Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3057 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2017, (ud. 17/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHNOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17281-2014 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. 01585570581, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE U. TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

CORBO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., B.M.C., R.C.;

– intimati –

Nonchè da:

B.A. C.F. (OMISSIS), B.M.C. C.F.

(OMISSIS), R.C. C.F. (OMISSIS), in qualità di eredi di

B.F., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO

TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO FERRARI, giusta delega

in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1099/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 21/06/2013 R.G.N. 65/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato POMPEI ANGELO per delega verbale Avvocato CORBO

NICOLA;

udito l’Avvocato ANTONUCCI ARTURO per delega verbale Avvocato FERRARI

GIACOMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il ricorso principale:

rigetto; ricorso incidentale: inammissibilità in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.F., dipendente di Ferrovie dello stato s.p.a., poi Rete ferroviaria italiana s.p.a., con la qualifica di direttore di macchina, adiva il Tribunale di Messina ed esponeva che a seguito di visita medica presso l’U.S.T. di (OMISSIS) era stato dichiarato inidoneo al servizio a bordo nave svolto sino a quel momento e che per questa ragione era stato destinato a servizi a terra, con la qualifica di capo settore uffici. Impugnato giudizialmente tale provvedimento, il Tribunale di Messina, con decisione che veniva confermata in appello, riteneva illegittimo il giudizio di inidoneità e condannava R.F.I. a reintegrarlo nel ruolo naviganti ed a risarcirgli i danni provocati, da liquidare in separato giudizio.

Chiedeva con successivo ricorso al Tribunale di Messina che la società fosse condannata al pagamento dei danni patrimoniali, alla professionalità e alla persona a lui arrecati a causa dell’ illegittimo sbarco; chiedeva altresì di ritenere che in assenza dell’ illegittimo provvedimento di sbarco avrebbe conseguito la qualifica di direttore di macchina titolare e quindi di ispettore delle manutenzioni, e di condannare la società intimata all’adeguamento della qualifica, con corresponsione delle relative differenze retributive, ed all’adeguamento contributivo sino alla data dell’effettivo reimbarco.

La Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 1099 del 2013, confermava la sentenza del Tribunale che, in parziale accoglimento della domanda, aveva condannato RFI a pagare al signor B. la complessiva somma di Euro 152.388,86 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

La Corte territoriale, nel rigettare l’appello di RFI, argomentava che correttamente per la determinazione del danno conseguente all’illegittimo sbarco il giudice di primo grado avesse avuto riguardo alla differenza tra quanto il ricorrente avrebbe percepito quale direttore di macchina appartenente al ruolo navigante e quanto invece aveva effettivamente percepito nel periodo di servizio svolto a terra, conteggiando a tal fine le indennità previste dal contratto collettivo di categoria. Nè ostava il fatto che alcune delle indennità conteggiate fossero dirette a compensare una maggiore onerosità della prestazione resa nel servizio a bordo o all’effettiva presenza a bordo del lavoratore, in considerazione del fatto che la mancata presenza era riconducibile al comportamento del datore di lavoro ritenuto illegittimo. Riconosceva inoltre la correttezza della quantificazione del risarcimento del danno alla professionalità nella misura di Euro 10.000, tenuto conto che il cambio di profilo tra direttore di macchina e capo settore uffici aveva comportato un’indubbia dequalificazione con riguardo alla natura dell’incarico ed al potere gerarchico esercitato sui sottoposti.

Rigettava poi l’appello incidentale proposto dagli eredi del B., nel frattempo deceduto, al fine di ottenere l’indennità di utilizzazione reparti nautici prevista dall’art. 16 del CCNL ferrovieri e la condanna alla ricostituzione della posizione previdenziale, nonchè il risarcimento del danno biologico.

