Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30575 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A. (OMISSIS), F.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO

II 35, presso lo studio dell’avvocato CELESTI VALERIO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

P.G., P.C.;

– intimati –

sul ricorso 13715-2006 proposto da:

P.C., P.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio

dell’avvocato GIACCHI CORRADO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

e contro

F.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 730/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito l’Avvocato CELESTI Valerio, difensore dei ricorrenti che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato GIACCHI Corrado, difensore dei resistenti che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.A. e F.L. impugnano la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 730 del 2006. P.G. e C. P., intimate, resistono con controricorso e avanzano a loro volta ricorso incidentale.

La vicenda riguarda il contratto preliminare intercorso tra le parti in data 8 settembre 1992 in ordine ad un immobile sito in (OMISSIS) promesso in vendita dai ricorrenti. Con il contratto in questione il prezzo veniva fissato in L. 1.180 milioni, veniva pattuito l’importo di L. 80 milioni come caparra confirmatoria, venivano previsti ed eseguiti pagamenti in acconto, nonchè veniva previsto un residuo prezzo da versarsi all’atto definitivo.

Parte promettente venditrice garantiva tra l’altro l’assenza di ipoteche, prevedendosi in atto che la parte promettente acquirente avrebbe richiesto un mutuo ipotecario per il saldo del prezzo. Era accaduto che la parte promittente acquirente, vedendosi rifiutato il mutuo richiesto, era venuta a conoscenza dell’esistenza di una ipoteca pari a L. 40 milioni gravanti sull’immobile e non dichiarata dai promittenti venditori, ipoteca che veniva successivamente estinta oltre un anno dopo la scadenza del termine fissato per la stipula del contratto definitivo. Inoltre, aveva compromesso in vendita l’appartamento in cui abitava per poter acquisire la provvista necessaria per l’acquisto della nuova casa ed aveva poi risolto il contratto, pagando la relativa penale, non potendo entrare nei tempi stabiliti in possesso della nuova casa, la villa in (OMISSIS).

Entrambe le parti iniziavano separate azioni giudiziarie, che venivano riunite e successivamente decise dal GOA del tribunale di Roma, che, con sentenza 27922 del 2002, dichiarava risolto il preliminare per inadempimento della parte promittente acquirente, condannandola al risarcimento dei danni ex art. 1453 c.c., comma 2, liquidati in L. 250 milioni (Euro 129.114,00), importo questo già versato quale acconto sul prezzo, oltre agli interessi maturati, prevedendo altresì l’obbligo di restituzione, a carico della parte promettente venditrice, della caparra confirmatoria di L. 80 milioni (Euro 41.316,00). La Corte d’appello, adita dalla parte promittente acquirente in via principale e dalla parte promittente venditrice in via incidentale, riformava la sentenza impugnata “condannando i promittenti venditori a restituire alla parte promittente acquirente l’importo di Euro 129.114,22”, autorizzando però i promittenti venditori a trattenere la caparra ricevuta. In definitiva, al contrario del primo giudice, escludeva il diritto al risarcimento dei danni e affermava il diritto alla ritenzione della caparra.

La Corte d’appello riteneva che il primo giudice, “chiamato a pronunciarsi, da ultimo, su contrapposte domande di risoluzione” non aveva commesso alcun errore logico giuridico “nell’individuare negli odierni appellanti, G. e P.C., la parte resasi responsabile del più grave inadempimento agli obblighi contrattuali assunti ed alla quale addebitare, quindi, la mancata conclusione del contratto definitivo”. Osservava la Corte territoriale, infatti, che nell’economia contrattuale, l’esistenza di una ipoteca di un importo limitato (L. 40 milioni) a fronte del complessivo prezzo da versarsi (610 milioni al rogito notarile ed ulteriori 570 milioni, in acconto da versare nel settembre e nell’ottobre 1992) non costituiva un inadempimento di gravita tale da comportare la risoluzione del contratto e comunque da giustificare “il dedotto mancato rispetto, da parte delle appellanti, dei termini di pagamento pattuiti”. Osservava ancora la Corte che a tal proposito, occorre infatti considerare, che ancor prima della scadenza del termine (comunque non essenziale) prevista in contratto per la stipula del contratto definitivo (31 dicembre 1992) i promittenti alienanti non solo avevo provveduto a farsi rilasciare dal creditore ipotecario Banco di Sicilia un atto di quietanza ed il consenso alla cancellazione dell’ipoteca (…), ma avevano provveduto a rimettere al notaio rogante copia della dichiarazione di consenso rilasciato dalla banca nel novembre 1992.

Osservava ancora la Corte che nessun documento era stato prodotto dalla parte promettente acquirente relativamente all’esito negativo dell’istanza di concessione di mutuo, dal quale si potesse ricavare che il diniego di finanziamento era la conseguenza dell’esistenza della riferita iscrizione ipotecaria. La Corte d’appello poi riteneva inammissibile la prospettazione di parte appellante circa la mancata valutazione da parte del Tribunale della richiesta di considerare la mancata conclusione del contratto come conseguenza dell’inadempimento della parte venditrice che aveva promesso in vendita un immobile non commerciabile ex L. n. 47 del 1985. Al riguardo, la Corte osservava che soltanto all’udienza del 17 ottobre 2009 i promittenti acquirenti avevano chiesto di accertare l’inadempimento dei promittenti alienanti all’obbligo di garantire “la regolarità amministrativa ed urbanistica dell’immobile”, domanda rispetto alla quale nella successiva udienza la difesa del promittenti alienanti aveva dichiarato espressamente di non accettare il contraddittorio.

