Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30575 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 22/11/2019), n.30575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26222-2014 proposto da:

AZIENDA USL ROMA D, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASAL BERNOCCHI n. 73 (c/o

sede legale dell’Ente), rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO

FERRARA;

– ricorrente –

contro

D.S.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI

COLLI PORTUENSI n. 57, presso lo studio dell’avvocato FABIO

CIPRIANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3803/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 6 maggio 2014 R.G.N. 7361/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del. Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato FABIO CIPRIANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, ha accolto la domanda formulata da D.S.B. nei confronti dell’Azienda USL Roma D ed ha condannato l’appellata al pagamento della complessiva somma di Euro 66.382,21 a titolo di differenze retributive maturate, nei limiti della prescrizione quinquennale, per lo svolgimento di mansioni di direzione di struttura complessa.

2. La Corte territoriale, premesso che la D.S. aveva ricoperto un posto vacante a seguito del pensionamento del precedente titolare, ha evidenziato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 impone di correlare il trattamento economico accessorio alle funzioni attribuite, alla connessa responsabilità ed ai risultati conseguiti, sicchè nella specie il trattamento medesimo non poteva che essere quello previsto dal c.c.n.l. per i dirigenti di strutture complesse.

3. Il giudice d’appello ha evidenziato che i vincoli derivanti da esigenze di bilancio non possono impedire la piena operatività, anche nel settore del lavoro pubblico, dei principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione espressi dall’art. 36 Cost., alla luce del quale devono essere interpretate le disposizioni contrattuali.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda USL Roma D sulla base di due motivi, ai quali D.S.B. ha replicato con tempestivo controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Azienda ricorrente denuncia “omesso esame di fatti e atti attestanti la reale temporaneità del ruolo ricoperto dalla Dott.ssa D.S.” e rileva che ha errato la Corte territoriale nel ritenere che al dirigente medico fosse stato assegnato in via definitiva l’incarico di responsabile di struttura complessa. Sostiene che, in realtà, sino al luglio 2007 la D.S. aveva sostituito nella direzione del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica altro dirigente medico destinato alla direzione del Dipartimento, il quale, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 17 bis era rimasto titolare della struttura in precedenza diretta. Quanto al periodo successivo l’Azienda evidenzia che la Regione Lazio con Delib. n. 139 del 2007 aveva fornito le linee guida per la formulazione dei nuovi atti aziendali stabilendo, altresì, che non potevano essere indetti avvisi pubblici per l’attribuzione degli incarichi vacanti in quanto occorreva prima ridurre del 20% il numero complessivo delle unità operative complesse. Correttamente, pertanto, il Tribunale aveva escluso il diritto a percepire le indennità rivendicate e richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 24373/2008.

2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la “violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost.” perchè il giudice d’appello non ha tenuto in alcun conto la disciplina dettata per la dirigenza pubblica dal D.Lgs. n. 29 del 1993 e per quella medica e veterinaria dai CCNL 30.12.1996 e 22.7.2000 alla quale, invece, si era attenuta l’Azienda che con Delib. 7 agosto 2000, n. 925 ai sensi dell’art. 18, comma 4, del CCNL 2000 aveva riconosciuto alla D.S. una retribuzione di posizione, comprensiva dell’indennità di esclusività parametrata all’incarico di direzione di struttura complessa.

3. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso, sollevate dalla difesa della D.S. nel controricorso e nella memoria ex art. 378 c.p.c..

Le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno affermato che l’improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non può conseguire al mancato deposito del contratto collettivo di diritto pubblico, ancorchè la decisione della controversia dipenda direttamente dall’esame e dall’interpretazione delle relative clausole, atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice è soddisfatta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, per cui la previsione del deposito, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune (cfr. Cass. S.U. nn. 20075/2010, 23329/2009, 21568/2009).

3.1. Quanto, poi, all’asserita carenza dell’esposizione dei fatti oggetto di causa va detto che il requisito di cui all’art. 366 c.p.c. n. 3 risponde all’esigenza di porre la Corte di Cassazione in grado di avere la completa cognizione della controversia e di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.

Ciò significa che la valutazione sulla completezza dell’esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità deve essere effettuata considerando il fine che il requisito mira ad assicurare e contemperando l’esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali.

Ne discende che, come evidenziato, sia pure ad altri fini, dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede nè la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali nè che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” (così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”. Le stesse Sezioni Unite hanno anche significativamente aggiunto che “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”.

Applicando alla fattispecie i richiamati principi di diritto, ai quali il Collegio intende dare continuità, si perviene necessariamente al rigetto dell’eccezione, giacchè il ricorso riassume, sia pure molto sinteticamente, nella parte introduttiva e nell’esposizione dei singoli motivi, i momenti salienti della vicenda processuale funzionali all’esame delle censure ed individua con chiarezza la questione controversa sulla quale la Corte è chiamata a pronunciare.

