Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30556 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 22/11/2019), n.30556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23219-2014 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DE

SANCTIS 15 presso lo studio dell’avvocato MARIA ELENA DE STEFANO

(studio legale Polese rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO

ZAULI;

– ricorrente –

contro

COLAS PULIZIE INDUSTRIALI SEZIONE VIGILANZA SOCIETA’ COOPERATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 408/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/04/2014 R.G.N. 1057/2012.

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

la sig.ra R.A., guardia particolare giurata presso la società cooperativa COLAS Pulizie Industriali – sezione vigilanza, chiedeva ed otteneva dal giudice del lavoro di Ravenna decreto ingiuntivo, volto ad ottenere il pagamento per emolumenti corrisposti in misura inferiore al salario unico nazionale, per maggiorazioni ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 e per 14a mensilità relativa agli anni 2008/2009;

il decreto ingiuntivo veniva opposto della società;

con sentenza n. 110/2012 il giudice adito, ritenuta dovuta la somma richiesta a titolo di maggiorazione ai sensi del citato art. 5 in ragione di Euro 284, non contestata, ritenuta altresì pacifica la mancata corresponsione della somma di Euro 10,33, nella retribuzione pagata titolo di 14a mensilità rispetto a quanto dovuto in base al salario nazionale, aveva quindi condannato parte opponente al pagamento del complessivo importo di Euro 244,33 oltre accessori, accogliendo per il resto l’opposizione con conseguente revoca del provvedimento monitorio;

la sentenza veniva appellata dalla R. e la Corte d’Appello di Bologna con la pronuncia n. 408 in data 18 marzo – 28 aprile 2014 rigettava l’interposto gravame, compensando le relative spese;

avverso la pronuncia di appello è stato proposto ricorso per cassazione dalla signora R. come da atto notificato in data 26 settembre 2014 a mezzo posta, pervenuta a destinazione successivo il 2 ottobre, affidato a 10 motivi;

la società cooperativa COLAS è rimasta intimata;

non risultano depositate memorie illustrative;

le doglianze di parte ricorrente possono sintetizzarsi nei seguenti termini:

1. violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 107 del C.C.N.L. vigilanza privata 2004-08 e art. 36 Cost. nonchè artt. 2077 e 2099 c.c., in relazione all’erronea mancata liquidazione delle spettanze retributive, assumendosi aver la Corte territoriale erroneamente escluso la spettanza delle somme a titolo di differenze retributive, attesa la specificità delle allegazioni in ordine alle rivendicate competenze, donde l’erronea statuizione di genericità della domanda;

2. omesso esame di fatto decisivo in quanto la Corte distrettuale non aveva considerato che essa ricorrente in appello aveva puntualmente specificato le voci per cui era stata dedotta la differenza retributiva esplicitata nella domanda e poi riassunta nel prospetto contabile;

3. nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. “con riferimento all’erronea valutazione delle prove dell’inesistente genericità della richiesta di condanna al pagamento delle differenze retributive e, quindi, ex art. 360 c.p.c., n. 4”;

4. violazione dell’art. 2097 nonchè degli artt. 1 e 61 c.p.c., per la ritenuta inammissibilità della c.t.u. contabile, ex art. 360 c.p.c., n. 3;

5. nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c. nonchè art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione contraddittoria e non autosufficiente e vizio di omessa pronuncia;

6. violazione e falsa applicazione nel caso di specie del contratto intervenuto tra la società convenuta e le organizzazioni Cgil, Cisl e Uil (il contratto o accordo aziendale datato 19-02-2003, peraltro neanche specificamente richiamato nell’indice delle produzioni a pag. 40 del ricorso, laddove sub. n. 6 è indicato il solo c.c.n.l. integrale, non risulta comunque essere stato riprodotto ex art. 366 c.p.c., n. 6, sicchè a nulla rileva anche la sua asserita inapplicabilità nella specie, essendo iniziato il rapporto di lavoro de quo da epoca successiva, il 17 luglio 2006, in ordine alla pure dedotta inderogabilità del c.c.n.l. 2004-08 di cui al menzionato accordo di rinnovazione in data 2 maggio 2006, però anch’esso nemmeno riprodotto);

