Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30559 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 26/11/2018), n.30559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16934/2017 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE

13 (C/O CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI

GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, CARLA

D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 990/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/12/2016 R.G.N. 13/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza n. 990/2016 della Corte d’Appello di Salerno, accogliendo parzialmente, per quanto qui ancora interessa, con riferimento alla sola regolazione delle spese di giudizio, il gravame incidentale proposto dall’I.N.P.S. avverso la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva riconosciuto il diritto di B.G. all’iscrizione quale bracciante agricola per 102 giornate nell’anno 2007, compensava le spese di primo grado, modificando la statuizione di condanna a carico dell’I.N.P.S. formulata dal Tribunale, nonchè poi quelle di secondo grado;

avverso tale sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, poi illustrato da memoria e resistito da controricorso I.N.P.S..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo la ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che vi sarebbe stata violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., anche con riferimento al D.L. n. 7 del 1970, art. 22, oltre ad erronea valutazione dei fatti di causa e dei documenti depositati nel giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte illegittimamente disposto la compensazione delle spese dei due gradi;

il motivo va disatteso;

la sentenza impugnata ha motivato la decisione di accogliere l’appello incidentale proposto dall’INPS, finalizzato ad ottenere la compensazione delle spese di primo grado, con riferimento a concrete circostanze in fatto che ha ravvisato nella sussistenza di “serie e gravi risultanze ispettive (…) le quali avevano evidenziato un consistente impianto frodatorio volto a far risultare una moltitudine di fittizi rapporti di lavoro agricolo (…) desumibile tra l’altro: – dalla costante conduzione antieconomica dell’azienda; – dalla mancanza di documentazione sufficientemente attestante l’effettività dell’attività”, il che giustificava il “comportamento doverosamente improntato alla cura di interessi pubblicistici consistenti nella migliore gestione delle risorse affidategli (…) a fronte di risultanze ispettive tali comunque da gettare una seria ombra sulla genuinità dei rapporti lavorativi facenti capo all’azienda datoriale”;

si tratta, dunque, di valutazioni ed apprezzamenti di merito non implausibili e pertanto non passibili di sindacato di legittimità, che hanno condotto la Corte territoriale a ritenere sussistenti i presupposti per compensare le spese, a nulla rilevando il fatto, su cui si insiste nel ricorso per cassazione, che i rilievi ispettivi facessero leva precipuamente su incongruenze del numero dei lavoratori rispetto alle risultanze fiscali (basso volume d’affari) dell’azienda, in quanto ciò non toglie che si trattasse di dato indiziario che potesse suscitare incertezza nell’ente rispetto all’effettività dei rapporti bracciantili;

l’art. 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (che è quello anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 1, riguardanti i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore di esse, e dunque dopo il 4.7.2009, mentre la presente causa è iniziata il 27.2.2009) prevedeva del resto che a legittimare la compensazione necessitassero, a parte il caso della reciproca soccombenza, “altri giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione”, ipotesi certamente integrata dalla valorizzazione, di cui alla sentenza impugnata, di specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (v. in tal senso, rispetto al successivo e più restrittivo requisito delle “gravi ed eccezionali ragioni”, Cass. 31 maggio 2016, n. 11217; Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 11 luglio 2014, n. 16037);

peraltro, nella giurisprudenza di legittimità in tema di spese processuali, è consolidato il principio secondo cui il sindacato della Corte Suprema di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. 17 ottobre 2017 n. 24502; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317);

rispetto alle spese del giudizio di legittimità, si rileva che nel ricorso per cassazione è richiamata la dichiarazione di esenzione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., resa in primo grado la quale, come da costante orientamento di questa Corte, in assenza di variazioni reddituali note, va tenuta presenta anche per quanto attiene ai gradi successivi (Cass. 20 settembre 2013, n. 16284; Cass. 26 luglio 2011, n. 21630);

pertanto, nonostante la soccombenza, non vi è luogo a condanna della ricorrente a rifondere a controparte le spese del presente grado di giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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