Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30573 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E. (OMISSIS), C.T.

(OMISSIS), C.A.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CORRIDONI 27, presso lo

studio dell’avvocato VENDITTI CARLO, rappresentati e difesi

dall’avvocato COLUCCI NICOLA;

– ricorrenti –

contro

CH.LU., (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato MAZZA

GIGLIOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato SOLDANO PASQUALE;

– controricorrente –

e contro

COMUNE TORREMAGGIORE in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 198/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 07/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I ricorrenti, C.E., C.T. e C.A. M., impugnano la sentenza n. 198 del 2005 della Corte di appello di Bari che, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda di reintegrazione nel possesso di una porzione di un cordolo di cemento circostante l’edificio funerario dei ricorrenti, occupato da una costruzione realizzata dall’odierno intimato.

Il primo giudice aveva accolto la domanda mentre quello d’appello l’aveva respinta, sia perchè ritenuta inammissibile perchè intempestiva, sia perchè infondata. Intempestiva per essere stata proposta l’azione oltre l’anno di cui all’art. 1168 c.c., per essere lo spoglio conseguente alla costruzione di una edicola funeraria, attività visibile il cui inizio era stato provato risalire al gennaio 1993. Infondata perchè il cordolo in questione, di cui i ricorrenti avevano affermato anche di essere proprietari, doveva ritenersi del demanio comunale, mentre la zona interessata dalla controversia si trovava al di fuori dello spazio recintato di diretta pertinenza della cappella dei signori C.; la zona in questione, inoltre, non risultava sottratta all’uso pubblico e in particolare al passaggio dell’indifferenziata utenza del cimitero comunale. La costruzione realizzata dal Ch. non impediva nemmeno la funzione del cordolo di prevenire il deflusso delle acque, in quanto l’edicola funeraria costruita dall’appellante invade solo di pochi centimetri il ridetto cordolo in battuto di cemento.

La Corte territoriale, infine, riteneva inammissibile l’intervento svolto in appello dal Comune, compensando le relative spese.

I ricorrenti articolano quattro motivi di ricorso. Resistono con controricorso gli intimati. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 motivi del ricorso.

Col primo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso non era tardivo perchè l’attività posta in essere (costruzione di una edicola cimiteriale) deve considerarsi clandestina, sebbene visibile, perchè avvenuta in assenza di chi aveva subito lo spoglio e a sua insaputa. Era stata fornita la prova che la signora C.A.M. aveva avuto conoscenza dell’attività di costruzione soltanto il 25 aprile 1993 e l’azione era stata proposta nell’anno da tale data.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1145, 1168, 1170 c.c. e degli artt. 61 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte aveva affermato apoditticamente l’invasione del cordolo di cemento per “pochi centimetri”, quando invece risultava chiaramente dalle foto prodotte che lo spazio occupato era pari ad “oltre la metà del cordolo”. In ogni caso la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’invasione effettuata rispetto alla larghezza del cordolo e al normale uso dello stesso. Il cordolo era largo in media 95 cm prima della costruzione da parte dell’intimato e lo spazio si era ristretto a poco più di 45 cm a costruzione avvenuta.

Col terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 160, 164 n. 5, 359, 324 e 325 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè vizi di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Era stata eccepita la improcedibilità e l’inammissibilità dell’appello per nullità della relativa notifica effettuata in unica copia al procuratore degli appellati. L’eccezione era stata avanzata soltanto a seguito della costituzione in appello, effettuata una volta decorsi i termini di proponibilità dell’impugnazione. La sanatoria per l’intervenuta costituzione non era più possibile in relazione alla avvenuta scadenza del termine per l’impugnazione, essendo la sentenza passata in giudicato.

Con il quarto motivo di ricorso, infine, si deduce violazione falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè vizi della motivazione. La dichiarata inammissibilità dell’appello del Comune ne doveva comportare la condanna alle spese. Il giudice dell’appello aveva disposto la compensazione con motivazione illogica in conseguenza non già di una soccombenza reciproca o per altri giusti motivi ma come conseguenza della pronunciata soccombenza nei confronti del Comune.

2. – Il ricorso è infondato e va respinto.