4. E’, invece, fondata l’eccezione di inammissibilità del primo motivo, perchè la censura esorbita dai limiti del riformulato art. 360 c.p.c., n. 5 e non assolve agli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato il principio, affermato da Cass. S.U. n. 8053/2014, secondo cui “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

A tanto l’Azienda ricorrente non ha provveduto perchè, nel denunciare il mancato esame di circostanze a suo dire decisive per affermare la temporaneità e la legittimità della sostituzione, oltre a non trascrivere nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, i documenti posti a fondamento della censura, non ha indicato l’atto processuale con il quale la questione sarebbe stata sottoposta al giudice del merito, che alla stessa non ha fatto cenno nella sentenza impugnata.

5. Merita accoglimento il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Azienda ricorrente si duole della violazione dell’art. 36 Cost. e della normativa contrattuale applicabile al rapporto.

La questione che viene in rilievo è già stata oggetto di esame da parte di questa Corte che, pronunciando in fattispecie analoga a quella qui controversa, ha affermato che “la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del c.c.n.l. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poichè avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicchè non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.” (Cass. n. 16299/2015 e negli stessi termini Cass. n. 15577/2015, n. 584/2016, n. 9879/2017; nn. 21565, 28151, 28243, 30912 del 2018; n. 7863/2019).

Il Collegio intende dare continuità all’orientamento espresso dalle richiamate pronunce, perchè l’esegesi del quadro normativo e contrattuale non consente di estendere ai dirigenti in generale, ed alla dirigenza medica in particolare, norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale.

5.1. L’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 c.c., sancita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 era già stata affermata dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 13 e discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto dirigenziale il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II.

Quanto alla dirigenza sanitaria, inserita “in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello” (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15), la giuridica impossibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. è ribadita dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter inserito dal D.Lgs. n. 229 del 1999, nonchè dall’art. 28, comma 6, del CCNL 8.6.2000 per il quadriennio 1997/2001, secondo cui ” nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto… che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103 c.c., comma 1″.

5.2. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 in tutte le versioni succedutesi nel tempo, delega alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento retributivo del personale con qualifica dirigenziale, da correlarsi quanto al trattamento accessorio alle funzioni attribuite, ed al comma 3 fissa il principio di onnicomprensività, stabilendo che il trattamento medesimo “remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto nonchè qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa”.

La materia delle sostituzioni è stata espressamente disciplinata dalle parti collettive che, all’art. 18, comma 7, del CCNL 8.6.2000 hanno innanzitutto ribadito, in linea con la previsione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter, comma 5, che “le sostituzioni….non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria”. Hanno, quindi, previsto una speciale indennità, da corrispondersi solo in caso di sostituzioni protrattesi oltre sessanta giorni, rapportata al livello di complessità della struttura diretta (Lire 1.036.000 per la sostituzione del dirigente di struttura complessa e Lire 518.000 per la struttura semplice).

Il comma 4 della disposizione contrattuale prevede che, qualora la necessità della sostituzione sorga in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, e, quindi, della vacanza della funzione dirigenziale, la stessa è consentita per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure concorsuali e può avere la durata di mesi sei, prorogabili a dodici.

E’, però, significativo che le parti collettive non abbiano fatto cenno alle conseguenze che, sul piano economico, possono derivare dall’omesso rispetto del termine e l’omissione non può essere ritenuta casuale, atteso che la norma contrattuale ha tenuto ad affermare, come principio di carattere generale, che la sostituzione non implica l’espletamento di mansioni superiori.

Il termine di cui al comma 4, quindi, svolge senz’altro una funzione sollecitatoria ma il suo mancato rispetto non può legittimare la rivendicazione dell’intero trattamento economico spettante al dirigente sostituito, impedita proprio dall’incipit del comma 7, che, operando unitamente al principio della onnicomprensività al quale si è già fatto cenno, esclude qualsiasi titolo sul quale la pretesa possa essere fondata.

5.3. Non rilevano i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa formatasi in relazione al D.P.R. n. 384 del 1990, art. 121 disapplicato dal richiamato art. 18 del CCNL 2000, e, quindi, in un diverso contesto normativo giacchè, prima dell’istituzione del ruolo unico, i compiti propri del primario costituivano mansioni superiori rispetto a quelle dell’aiuto o dell’assistente (inquadrati rispettivamente nel X e nel IX livello mentre al primario era riservato l’XI livello) mentre nell’attuale sistema, fondato sull’equivalenza delle mansioni dirigenziali, le diverse tipologie di incarichi non comportano rapporti di sovra o sotto ordinazione (art. 27 CCNL 2000) e sono manifestazione di attribuzioni diverse ma di pari dignità (art. 6 CCNL 2008).

5.4. Le considerazioni che precedono inducono, pertanto, il Collegio a non condividere il diverso orientamento espresso da Cass. n. 13809/2015, che ha ritenuto di poter ravvisare lo svolgimento di mansioni superiori in caso di sostituzione protrattasi oltre il limite massimo di dodici mesi. La pronuncia, rimasta isolata, è stata superata dalle decisioni richiamate al punto 4, sicchè non è più configurabile un effettivo contrasto, idoneo a giustificare la rimessione ex art. 374 c.p.c., comma 2, alle Sezioni Unite di questa Corte.

6. La sentenza impugnata si è discostata dai principi di diritto sopra enunciati e va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la sentenza impugnate e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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