Conseguentemente, sempre secondo la Corte territoriale tale tema d’indagine non poteva trovare ingresso in sede d’appello, perchè fondato su fatti nuovi che “risultano modificare l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia in violazione dell’art. 345 c.p.c.”.

La Corte, invece, riteneva accoglibile il secondo motivo di impugnazione, chiarendo che la parte promittente venditrice, prima ancora di chiedere la risoluzione del contratto, aveva chiesto in sede di conclusioni, oltre che nella comparsa di risposta in data 1 luglio 1993, “il riconoscimento del diritto di ritenere la caparra confirmatoria versata dal promettente acquirente, con ciò proponendo in buona sostanza, ex art. 1385 c.c., anche la domanda di recesso dal contratto”. La Corte territoriale osservava, quindi, che, essendo i due rimedi previsti alternativamente dalla legge e non essendo decisivo al riguardo l’uso dell’espressione “recesso” o “risoluzione”, era necessario interpretare il complessivo contenuto del petitum, giungendo alla conclusione che, non avendo gli appellati mai inteso rinunciare al diritto di ritenere la caparra, ma avendo anzi conferito alla relativa richiesta valore preminente, quest’ultima domanda doveva essere valutata per prima e accolta con conseguente assorbimento dell’altra.

La parte ricorrente formula un unico articolato motivo di ricorso.

Resistono con controricorso e formulano ricorso incidentale, affidato a due motivi, le intimate. F.L. ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2.1 motivi del ricorso principale.

La parte ricorrente principale formula un unico articolato motivo di ricorso con il quale deduce contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 1385 c.c.. Al riguardo osserva in primo luogo che erroneamente la Corte di merito ha ravvisato nella situazione di fatto in concreto accertata la ricorrenza degli elementi costitutivi dell’istituto del recesso. Al riguardo osserva che nella comparsa di costituzione e di risposta del gennaio 1993 le conclusioni assunte erano nel senso di dichiarare risolto per grave inadempimento delle signore P. il contratto preliminare relativo all’immobile in questione. Mai era stato chiesto di recedere dal contratto e ciò risultava chiaro dall’esame degli atti e in particolare dalla successione cronologica delle domande avanzate con gli atti introduttivi dei giudizi di primo grado poi riuniti, nei quali mai la parte oggi ricorrente aveva manifestato l’intenzione di recedere dal contratto, avendo invece, solo a seguito della domanda di risoluzione avanzata dalla parte promettente acquirente, acconsentito alla domanda di risoluzione. A giudizio della parte ricorrente l’affermazione secondo la quale i promittenti venditori avrebbero prima di ogni altra domanda chiesto e manifestato l’intenzione di chiedere il recesso costituisce “un grave vizio della motivazione, in quanto incidente sulla coerenza logico formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito per giungere alla decisione”. La parte ricorrente osserva poi che erroneamente la corte territoriale aveva concluso che il petitum del giudizio era nel senso del recesso dal contratto, posto che invece la domanda formulata era quella di risoluzione rispetto alla quale “la ritenzione della caparra e/o risarcimento del danno sono domanda accessoria del petitum costituito appunto dalla risoluzione e/o recesso”. Infine la parte ricorrente osserva che era stata richiesta l’affermazione del diritto di ritenere la caparra solo fino alla determinazione dell’intero danno sofferto nella domanda avanzata per ottenere la risoluzione del contratto.

3. – I motivi del ricorso incidentale.

Le odierne ricorrenti in via incidentale formulano a loro volta due motivi di ricorso. Col primo deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e degli artt. 1385, 1218, 1337, 1385 c.c. nonchè omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. A loro giudizio, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la prevalenza della colpa nell’inadempimento in relazione all’ipoteca non conosciuta, posto che, se fossero state correttamente informate, non si sarebbero determinate a stipulare il preliminare, ovvero avrebbero quantomeno negoziato una diversa cadenza dei pagamenti in rapporto ai tempi tecnici indispensabili alla cancellazione dell’ipoteca e all’erogazione del mutuo in loro favore. Nel caso in questione era stato violato il principio di cui all’art. 1375 c.c., non avendo le parti promettenti venditrici reso noto alla parte promettente acquirente l’esistenza dell’ipoteca e non essendosi neanche attivate per la sua cancellazione in tempo utile.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 7 e segg. degli artt. 1418 e 1421 c.c. nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Osservano di aver dedotto e provato in corso di causa alcune irregolarità edilizie, deducendo anche sotto tale profilo il grave inadempimento della parte venditrice. Al riguardo la Corte d’appello non aveva pronunciato, ritenendo nuova la domanda proposta in appello e ciò malgrado le violazioni urbanistiche di cui alla L. n. 47 del 1935 rendono incommerciabile il bene, con conseguente necessità da parte del giudice di primo grado e del giudice di appello di pronunciare d’ufficio, sia pure incidentalmente, la nullità del contratto preliminare di vendita.

