Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30569 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 151, presso lo studio dell’avvocato ALIFFI

SILVIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CONIGLIARO MARIO;

– ricorrente –

contro

F.E. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1177/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato ALIFFI SILVIO, con delega deposistata in udienza

dell’Avvocato CONIGLIANO Mario, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 24 febbraio 1987, A. G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Siracusa F.E. esponendo che, con scrittura privata del 16 giugno 1984, il convenuto gli aveva promesso in vendita un appartamento sito in un edificio in corso di costruzione in (OMISSIS); che il prezzo era stato convenuto in complessive L. 53.000.000, delle quali egli aveva versato L. 10.000.000 a titolo di caparra confirmatoria e L. 5.000.000 a titolo di acconto prezzo, mentre L. 15.000.000 si sarebbero dovute corrispondere alla consegna, prevista entro il 31.12.1985, e L. 23.000.000 alla stipula dell’atto di trasferimento, prevista entro il 30 marzo 1985. Non essendogli stato consegnato l’immobile, ed essendo poi risultato lo stesso diverso da quello promesso nelle parti comuni dell’edificio e nella terrazza di pertinenza, l’attore chiese pronunciarsi sentenza ex art. 2932 cod. civ., con condanna del convenuto al risarcimento dei danni da ritardo nella consegna dell’immobile.

La domanda fu accolta disponendosi il trasferimento della proprietà dell’immobile a condizione che venisse pagato il prezzo residuo di L. 36.000.000 con gli interessi legali dal 1.12.1985. Il convenuto fu condannato al risarcimento del danno, liquidato in L. 15.300.000, con gli interessi legali. La sentenza fu impugnata da F. I., quale erede di G..

2. – Con sentenza depositata il 24 gennaio 2006, la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ridusse la statuizione di debenza degli interessi legali sul residuo prezzo e condannò il F. al pagamento, a titolo di danni per ritardata consegna, della somma di Euro 154,94 mensili, con decorrenza dal 25.11.1985 e fino al 25.9.2000, con gli interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo, somme depurate dal netto ricavo dell’attività di custodia giudiziaria. La Corte d’appello osservò che A.G. aveva formulato la domanda di una sentenza che, accertato l’inadempimento di F.E., producesse gli effetti del contratto non concluso, domanda già accolta dal primo giudice con statuizione non impugnata, con conseguente inammissibilità della richiesta, formulata al n. 1 delle conclusioni dell’appellante, di emissione di una nuova decisione meramente ripetitiva del trasferimento di proprietà, già definitivamente pronunciata dal primo giudice.

La Corte giudicò poi inammissibili perchè nuove le domande di risarcimento danni per la mancata disponibilità giuridica dell’immobile, per la mancata disponibilità della somma di L. 15.000.000, per l’immobilizzo del capitale di L. 38.000.000, nonchè le richieste di condanna al pagamento dei canoni di locazione percepiti e non percepiti. Il giudice di secondo grado ritenne poi infondata la richiesta di condanna generica al risarcimento dei danni per difformità dell’immobile, non avendo, per un verso, interesse l’appellante a dimostrare che esso fosse stato abusivamente realizzato in violazione delle disposizioni edilizie, circostanza che, ove accertata, avrebbe comportato la radicale nullità della sentenza impugnata e la impossibilità di trasferire giudizialmente la proprietà dell’immobile realizzato; non avendo, per l’altro, la stessa appellante fornito alcuna prova che le modeste differenze nelle divisioni interne riscontrate dal c.t.u. potessero aver cagionato un danno, e non, invece, reso più razionale la distribuzione degli spazi.

