Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30575 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 28/10/2021), n.30575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1939-2018 proposto da:

S.S.M., nonché B.T., e B.L., tutti

eredi di B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MAGLIANO SABINA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PETTINARI,

rappresentati e difesi dagli avvocati ALESSANDRO LUCCHETTI, ALBERTO

LUCCHETTI;

– ricorrenti –

contro

D.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO SERRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 152/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/07/2017 R.G.N. 346/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Ancona in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città ha accolto la domanda proposta da D.M. nei confronti di S.S. e di L. e B.T., eredi di B.G., e li ha condannati al pagamento di Euro 26.595,44 a titolo di indennità suppletiva e di Euro 284,58 quale Fondo Indennità di Risoluzione del Rapporto (FIRR) 2013 oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dal 12 giugno 2013 in relazione al rapporto di subagenzia intercorso tra le parti nel periodo dal (OMISSIS) fino al decesso del B. il (OMISSIS).

2. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che alla data del decesso dell’Agente il rapporto con il subagente si era risolto per causa non imputabile a quest’ultimo poiché gli eredi non avevano ritenuto di subentrare nel rapporto del loro dante causa e perciò era insorto il diritto a percepire l’indennità suppletiva di cui non era contestata né l’esistenza delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c. né la quantificazione.

3. Quanto alla FIRR, ritenuta sufficientemente specifica la domanda, il giudice di appello ha evidenziato che se le somme sono accantonate dalle aziende mandanti presso l’ENASARCO e vengono erogate all’agente all’atto della cessazione del rapporto, tuttavia, in un caso come quello di specie e con riguardo all’anno in corso all’atto del decesso del preponente, l’importo, non contestato nel suo ammontare, doveva essere versato dagli eredi direttamente al D..

4. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso gli eredi B. con tre motivi ai quali ha opposto difese D.M. con controricorso depositando anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 65 del 1999, art. 5 e s.m.i. che ha modificato l’art. 1751 c.c., applicabile alla fattispecie in esame, e dell’art. 2697 c.c..

5.1. Sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni di legge per avere trascurato di considerare che ai fini della chiesta indennità è l’agente ad essere onerato della prova che dalla sua attività era derivato al preponente un sensibile incremento degli affari con i clienti esistenti ovvero che erano stati procurati nuovi clienti. Il D. era venuto meno a tale onere né il preponente defunto ed i suoi eredi – i quali peraltro non avevano proseguito l’attività avevano ricevuto sostanziali vantaggi dall’attività del sub agente il quale successivamente allo scioglimento del rapporto aveva preso contatti con le ditte preponenti del signor B. facendosi intestare i contratti ed incrementando le sue proprie entrate provvigionali.

6. Il motivo deve essere accolto.

6.1. Va in primo luogo evidenziato che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza della Corte di merito e ritenuto dall’odierno controricorrente, non è vero che la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 1751 c.c. per la maturazione dell’indennità e per la sua quantificazione non sia stata oggetto di contestazione nel giudizio. Tanto risulta infatti dal ricorso in cassazione che riproduce sia la memoria di primo grado che quella di appello (si veda pag. 5 del ricorso in cassazione) laddove si è specificatamente contestato che sia stata offerta la prova di un incremento del giro di affari e di sostanziali vantaggi conseguiti per effetto dell’attività svolta dal sub agente.

6.2. Ne consegue che la sentenza di appello incorre nella denunciata violazione di legge avendo trascurato di verificare, sulla base delle allegazioni e delle prove offerte, in primo luogo se la disciplina applicabile era proprio quella dettata dall’art. 1751 c.c. ovvero se vi era tra le parti, nel contratto o nell’A.E.C. se richiamato e applicabile, un accordo di miglior favore. Inoltre avrebbe dovuto verificare in concreto, se era stata offerta la prova dell’esistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’indennità sulla base del regime in concreto applicabile. Condizione per la sua corresponsione, accanto alla non imputabilità all’agente o sub agente della risoluzione, è l’aver procurato nuovi clienti al preponente o aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti di tal che il preponente ne riceva ancora sostanziali vantaggi. Il pagamento dell’indennità deve essere equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti” (cfr Cass. 30/03/2018 n. 8808). Ai fini del riconoscimento dell’indennità di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c., non è sufficiente la provvista di nuovi clienti ovvero il sensibile incremento degli affari con quelli vecchi, ma occorre anche la seconda condizione, ossia che alla cessazione del rapporto il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dai clienti nuovi procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i preesistenti (cfr. Cass. n. 20047 del 2016). In definitiva poiché l’indennità non è dovuta in ogni caso è necessario accertarne in concreto i presupposti, adempimento questo ritenuto erroneamente superato dalla Corte di merito in base ad una ritenuta non contestazione non aderente alle risultanze di causa.

7. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali è denunciata, con riguardo al capo della sentenza con il quale è stato riconosciuto il diritto dell’agente alla F.I.R.R. per l’anno 2013, la nullità dell’atto introduttivo del giudizio per genericità ed il vizio di ultra petizione anche con riguardo all’art. 115 c.p.c., art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4 e art. 116 c.p.c. (secondo motivo) e la violazione delle disposizioni che regolano la F.I.R.R. (L. n. 741 del 1959 e s.m.i., AEC 13.10.1958 e ss., D.P.R. n. 145 del 1961, n. 1842 del 1960, n. 756 del 1971 sull’ENSARCO ed il Regolamento ENASARCO) per avere omesso di rilevare che era onere dell’agente allegare e dimostrare i fatti costitutivi del diritto di credito (terzo motivo), sono entrambi infondati.

7.1. La Corte territoriale, andando di diverso avviso rispetto al Tribunale ed interpretando la domanda di primo grado ha accertato che il ricorso conteneva una specifica richiesta in tal senso e aveva allegato gli elementi di valutazione necessari ad esaminarla.

7.2. La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ma la Corte non è incorsa in alcuna di queste violazioni atteso che ha dato atto dell’esistenza della domanda nel ricorso di primo grado e della contestuale allegazione di fatti che ne costituiscono il presupposto. Correttamente perciò ne ha escluso la nullità e l’ha esaminata.

8. In conclusione, per le ragioni esposte, rigettati il secondo ed il terzo motivo di ricorso la sentenza deve essere cassata in accoglimento del primo motivo, fondato per le ragioni esposte. Se ne deve disporre quindi la cassazione con rinvio alla stessa Corte di appello in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Rigetta il secondo ed il terzo motivo.

Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

 

 

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