4. – In ordine logico va trattato per primo il ricorso incidentale, che è infondato e va respinto.

Il primo motivo è infondato, non sussistendo le violazioni di legge e i vizi motivazionali dedotti. Al riguardo i giudici del merito, valutando, come dovevano ai fini delle contrapposte domande di risoluzione, gli inadempimenti delle parti, hanno ritenuto più grave quello delle promittenti venditrici, che non avevano aderito alla stipula definitiva, e ciò con motivazione adeguata ed esente da vizi logici. Al riguardo, questa Corte ha più volte avuto occasione di affermare il condiviso principio di diritto, secondo il quale ®in presenza di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione del medesimo per inadempimento, il giudice deve procedere a una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione. La valutazione della gravita dell’inadempimento, prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 12296 del 2011 rv. 617828).

La Corte territoriale, motivando sul punto, ha individuato il più grave inadempimento non già nel comportamento tenuto dai promittenti venditori per aver omesso di comunicare l’esistenza dell’ipoteca, ma in quello tenuto da promittenti acquirenti per non aver concluso il contratto, osservando che il termine fissato per la stipula del contratto non era essenziale e che l’importo dell’ipoteca, non comunicata e peraltro relativa ad un debito estinto (vedi pagina 9, in fondo, della sentenza) non poteva influire sull’economia del contratto, posto che il prezzo residuo non doveva essere pagato per intero al momento della stipula finale, essendosi previsti due pagamenti in ulteriore acconto a settembre e a ottobre del 1992 per circa L. 500 milioni. Inoltre, la parte promittente venditrice, prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, aveva provveduto a farsi rilasciare dal creditore ipotecario Banco di Sicilia l’atto di quietanza ed il consenso alla cancellazione dell’ipoteca, rimettendone copia al notaio rogante. Infine, non era stata fornita la prova che la mancata concessione del mutuo alle promittenti acquirenti era la diretta conseguenza della mancata cancellazione dell’ipoteca. La motivazione appare ampia, adeguata e priva di vizi logici ed atta a sostenere la decisione adottata.

Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso incidentale, posto che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, la domanda di risoluzione avanzata per irregolarità urbanistiche è stata proposta tardivamente in primo grado e sulla stessa non vi era stata accettazione del contraddittorio. L’irritualità della domanda preclude una pronuncia di ufficio del giudice, anche in secondo grado sulla eventuale nullità, non dedotta specificamente, richiedendo essa ulteriori e specifici accertamenti. Al riguardo, questa Corte ha più volte avuto occasione di affermare il condiviso principio di diritto, secondo il quale Il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità (o l’inesistenza) di un contratto, in base all’art. 1421 cod. civ., va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nel senso che solo se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice può rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso, e che se, invece, la contestazione attenga direttamente alla illegittimità dell’atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d’ufficio, nè può esser dedotta per la prima volta in grado d’appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella “ab origine” proposta dalla parte (Cass. n, 16621 del 2008 rv. 603836).

5. Il ricorso principale.

Il ricorso principale è fondato quanto al dedotto vizio di motivazione.

La Corte territoriale, infatti, non ha chiarito adeguatamente le ragioni poste a fondamento della ritenuta (prevalente) proposizione della diversa domanda ex art. 1385 c.c., comma 2, rispetto a quella di risoluzione per inadempimento con conseguente applicazione dell’art. 1385 cod. civ., comma 3.

Infatti, dal letterale tenore delle conclusioni assunte dai promittenti venditori in primo grado e testualmente riportate nella sentenza a pagina 13 (dal terzo rigo in poi) non si deduce la ritenuta prevalenza attribuita dalla Corte d’appello alla domanda ex art. 1385 c.c., comma 2, posto che, come correttamente osservato dalla parte ricorrente, è possibile anche chiedere l’affermazione del diritto alla ritenzione della caparra fino all’accertamento e quantificazione dei danni. Del resto la formulazione letterale della domanda “dichiarare risolto per grave inadempimento… il contratto di compravendita… con conseguente diritto di ritenzione dell’importo versato a titolo di caparra” seguita dalla richiesta di risarcimento dei danni, non appare idonea, di per sè sola, a far ritenere sussistente la indicata scelta di prevalenza dell’azione ex art. 1385 c.c., comma 2. Nè a tal fine appare sufficiente argomentare, come ha fatto la Corte d’appello, rilevando che la parte promittente venditrice mai aveva “inteso rinunciare al diritto di ritenere la caparra”, perchè tale scelta non è incompatibile con la richiesta di trattenimento della stessa fino alla liquidazione dei danni.

6. – In definitiva, il ricorso incidentale va rigettato, mentre va accolto quello principale, per difetto di motivazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.T.M.

LA CORTE, riuniti i ricorsi, rigetta l’incidentale ed accoglie il principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che deciderà anche sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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