Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30562 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 22/11/2019), n.30562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17017/2015 proposto da:

IRFIS – FINANZIARIA PER LO SVILUPPO SICILIA S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

LOTTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FABRIZIO DAVERIO, SALVATORE FLORIO;

– ricorrente –

contro

G.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANDREA AVOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1071/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/06/2014 R.G.N. 1316/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Palermo, in accoglimento del ricorso proposto da G.A., in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha dichiarato costituito con la Irfis Finsicilia s.p.a. un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 2 agosto 2005 ed ha condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura di sei mensilità della retribuzione globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge ed al pagamento delle retribuzioni dalla sentenza.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Irfis Finsicilia s.p.a. che ha articolato due motivi ai quali resiste con controricorso G.A.. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 20,21 e 27; artt. 1321,1362,1363 e 2697 c.c. e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe ritenuto generiche le causali apposte ai contratti di somministrazione intercorsi con la G. (ragioni di carattere produttivo per il contratto del 2 agosto 2005 ed esigenze di lavoro aggiuntivo per il contratto del 13 marzo 2006) sebbene, ad una corretta interpretazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, non consegua che il contratto commerciale debba essere assistito da una causale caratterizzata da una specificità tale da richiedere l’indicazione nel dettaglio delle ragioni che hanno determinato il ricorso alla somministrazione di lavoro. Osserva che la norma dispone, diversamente dal caso dei contratti a termine, che il contratto debba contenere l’indicazione delle ragioni e non che le stesse siano specificate. Ritiene perciò sufficiente, come nel caso in esame, l’indicazione del numero dei lavoratori da utilizzare, le ragioni sottostanti la somministrazione, l’inquadramento e le mansioni, il periodo e l’unità produttiva o la zona di destinazione e rileva che tutte le dette circostanze erano chiaramente riportate nei contratti oggetto di contestazione. Rileva inoltre che tali circostanze erano state correttamente allegate e dimostrate con la produzione dei relativi contratti e che la lavoratrice era stata posta in grado, in concreto, di verificarne l’esistenza.

4. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene la ricorrente che la sentenza con motivazione apodittica ed astratta ha accolto il ricorso di appello della G. e riformato la sentenza di primo grado trascurando di considerare, diversamente dal primo giudice, che vi erano elementi per ritenere accertata la sussistenza delle ragioni organizzative sottese ai contratti.

5. Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

5.1. Inammissibili laddove chiedono un nuovo esame del materiale probatorio già sottoposto all’attenzione dei giudici di merito e da questi preso in considerazione sebbene con esiti diversi da quelli auspicati dalla società ricorrente. Secondo la ricorrente il riferimento all’ufficio di destinazione (ufficio agevolazioni) e la documentazione dalla quale si evinceva le attività proprie di quell’ufficio sarebbero stati elementi sufficienti per la lavoratrice per comprendere e valutare le ragioni che comunque sussistevano. Tuttavia la Corte territoriale ha preso in esame la documentazione prodotta. Ha ricostruito correttamente il quadro normativo e, con valutazione di fatto riservatale ed esente da errori, ha escluso, in concreto, che la causale avesse quel grado di determinatezza necessario.

5.2. Come è noto la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’impresa. La norma introduce una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, per cui si impone più che mai la necessità di una verifica diretta ad accertare, non la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine (come, invece, previsto espressamente dalla norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 3, diretto a mantenere in vita fino alla scadenza le clausole dei contratti collettivi stipulati ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1), quanto, piuttosto, la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente, allo scopo di escludere il rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dalla norma di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, o se non addirittura il rischio del superamento del limite rappresentato dalla necessità che non siano perseguite finalità elusive delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo atte ad integrare l’ipotesi, sanzionata, della somministrazione fraudolenta (cfr. Cass. 15/07/2011 n. 15610).

5.3. Correttamente la Corte d’appello ha affrontato la questione pervenendo alla conclusione che, poichè il controllo giudiziario sulle ragioni che consentono la somministrazione è limitato per legge all’accertamento dell’esistenza di quelle stesse ragioni che la norma pone a base del ricorso ad una tale tipologia di contratto e non può estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, rimane ferma la necessità che la società convenuta in giudizio dia la dimostrazione della effettiva esistenza dell’esigenza alla quale si ricollega la singola assunzione del lavoratore. Tale soluzione è perfettamente logica in quanto risponde alle suddette esigenze di verifica del rispetto del summenzionato dettato normativo di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, sulle causali che consentono il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, oltre che del divieto di ricorso a forme di somministrazione fraudolenta.

5.4. Con argomentazione assolutamente congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che le causali dei due contratti – “ragioni di carattere produttivo” per il contratto del 2 agosto 2005 e “ragioni di carattere organizzativo relative ad esigenze di lavoro aggiuntivo” per il contratto 13 marzo 2006 – non riportavano alcun elemento che potesse poi consentire una verifica della effettiva esistenza della causale.

5.5. L’indicazione delle ragioni giustificative non può essere tautologica, nè può essere generica, dovendo esplicitare, onde consentirne lo scrutinio in sede giudiziaria, il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (cfr. Cass. n. 22381 del 2018 ed ivi le richiamate Cass. n. 9121de1 2016 e nn. 17540 e 20001 del 2014. Si veda poi da ultimo anche Cass. 08/01/2019 n. 197).

5.6. Proprio in tale ultima decisione (Cass. n. 197 del 2019 cit.) si è osservato che le disposizioni che disciplinano il lavoro somministrato lette in modo sistematico, impongono che nel contratto di somministrazione siano indicate le ragioni dell’utilizzazione di lavoratori a tempo determinato e che le stesse siano esplicitate nella loro fattualità, in modo da rendere chiaramente percepibile l’esigenza addotta dall’utilizzatore e il rapporto causale tra la stessa e l’assunzione del singolo lavoratore somministrato” e si è del pari chiarito che “dal punto di vista logico, in tanto è possibile una verifica sulla effettiva sussistenza della causale in quanto questa risulti esplicitata e descritta in maniera specifica e con riferimento ad elementi fattuali suscettibili di riscontro”. Infatti, “ammettere che il contratto di somministrazione possa tacere, puramente e semplicemente, le ragioni della somministrazione a tempo determinato riservandosi di enunciarle solo a posteriori in ragione della convenienza del momento, vanificherebbe in toto l’impianto della legge e siffatta omissione sarebbe indice inequivocabile di frode alla legge o di deviazione causale del contratto, entrambe sanzionate con la nullità. Sarebbe infatti svuotata di contenuto ogni verifica sulla effettività della causale ove questa potesse essere non indicata o solo genericamente indicata nel contratto.” (Cass. n. 197/2019 cit. ed ivi la citata Cass. n. 17540 del 2014).

6. In conclusione, per le ragioni su esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, mma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater,dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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