Il primo motivo, relativo alla tempestività dell’azione, è infondato. La costruzione di un immobile all’interno di un’area cimiteriale è certamente visibile e poteva essere rilevata con un semplice accesso al cimitero da parte degli interessati. I ricorrenti però sostengono di non averne avuto conoscenza, per non aver fatto accesso al cimitero tra il gennaio 1993 (data di inizio della costruzione) e il 25 aprile dello stesso anno, data di accesso al cimitero e utile aia fini del calcolo del termine di un anno. La Corte territoriale ha escluso che ciò fosse sufficiente, nella sostanza conformandosi ai principi affermati da questa Corte al riguardo quanto al requisito della “clandestinità” dello spoglio, secondo i quali la clandestinità dello spoglio va riferita allo stato di ignoranza di chi subisce lo spoglio, il quale deve essersi trovato nell’impossibilità di avere conoscenza del fatto costituente spoglio nel momento in cui questo viene posto in essere (Cass. 11453 del 2000 rv. 539913), ulteriormente precisandosi che l’ignoranza non deve essere determinata da negligenza del possessore, che va accertata anche alla stregua delle circostanze in cui è stato commesso lo spoglio e mantenuto lo spossessamento (Cass. n. 12740 del 2006 rv. 589573). Nel caso in questione, la Corte territoriale ha evidenziato, da un lato, il comportamento palese tenuto durante la costruzione dell’immobile e, dall’altro, ha escluso, nella sostanza, un comportamento diligente giustificato solo dall’accesso al cimitero in corrispondenza di anniversari da ricordare, di per sè in contrasto con l’esigenza di vigilanza posta a fondamento della tutela possessoria. Anche il secondo motivo è inammissibile e comunque infondato. Inammissibile per la parte in cui nella sostanza si deduce un errore revocatorio sulla percezione dello stato dei luoghi (come risultante dalle foto), che risulterebbe diverso da quello descritto in sentenza. Infondato, perchè le doglianze al riguardo formulate dai ricorrenti con riferimento a vizi di motivazione e al travisamento dei fatti, sono sostanzialmente dirette a censurare l’apprezzamento di fatto del materiale probatorio compiuto dal giudice di merito. Orbene la valutazione delle prove e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia sono rimesse alla valutazione del giudice di merito e sono sindacabili in sede di legittimità sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta di attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che a un altro (Cass. 16034/2002). Il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrato il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia o un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione e non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 2222/2003). L’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa ma soltanto quello di controllare, sotto il profilo logico e formale, la correttezza dell’esame e delle valutazioni compiuti nella sentenza impugnata. Infondato è anche il terzo motivo, relativo alle eccepite improcedibilità ed inammissibilità dell’appello per nullità della relativa notifica effettuata in unica copia al procuratore degli appellati. Infatti, al riguardo, questa Corte ha affermato, a Sezioni Unite (Cass. SU, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008 rv. 606009): La notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 cod. proc. civ., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 285 cod. proc. civ., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo. Infine, è infondato anche l’ultimo motivo, Col quale si deduce la violazione falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè vizi della motivazione.

Secondo i ricorrenti la Corte territoriale avrebbe disposto la compensazione delle spese con motivazione illogica in conseguenza non già di una soccombenza reciproca o per altri giusti motivi ma come conseguenza della pronunciata soccombenza nei confronti del Comune.

Al riguardo, la Corte territoriale non ha fatto altro che adeguarsi ai principi affermati da questa Corte al riguardo, come si deduce dal tenore complessivo della motivazione, avendo disposto la compensazione delle spese per aver dichiarato inammissibile l’intervento esclusivamente per ragioni processuali. Al riguardo questa Corte ha affermato il seguente condiviso principio: In tema di regolamento delle spese giudiziali, allorquando il giudice di appello dichiari inammissibile un intervento dinanzi a sè per ragioni meramente processuali (nella specie, per difetto dei presupposti di cui all’art. 344 cod. proc. civ. e per carenza di interesse ad agire), la compensazione delle spese può essere giustificata esclusivamente in riferimento al tipo di statuizione adottata e non anche alle posizioni di carattere sostanziale che con l’atto di intervento inammissibile l’interventore ha inteso sostenere (Cass. n. 4251 del 22/02/2010, rv. 611899).

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.200,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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