Infondata fu poi giudicata la domanda di liquidazione in misura maggiore dei danni per la minore estensione della terrazza, per la erroneità del criterio estimativo adottato dall’appellante, attesa la sproporzione tra il valore dei vani coperti e quello della terrazza, essendo stato attribuito al prezzo di L. 53.000.000 valore di corrispettivo pattuito per l’intera superficie di 156 mq. promessi in vendita, senza distinzione tra superficie coperta (86 mq) e terrazza (70 mq.), calcolando così il valore della terrazza alla stregua del valore dell’appartamento. Quanto alla richiesta di liquidazione in misura maggiore dei danni per il mancato godimento dell’immobile, attraverso l’estensione del periodo a partire dal 31.12.1984, e fino alla effettiva consegna dell’immobile, il motivo fu ritenuto in parte fondato, opinandosi che dovesse essere anticipata la data di decorrenza iniziale fissata dal primo giudice al 1 dicembre 1985, data di costituzione in mora del venditore, avvenuta con lettera raccomandata recapitata il 25.11.1985. Il termine finale, limitato dal primo giudice al febbraio 1990, data della consegna dell’immobile all’ A. quale custode giudiziario, doveva essere spostato al 25.9.2000, data di pubblicazione della sentenza impugnata, contenente l’ordine al custode di consegna dell’immobile al compratore. Sui relativi importi erano dovuti gli interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo, e le relative somme dovevano essere depurate dal ricavo dell’attività di custodia giudiziaria. Quanto alla impugnazione della liquidazione degli interessi legali in favore del F., osservò la Corte che al risarcimento del danno in favore dell’acquirente per la mancata consegna del bene risultava correlato l’obbligo del pagamento degli interessi sulla somma di L. 15.000.000, corrispondenti alla rata da versare alla consegna dell’immobile. Infine, osservò la Corte che doveva essere confermata la statuizione di compensazione per la metà delle spese di primo grado e che tale statuizione doveva essere applicata a tutte le spese relative a tale fase del giudizio.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre I.F. sulla base di dieci motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., delle regole ermeneutiche di interpretazione degli atti processuali e negoziali, del combinato disposto degli artt. 324, 325, 327 e 329 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 1282, 1499 e 2932 cod. civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che l’appellante, nel chiedere una sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso, avesse formulato una domanda già accolta dal primo giudice, e, quindi, nel dichiararla inammissibile, laddove la prima statuizione condizionava il trasferimento dell’immobile al pagamento in favore di E. F. del prezzo residuo con gli interessi legali entro tre mesi dalla comunicazione della sentenza. Per tale ragione l’appellante aveva riproposto la domanda di trasferimento epurandola da detto condizionamento, ed inoltre aveva chiesto di effettuare il trasferimento in favore di I.F. e non più di I. G., deceduto nelle more del decorso del termine per la impugnazione. La limitazione temporale sarebbe stata illegittima alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il termine per il pagamento del prezzo residuo deve essere fatto decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, e non dalla comunicazione del deposito della stessa. Quanto agli interessi, l’errore sarebbe consistito, oltre che nel non motivare il titolo della debenza degli stessi, nel non considerare che la consegna del bene non era mai avvenuta, sicchè, sospendendosi l’obbligazione del non inadempiente, si sospendeva anche quella accessoria degli interessi, e, d’altra parte, non si poneva neppure l’esigenza compensativa di cui all’art. 1499 cod. civ. Avrebbe ancora errato il secondo giudice nel non considerare che la sentenza di primo grado non aveva mai presupposto un inadempimento dell’ A., e tale risultanza processuale era ormai da considerare coperta da giudicato.

2.1. – La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità.

2.2. – Essa, al di là della evocazione di norme asseritamene violate, si risolve sostanzialmente in una mera critica della interpretazione della domanda operata dal giudice di secondo grado.

3. – La seconda doglianza ha ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonchè delle regole ermeneutiche di interpretazione degli atti processuali e negoziali, e la violazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere nuove le domande di diversa liquidazione dei danni attinenti alla mancata disponibilità giuridica dell’immobile, alla mancata disponibilità della somma di L. 15.000.000 versata in conto prezzo, all’immobilizzo del capitale di L. 38.000.000 quale residuo prezzo dovuto, ai canoni riscossi dal F. dal 31.12.1984, data della prevista consegna, ai canoni di locazione non percepiti, laddove le predette domande erano state espressamente qualificate come domande di danni da ritardo quali sottospecificazioni, di cui il giudice di primo grado non aveva tenuto conto. Pertanto, tali danni si sarebbero dovuti far rientrare nella valutazione complessiva dei danni da ritardo.

4. – Anche tale censura, come quella che la precede, è inammissibile, in quanto intesa a sollecitare una interpretazione delle domande dell’appellante, attuale ricorrente, diversa da quella operata dalla Corte di merito, che ha plausibilmente opinato che la domanda proposta in primo grado da A.G. riguardava il solo risarcimento dei danni conseguiti al ritardo nella consegna del bene, e che, pertanto, le domande di risarcimento di ulteriori danni erano state sollevate per la prima volta nel giudizio di appello.