Per la cassazione della sentenza RFI S.p.A. propone ricorso, affidato a due motivi, cui resistono con controricorso B.A., B.M.C. e R.C., che propongono altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

1. Come primo motivo del ricorso principale, R.F.I. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 14-15 allegato 7 del C.C.N.L. ferrovieri 1990/1992, dell’art. 1223 c.c. e “di ogni altra norma e principio in materia di quantificazione e determinazione del danno”, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio è stato oggetto di discussione tra le parti. RFI premette che il B., a seguito della valutazione di inidoneità fisica al servizio marittimo (ritenuta poi illegittima in sede contenziosa), è stato destinato a servizi a terra, con qualifica ricompresa nello stesso livello professionale, per la quale lo stipendio tabellare annuo è più elevato. Lamenta che la Corte abbia riconosciuto voci retributive non correlate al profilo di provenienza di direttore di macchina in senso proprio, ma a voci dirette a compensare specifiche ipotesi di maggiore onerosità o gravosità del modo, del tempo e del luogo di adempimento della prestazione richiesta, quali l’indennità di navigazione ex art. 15, all. 7 del C.C.N.L. 1990/1992 e l’indennità di presenza a bordo ex art. 14, all. 7 del C.C.N.L. 1990/1992, legate da un nesso di corrispettività con un’usura psico-fisica del lavoratore che non ricorreva nel servizio a terra, e che quindi non potevano essere riconosciute.

Eccepisce inoltre l’erroneità della sentenza impugnata laddove non ha rilevato che l’indennità di presenza a bordo, nella parte variabile, è correlata alle effettive ore di servizio effettuate sulla nave, e laddove non ha rilevato che nell’espletamento delle mansioni di capo settore uffici il B. aveva percepito l’indennità quadri che invece non avrebbe avuto diritto a percepire se inserito nei turni di navigazione, sicchè, quantomeno, avrebbe dovuto operarsi una compensazione.

2. Come secondo motivo del ricorso principale, RFI deduce violazione e falsa applicazione delle norme in materia di danno alla professionalità, dell’art. 2103 c.c. e “di ogni altra norma e principio in materia di risarcimento del danno non patrimoniale”. Argomenta che il profilo di capo settore uffici assegnato al B. è del tutto equivalente a quello di direttore di macchina rivestito precedentemente, e che egli non aveva dimostrato che le mansioni successivamente svolte avessero pregiudicato le sue capacità professionali, rappresentando invece un’occasione di crescita professionale.

3. Il primo motivo di ricorso è in primo luogo improcedibile, laddove censura l’applicazione del CCNL riportandone solo alcuni stralci, senza allegarlo al ricorso, nè indicarne la collocazione in atti. Si è realizzata quindi una violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006) nell’interpretazione che ne hanno dato le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 20075 del 23/09/2010, conf. Sez. L., n. 4350 del 04/03/2015) secondo cui la norma, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretata nel senso che il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Nel caso in cui il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nelle fasi di merito, l’onere della produzione resta contemperato con le indicazioni relative alla necessaria indicazione degli atti posti a fondamento del ricorso e della specifica sede processuale in cui gli stessi sono stati prodotti (Sez. U, Ord. n. 7161 del 25/03/2010).

3.1. Sotto il profilo della denunciata violazione dell’art. 1223 c.c., il motivo è infondato, in quanto la Corte territoriale si è attenuta al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale quando la prestazione non venga resa per fatto illegittimo imputabile al datore di lavoro, nella determinazione della retribuzione da prendere a parametro per il risarcimento del danno occorre ricomprendere non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione non svolta (con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali), in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui (Cass. n. 15066 del 2015, n. 19956 del 2009, n. 3787 del 2009).

3.2. La mancata trascrizione dei conteggi impedisce poi di comprendere le doglianze relative alla correttezza del relativo computo, nè come l’indennità quadri avrebbe potuto essere oggetto di autonoma compensazione, considerato che la Corte territoriale ha argomentato che il dovuto è stato determinato nella misura corrispondente alla differenza tra quanto complessivamente dovuto, sulla base delle voci così come individuate, e quanto percepito.

