Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30564 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 28/10/2021), n.30564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24370-2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio del Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUIGI PACCIONE;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO GIOVANNI PAOLO

II, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

LUCISANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ELIO VULPIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 928/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 07/04/2015 R.G.N. 3381/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con la domanda di primo grado B.A., premesso di avere presentato domanda di partecipazione alla procedura indetta con avviso pubblico dal Direttore Generale dell’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” per l’incarico di medico competente per la sorveglianza, avente durata triennale, che il Direttore Generale aveva conferito l’incarico senza la prescritta comparazione dei curricula dei candidati, ha chiesto, previa disapplicazione dell’atto con il quale l’incarico era stato conferito al Dott. A., dichiararsi l’obbligo della Commissione consultiva di procedere alla valutazione comparativa dei candidati e la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno alla carriera, patrimoniale e morale conseguente alla illegittima condotta dell’istituto;

2. il giudice di primo grado ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo;

3. la Corte di appello di Bari, confermata la statuizione sulla giurisdizione, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che il processo doveva essere riassunto dinanzi al giudice amministrativo nel termine di cui all’art. 50 c.p.c.;

3.1. la statuizione di conferma della giurisdizione del giudice amministrativo è stata fondata sulla natura concorsuale della procedura in oggetto; l’accoglimento del gravame relativo alla fissazione di un termine per la riassunzione dinanzi al giudice amministrativo è stata fondata sulla ritenuta applicabilità del disposto della L. n. 68 del 1999, art. 59 applicabile ratione temporis quale norma processuale; la fissazione del termine di tre mesi per la riassunzione è avvenuta in applicazione analogica dell’art. 50 c.p.c. in tema di competenza;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.A., originaria ricorrente, sulla base di tre motivi; l’Istituto di ricovero e cura a carattere Scientifico ” Giovanni Paolo II” ha resistito con tempestivo controricorso; l’intimato A.M., non ha svolto attività difensiva;

5. parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione ed omessa applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 59 il cui comma 2 fissa il termine perentorio di riassunzione nei tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia, censurando l’applicazione in via analogica del disposto dell’art. 50 c.p.c. (in materia di regolamento di competenza);

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 5, artt. 430,437 e 438 c.p.c., denunziando nullità della sentenza per insanabile contrasto nell’ambito del dispositivo in ordine al regolamento delle spese di lite;

3. con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 91 e 436 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere liquidato le spese di lite in favore dell’appellato A., nonostante la tardiva costituzione di questi in violazione del termine di cui all’art. 436 c.p.c.;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile; dalla sentenza di appello si evince che la Corte di merito ha determinato il termine di riassunzione del giudizio davanti al giudice amministrativo in accoglimento dello specifico motivo di gravame formulato dall’appellante B., che con il secondo motivo di appello si era doluta della mancata fissazione da parte del primo giudice di un termine per la riassunzione; tanto premesso, l’interesse all’impugnazione, manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la quale l’impugnazione è inammissibile (Cass. 8934/201326921/2008); in tale contesto, la mera deduzione di violazione del disposto della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 2, in tema di conservazione degli effetti processuali e sostanziali connessa alla riassunzione nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronunzia sulla giurisdizione, non corredata, in violazione del principio di specificità, dalla trascrizione o esposizione per riassunto degli atti di riferimento (ed in particolare del secondo motivo dell’appello della B.) è inidonea a sostanziare, nei suoi profili di concretezza ed attualità, l’interesse ad impugnare della odierna ricorrente; tanto assorbe l’ulteriore profilo di inammissibilità scaturente dall’erronea sussunzione del vizio dedotto all’ambito della violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 anziché dell’error in procedendo, denunziabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 21165/2013, 7268/2012);

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile; il dispositivo della sentenza di appello, con riferimento al regolamento delle spese di lite, dopo la statuizione di parziale accoglimento del gravame della B., così si esprime: ” Conferma, nel resto, l’impugnata sentenza, anche relativamente alla statuizione sulle spese. Compensa interamente tra l’appellante e l’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” le spese del presente grado del giudizio. Condanna l’appellante al pagamento in favore degli appellati, delle spese del presente grado, che liquida, per ciascuno di essi in Euro 2.000,00, oltre IVA e CAP come per legge.”. Il giudice di appello ha così motivato il regolamento delle spese di lite di secondo grado: “Considerato l’esito complessivo del giudizio (con riferimento all’unica questione esaminata), le spese del presente grado vanno poste a carico della parte appellante, ferma restando la già disposta compensazione delle spese del primo grado”. Il contenuto del dispositivo della sentenza di appello, caratterizzato dalla presenza di due disposizioni assolutamente inconciliabili, di compensazione delle spese di secondo grado e di condanna dell’appellante alla rifusione delle stesse, tenuto conto anche della parte motiva della decisione che in termini inequivoci pone a carico dell’appellante B. le spese di lite di secondo grado (Cass. n. 12841/2016), rende evidente la natura materiale dell’errore nella redazione del dispositivo, costituito dalla “doppia” statuizione sulle spese di secondo grado, frutto di un difetto di corrispondenza tra la ideazione del giudice e la sua rappresentazione grafica; da tanto deriva che il rimedio esperibile era costituito, ai sensi dell’art. 287 c.p.c., dal procedimento di correzione dell’errore materiale dinanzi alla Corte di merito, e non, come viceversa avvenuto, quello del ricorso per cassazione (Cass. 668/2019, 15321/2012);

6. il terzo motivo di ricorso presenta un profilo di inammissibilità, per difetto di specificità, non avendo parte ricorrente provveduto alla esposizione della vicenda processuale in termini sufficienti a consentire al giudice di legittimità, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, la verifica del fatto alla base della denunzia articolata, rappresentato dalla tardiva costituzione in secondo grado dell’appellato A. (Cass. 12761/2004, Sez. Un. 2602/2003, 4743/2001);

6.1. in ogni caso, la censura è infondata nel merito alla luce della condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel rito del lavoro, la costituzione dell’appellato mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, da effettuarsi entro il termine previsto dall’art. 436 c.p.c., comma 1, si configura come un onere per l’appellato e non già come una modalità essenziale per la costituzione; ne consegue che, quantunque dall’inottemperanza al predetto onere scaturiscano preclusioni e decadenze, non può negarsi all’appellato che non si sia costituito tempestivamente in giudizio la facoltà di operare la costituzione dopo la scadenza del termine di legge, sia pure al solo fine di esercitare il suo diritto di difesa in sede di discussione orale, con l’ulteriore conseguenza che, qualora l’esito della lite sia a lui favorevole, è del tutto legittima la condanna del soccombente al rimborso, in favore del medesimo appellato, delle spese realmente sopportate come pure dei diritti di procuratore ed onorari di avvocato in relazione ai compiti espletati dal difensore (Cass. 5791/2000, 3961/1996);

7. al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;

8. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019, in motivazione).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

 

 

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