5. – Con la terza censura, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., dell’art. 1174 cod. civ., dell’art. 1322 c.c., comma 2, nonchè la omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dall’appellante o rilevabile di ufficio. Il giudice di appello aveva ritenuto infondata la domanda relativa al risarcimento dei danni da difformità dell’immobile per non essere stata fornita alcuna prova che le modeste suddivisioni interne riscontrate dal c.t.u. potessero aver cagionato un danno e non avessero invece reso più razionale la distribuzione degli spazi aumentando il valore dell’immobile. In tal modo, si sarebbe ritenuta indifferente la considerazione personalistica della volontà del compratore in ordine alle sue preferenze sulla distribuzione interna dei locali di abitazione, cristallizzate nel contratto preliminare.

Inoltre, sarebbe omessa, insufficiente o contraddittoria la motivazione sul punto anche in riferimento alla mancata considerazione, nel regolamento degli interessi tutelatali in sede risarcitoria, della importanza della terrazza nella valutazione del promissario acquirente al momento della firma del contratto preliminare.

6.1. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.

6.2. – Il giudice di secondo grado ha correttamente ritenuto che facesse carico all’appellante, che aveva chiesto una condanna generica del F. al risarcimento dei danni per difformità dell’immobile da quello convenuto, la dimostrazione di tali danni, ed ha escluso che tale onere probatorio fosse stato dalla stessa assolto in quanto, secondo il suo apprezzamento, non illogico, le modeste differenze nelle divisioni interne riscontrate dal c.t.u. non erano, di per sè, idonee a dimostrare il danno.

7. – Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., dell’art. 1174 c.c. e dell’art. 1322 c.c., comma 2, nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dall’appellante o rilevabile d’ufficio. Avrebbe errato il secondo giudice nel ritenere infondata la domanda di liquidazione in misura maggiore dei danni per la minore estensione della terrazza, sostenendo che il valore della terrazza non poteva essere considerato alla stregua del valore del fabbricato coperto, senza tener presente che, nelle preferenze del promissario acquirente, una terrazza con estensione inferiore di 25 mq. rispetto ai 70 previsti dal preliminare avrebbe potuto giocare un ruolo importante nel considerare l’oggetto compravenduto meno soddisfacente.

8. – Anche tale censura risulta destituita di fondamento, ove si consideri che la Corte di merito ha adeguatamente e non illogicamente motivato il proprio convincimento alla luce del rilievo che il criterio estimativo proposto dall’appellante, che non faceva distinzione tra superficie coperta e terrazza, non era condivisibile, avuto riguardo alla obiettiva sproporzione tra il valore dei vani coperti e quello della terrazza, indipendentemente dalle personali preferenze, e alla luce della circostanza che il prezzo era convenuto a corpo e non a misura.

9. – Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1221 cod. civ., degli artt. 324 e 325 cod. proc. civ., del principio dispositivo e del principio della domanda in materia processuale, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Avrebbe ancora errato la Corte d’appello nel ritenere che i danni da ritardo in favore dell’appellante dovessero arrestarsi alla data del 25.9.2000, data di pubblicazione della sentenza contenente l’ordine al custode di consegna dell’immobile al compratore: ciò in quanto non era avvenuto il pagamento del residuo prezzo (e, con esso, l’acquisto in capo al promissario acquirente):

pagamento che, del resto, non costituiva nemmeno un obbligo giuridico – e che la ricorrente ritiene ingiusto ed illegittimo – fino a quando fosse stata possibile l’impugnazione della sentenza. Nè era stato considerato l’effetto della perpetuatio obligationis discendente dalla mora, che connotava la posizione di inadempimento del promittente venditore fin dal 25.11.1985, e che non poteva essere interrotta dall’intervento di un custode giudiziario che “spossessasse” il debitore.

10.1. – La doglianza è infondata.

10.2. – Il termine finale del periodo in relazione al quale fissare la liquidazione a carico del F. dei danni per il mancato godimento dell’immobile è stato correttamente individuato nella data di pubblicazione della sentenza esecutiva contenente l’ordine al custode di consegna dell’immobile all’acquirente perchè l’inottemperanza a tale ordine non si sarebbe potuta imputare al F., tenuto al versamento della somma corrispondente a tale voce di danno. Una volta impartito l’ordine, nessuna incidenza poteva esercitare la circostanza che non fosse stato effettuato il pagamento del prezzo residuo, nè la perpetuatio obligationis discendente dalla mora a carico del venditore inadempiente.