4. Il secondo motivo è parimenti infondato.

Ed invero, secondo la formulazione dell’art. 2103 c.c. operante ratione temporis, anteriore alle modifiche apportatevi dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 3, comma 1, la tutela apprestata con il rapportare l’equivalenza delle mansioni alle “ultime effettivamente svolte” determina comunque che al lavoratore debba essere consentito di mantenere nelle nuove mansioni, valorizzare, e possibilmente di affinare o arricchire, il livello di conoscenze culturali e di professionalità raggiunto in precedenza, sicchè dev’essere tutelato il patrimonio professionale acquisito (ex multis Cass. n. 9119 del 06/05/2015, n. 1916 del 03/02/2015). In tal senso, non rileva il solo fatto che le mansioni siano inquadrate nel medesimo livello del contratto collettivo, occorrendo anche che esse siano coerenti con la competenza acquisita dal dipendente (Cass. n. 17624 del 05/08/2014). Ciò che nel caso la Corte territoriale ha escluso, con valutazione adeguatamente motivata che ha valorizzato l’eterogeneità qualitativa delle mansioni e l’assenza di potere gerarchico in precedenza esercitato, sulla base della corretta valutazione comparativa dei compiti in concreto assegnati.

5. A fondamento del ricorso incidentale, gli eredi del sig. B. deducono come primo motivo violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 16, all. 7, del C.C.N.L. ferrovieri del 1990/1992. Sostengono che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l’indennità di utilizzazione reparti nautici istituita in favore del personale che presta servizio a bordo con turno di porto sia incompatibile con l’altra indennità prevista dall’art. 15, pure correlata alla prestazione di servizio a bordo. Rileva che l’indennità di utilizzazione reparti nautici di cui all’art. 16 è corrisposta sia al personale con orario di lavoro di sei ore giornaliere per sei giorni la settimana (comma 1) sia al personale che presta servizio a bordo con turno di porto (comma 2), sicchè nessuna incompatibilità sussisterebbe tra le due voci, che peraltro sono riconosciute cumulativamente ai direttori di macchina.

6. Come secondo motivo, deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2115 c.p.c. e lamentano che la Corte territoriale abbia rigettato la domanda di ricostruzione della posizione previdenziale laddove, indipendentemente dall’ottenimento della qualifica superiore di direttore di macchina titolare, il de cuius avrebbe avuto diritto a percepire un differente trattamento di fine rapporto calibrato in relazione all’effettiva retribuzione mensile di cui avrebbe dovuto godere.

7. Come terzo motivo, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2087 c.c. e sostengono che le conclusioni cui è giunto il c.t.u. medico nominato in grado d’appello, recepite dalla Corte territoriale, non possano condividersi là dove hanno escluso il nesso causale tra l’evento illecito e il disturbo certificato. Riferiscono la storia personale e professionale de de cuius e sostengono che da essa in via presuntiva sarebbe stato possibile risalire al danno arrecato.

8. Il primo motivo è improcedibile, per gli stessi motivi già indicati al superiore punto 3, richiedendosi la corretta interpretazione del contratto collettivo che non è prodotto e di cui non viene indicata la collocazione in atti. Esso è peraltro del tutto generico laddove riferisce che le due voci contrattuali vengono normalmente riconosciute ai direttori di macchina, senza supportare tale allegazione con l’indicazione di precisi riscontri fattuali già acquisiti in sede di merito.

9. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto lamenta il mancato riconoscimento dell’indennità di fine rapporto, mentre censura la motivazione della Corte d’appello che si è occupata della (diversa) domanda di adeguamento contributivo. Il motivo non è quindi pertinente alla ratio decidendi adottata dal giudice di merito, mentre la mancata produzione dei conteggi impedisce di comprendere se le differenze sul TFR siano state o meno riconosciute.

10. Il terzo motivo è infondato, in quanto non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, nè – ancor meno – se ne indicano le fonti: in altre parole, si invoca un terzo approccio diretto agli atti e una loro diversa delibazione, il che non è consentito in sede di legittimità. La censura, in sostanza, costituisce mero dissenso non attinente a vizi del processo logico-formale, e si traduce, quindi, in un’ inammissibile critica del convincimento del giudice di merito (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 23775/2013, n. 26558/11; n. 9988/2009 e n. 8654/2008).

11. Entrambi i ricorsi devono quindi essere rigettati, con compensazione tra le parti delle spese del giudizio in ragione della reciproca soccombenza.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo,di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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