Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30558 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 22/11/2019), n.30558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13315/2018 proposto da:

HERTZ ITALIANA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

AVIGNONESI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ABBAMONTE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO CARBONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1306/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/02/2018 R.G.N. 3067/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO CURATOLA per delega verbale Avvocato ROBERTO

PESSI;

udito l’Avvocato ANGELO CARBONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1306/2018, pubblicata il 22 febbraio 2018, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato, con lettera del 9/6/2016, a A.F. da Hertz Italiana S.r.l. a motivo della conoscenza, da parte del lavoratore, della prassi irregolare instaurata nella procedura di aggiudicazione delle gare aventi ad oggetto la riparazione dei veicoli aziendali e per avere contribuito allo svolgimento delle stesse e al conseguente affidamento dei lavori.

2. La Corte ha rilevato, a sostegno della propria decisione, in primo luogo, la difformità tra la contestazione, sulla base della quale il licenziamento era stato disposto, e la difesa giudiziale del datore di lavoro, che aveva ampliato indebitamente la portata dell’addebito disciplinare aggiungendo l’elemento ulteriore della mancata denuncia dell’attività fraudolenta; ha, in ogni caso, ritenuto che nessun rimprovero potesse essere rivolto al lavoratore, sul rilievo che il compito di vigilare sulla corretta procedura di affidamento delle gare e di riferire alla direzione aziendale eventuali irregolarità riscontrate spettava al suo superiore gerarchico e che era stato proprio e solo quest’ultimo a gestire e organizzare in tutte le sue fasi la procedura, senza che all’ A. fosse attribuibile alcun comportamento colposo in grado di agevolarne l’attuazione nè fosse dal medesimo esercitata alcuna mansione che vi potesse influire: premesse sulle quali riteneva condivisibile la decisione del primo giudice di applicare la tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con due motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.

4. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e art. 18, comma 4, per avere la Corte erroneamente ritenuto che la lettera di contestazione disciplinare avesse ad oggetto soltanto la conoscenza del sistema alterato di affidamento degli incarichi di riparazione e manutenzione delle vetture mentre essa comprendeva anche l’addebito al lavoratore di avere omesso di denunciare tale sistema ai superiori gerarchici e, di conseguenza, erroneamente ritenuto che il datore di lavoro, ponendo alla base del licenziamento l’omessa denuncia, ne avesse indebitamente ampliato il contenuto.

2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,2104,2105,2106,1175 e 1375 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18, per avere la Corte escluso che il lavoratore fosse tenuto alla denuncia, posto che le comunicazioni di posta elettronica dallo stesso ricevute (per conoscenza), rivelatrici della irregolarità della procedura di aggiudicazione, erano conosciute anche dal suo diretto superiore gerarchico, senza peraltro considerare la maggiore ampiezza degli obblighi di diligenza e di fedeltà che fanno capo a qualunque lavoratore, in relazione ai doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, e senza esaminare il Codice Etico interno dell’azienda, recepito espressamente dall’ A. al momento dell’assunzione e contenente specifiche previsioni, anche di carattere procedurale, per il caso del dipendente che fosse informato di eventuali infrazioni da parte di colleghi.

3. Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini di seguito precisati.

4. Secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte rispetto ai contratti ma che possono trovare applicazione anche nell’interpretazione degli atti unilaterali, la contestazione svolta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una interpretazione alternativa della dichiarazione unilaterale, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata (Cass. n. 15471/2017).

5. E’ stato inoltre affermato che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss.; con la conseguenza che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante la specifica indicazione delle norme, che assume violate, e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. n. 27136/2017).

6. Tali principi trovano applicazione nel caso di specie, ove la ricorrente, senza prospettare la violazione dei canoni di ermeneutica negoziale, si limita ad offrire una lettura alternativa della lettera di contestazione disciplinare rispetto a quella svolta dalla Corte di merito, senza adeguatamente censurare, in particolare, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata (p. 3), secondo la quale l’unica condotta addebitata al dipendente era “soltanto la conoscenza” del sistema irregolare di aggiudicazione degli incarichi.

7. Ciò posto, e fermo, pertanto, l’accertamento compiuto in sede di merito circa il contenuto della lettera di contestazione, si deve rilevare come la Corte abbia omesso di verificare se il comportamento del dipendente, il quale, pur senza cooperarvi, abbia conoscenza e assista alla realizzazione di condotte che ledono l’interesse dell’impresa, possa integrare la nozione legale di giusta causa ex art. 2119 c.c., avuto riguardo agli obblighi di diligenza e di fedeltà previsti per il lavoratore dagli artt. 2104 e 2105 c.c.: obblighi il cui inadempimento deve essere valutato, sotto il profilo della gravità e della idoneità a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario, alla stregua di un’attenta e approfondita considerazione delle circostanze del caso concreto, ivi comprese direttive o disposizioni del datore di lavoro, o norme interne, volte ad impedire il compimento di tali condotte lesive o la loro reiterazione.

8. Giova peraltro ribadire, su un piano generale e alla luce di consolidati esiti interpretativi, come il criterio della diligenza non debba essere commisurato soltanto al tipo di attività che è oggetto della prestazione, alle mansioni e alla qualifica professionale del dipendente, ma debba correlarsi, in una prospettiva più ampia che travalichi i caratteri dell’attività lavorativa in senso stretto, all’interesse dell’impresa (art. 2104 c.c.) e, pertanto, sia alle esigenze di organizzazione della struttura, in cui il rapporto si inserisce, sia all’interesse datoriale al suo corretto funzionamento; come soprattutto deve ribadirsi, con riferimento all’ambito di applicabilità dell’art. 2105 c.c., il principio di diritto, secondo il quale dal collegamento dell’obbligo di fedeltà “con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., deriva che il lavoratore deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dal suddetto art. 2105, ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto” (Cass. n. 6957/2005, fra le molte conformi).

9. E’, inoltre, del tutto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio, secondo il quale, al fine di stabilire se sussista la giusta causa di licenziamento e se sia stata rispettata la regola (art. 2106 c.c.) della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere l’applicazione di una sanzione non minore di quella massima (cfr. in tal senso, fra le più recenti, Cass. n. 12798/2018).

10. Ne consegue che l’impugnata sentenza n. 1306/2018 della Corte di appello di Napoli deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, avrà cura di compiere l’indagine sopra delineata sub 7 e di applicare i principi di diritto richiamati sub 8 e 9.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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