11. – Con la sesta censura si deduce violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), del giudicato interno (art. 324 cod. proc. civ.) e degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. La statuizione contenuta nella sentenza impugnata relativa alla necessità di depurare le somme liquidate dal netto ricavo dell’attività di custodia giudiziaria violerebbe il divieto per il giudice di appello di riformare in peius capi della sentenza mai impugnati, in ossequio al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del giudicato interno, ed inoltre conterrebbe l’errore di aver ritenuto, senza motivazione, come indebita duplicazione del risarcimento del danno l’attribuzione dei canoni di locazione all’acquirente, laddove sarebbe normativamente previsto che il netto ricavo dell’attività di custodia, rappresentando quel lucro cessante cui il creditore ha diritto ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. anche per il semplice ritardo nell’adempimento, sia riconosciuto insieme ai danni per la perdita subita, ossia al danno emergente. In definitiva, i canoni dovevano essere riconosciuti in aggiunta ai danni per mancato godimento.

12. – La doglianza si rivela infondata sol che si consideri che la statuizione relativa alla necessaria depurazione delle somme dovute all’appellante dal netto ricavo dell’attività di custodia giudiziaria si è inserita nel quadro generale della determinazione, richiesta dall’appellante, delle somme da liquidare in favore della I., in cui la mancata detrazione dalla somma complessivamente dovuta dei canoni di locazione ricavati percepiti durante il periodo di affidamento della custodia del bene in contesa all’ A. avrebbe determinato una indebita locupletazione in favore dello stesso.

13. – Con il settimo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1282, 1499, 1460 cod. civ. e art. 324 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere dovuti al F. gli interessi sul residuo prezzo da corrispondersi alla consegna, laddove sarebbe stata nella specie pienamente operativa la efficacia sospensiva della eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.) sulla obbligazione di corrispondere la somma residua di quindici milioni di lire al momento della consegna, mai avvenuta, e quindi sulla obbligazione accessoria di corrispondere gli interessi.

14.1. – La censura è fondata.

14.2. – L’obbligazione relativa alla corresponsione degli interessi sulla somma residua che l’ A. era tenuto a versare al F. al momento della consegna del bene venduto, siccome accessoria a quella avente ad oggetto il pagamento del prezzo residuo, non era operativa in quanto presupponeva la consegna del bene, in assenza della quale il prezzo non era esigibile.

Ne consegue che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto in favore del F. la debenza degli interessi sulla somma di L. quindici milioni che l’ A. avrebbe dovuto corrispondergli alla consegna del bene, deve essere cassata.

15. – Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324, 112, 91 cod. proc. civ. Avendo la sentenza di primo grado posto le spese di custodia per intero a carico del convenuto, e non essendo stato tale punto impugnato, non avrebbe potuto il giudice di secondo grado modificarlo in peius.

16.1. – Anche tale censura coglie nel segno.

16.2. – La decisione del Tribunale di Siracusa aveva posto le spese di custodia per intero a carico del convenuto. Tale statuizione non era stata impugnata da quest’ultimo: dunque, in ossequio al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte di merito non avrebbe dovuto operare la modifica al regolamento di tali spese ricomprendendole tra quelle di cui ha ordinato la compensazione nella misura della metà tra le parti, e così determinare, con la sua decisione, un effetto sfavorevole per l’appellante.

17. – Con il nono motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 99 e 91 cod. proc. civ., art. 2907 cod. civ. e delle regole ermeneutiche sull’interpretazione degli atti processuali e negoziali, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione. Sarebbe errata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale l’ammontare delle spese processuali liquidato dal primo giudice non risulterebbe oggetto di specifica impugnazione. Infatti, nell’atto di appello, si era chiesta la condanna dell’appellato a rimborsare all’appellante l’importo di tutte le spese, poi specificamente indicate, tra le quali le spese legali e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.

18. – La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non contiene la espressa enunciazione della asserita specifica impugnazione del regolamento delle spese processuali operato dal giudice di primo grado.

19. – Resta assorbito dall’accoglimento del settimo e dell’ottavo motivo del ricorso l’esame del decimo motivo, con il quale si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, sotto il profilo della erroneità della dichiarazione di non ripetibilità delle spese processuali relative al giudizio di appello, in quanto fondata sull’erroneo presupposto che le spese di tale giudizio richieste fossero superflue od eccessive, laddove si era trattato di spese necessarie per ottenere la riforma di una sentenza ingiusta, ed infatti parzialmente modificata dal giudice di appello.

20. – In definitiva, devono essere accolti il settimo e l’ottavo motivo del ricorso, assorbito il decimo, e rigettati gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata ad un diverso giudice, che viene individuato in altra Sezione della Corte d’appello di Catania – cui viene altresì demandato il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia alla luce dei rilievi svolti sub 14.2. e 16.2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il settimo e l’ottavo motivo, assorbito il decimo, e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d’appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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