procura ad litem e conferimento di mandato difensivo, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. quanto ai fatti dedotti e non contestati. Secondo il ricorrente il Tribunale non avrebbe considerato che il rilascio della procura non necessariamente implica la sussistenza omologo rapporto contrattuale di mandato tra rappresentante e rappresentato. Ancora, rileva che le sue affermazioni circa l’inesistenza di rapporti col C. non avevano formato oggetto di contestazione da parte di quest’ultimo e che il C. s limitava a predisporre note spese che inviava all’avv. B..

Il ricorso è inammissibile per difetto di interesse.

Secondo un principio, costantemente ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Sez. 1 -, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017 Rv. 645076; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017 Rv. 643802; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011 Rv. 619427).

Nel caso in esame, il giudice di merito (v. pag. 5) ha desunto il proprio convincimento sull’esistenza di un rapporto diretto tra il P. e l’avv. C. non solo dall’avvenuto rilascio della procura alle liti, ma anche dall’esistenza di tutta una serie di documenti e atti processuali, tra cui, tanto per citarne alcuni, la redazione della comparsa conclusionale dell’8.5.2012, il pagamento diretto degli acconti spettanti all’avvocato C. da parte del P., destinatario di note pro forma e fatture, nonchè da elementi utilizzati “a contrario”, per dimostrare cioè che in altre controversie si era previsto espressamente che il compenso dell’avv. C. venisse saldato direttamente dallo studio B.).

Ebbene, come è agevole rilevare dall’esame del ricorso, il P. non ha ritenuto di censurare specificamente l’altra autonoma ratio decidendi utilizzata dal giudice d’appello, limitandosi a richiamare la propria linea difensiva da sempre sostenuta. E neppure in memoria prende posizione su tale ratio, concentrandosi unicamente sul tema della procura.

L’esito della lite comporta inevitabilmente l’addebito delle spese del presente giudizio alla parte soccombente.

Rilevato infine che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, all’art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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