7. omesso esame del fatto che il contratto collettivo oggetto d’ispezione era stato valutato soltanto ed esclusivamente in relazione agli artt. 75 e 77 dello stesso contratto, concernenti l’attività prestata nei giorni domenicali nonchè durante l’orario giornaliero di lavoro, di modo che l’intervento ispettivo non aveva attinenza con la causa petendi;

8. violazione degli artt. 106 e 107 del c.c.n.l. vigilanza 2004 – 2008, avendo la Corte territoriale erroneamente escluso che la retribuzione percepita dalla ricorrente fosse inferiore al minimo della paga base;

9. “violazione e falsa applicazione di norma di legge o dei contratti collettivi nazionali in riferimento all’autonomia del salario unico nazionale da quegli elementi accessori e saltuari che sono voci autonome della retribuzione di fatto così come dalle indennità continuative in relazione agli artt. 106, 108 e 112 c.c.n.l. vigilanza 2004-2008 e quindi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”;

10. violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., in relazione alla mancata effettiva ed efficace contestazione dei conteggi prodotti, ciò che avrebbe dovuto giustificare da parte de giudicante il riconoscimento delle spettanze a titolo di differenze retributive, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, visto che la contestazione dei conteggi da parte di COLAS era limitata all’eccezione di genericità;

RILEVATO, ancora, che dalla pronuncia di appello qui impugnata si evince come la sig.ra R. con l’interposto gravame avesse chiesto di accertare il suo credito in ragione della somma di Euro 1327,36, corrispondente alla differenza tra l’importo di Euro 1571,36 dovutole e quello di Euro 244,39 già riconosciuto in prime cure, ed altresì la condanna dell’appellata al pagamento della somma di Euro 1000 ai sensi e per gli effetti dell’art. 96 c.p.c.;

che Corte d’Appello dava atto che la R. aveva fondato il proprio gravame sostenendo l’erroneità della gravata pronuncia per aver giudicato generica la domanda in ordine alla corresponsione in busta paga di una retribuzione inferiore al minimo garantito dal contratto collettivo, per non avere disposto c.t.u. contabile che avrebbe fatto chiarezza, per irragionevolezza della decisione appellata e per la sua carenza di motivazione. Di contro, la Corte bolognese osservava che il giudice di primo grado nel respingere la domanda aveva evidenziato come la relativa questione fosse stata introdotta in giudizio in modo del tutto generico, non essendo state dettagliate le voci in relazione alle quali si sarebbe verificato “l’ammanco”, onde consentire il riscontro contabile e prima ancora la difesa della stessa parte opponente. Nel corso del giudizio la questione sembrava essersi ristretta peraltro nei termini di un’applicazione di un accordo aziendale, che avrebbe previsto un salario inferiore a quello minimo del c.c.n.l.. In realtà lo stesso accordo riguardava soltanto l’indennità di malattia e i permessi ed era stato riscontrato legittimo anche in sede ispettiva, mentre non risultavano fondate le generiche doglianze di parte convenuta;

che tale decisione è stata, quindi, condivisa dalla Corte d’Appello, in quanto effettivamente non era dato comprendere quali fossero state le voci e le ragioni in virtù e sulla base delle quali parte appellante chiedeva la somma oggetto del giudizio. Infatti, la sentenza di primo grado risultava corretta, laddove aveva posto in luce la genericità della domanda di parte attrice, non essendo state dettagliate le voci in relazione alle quali si sarebbe verificato il preteso “ammanco”, ossia secondo la Corte distrettuale, l’asserita corresponsione in busta paga di una retribuzione inferiore a quella prevista a vario titolo dal contratto collettivo. Tale affermazione, secondo la stessa Corte, trovava riscontro nell’esame del documento n. 34, prodotto dalla difesa della stessa appellante, atteso che detto atto non conteneva una sia pur sintetica ma sufficientemente chiara indicazione delle voci per cui era stata richiesta la somma. Neppure era dato comprendere come tale fondamentale indicazione potesse desumersi dalle singole buste paga prodotte. Nè, ad ulteriore conferma, una precisazione, sia pure sintetica, in tal senso emergeva dall’articolato atto di appello, che però non conteneva alcuna specificazione ed allegazione da cui poter desumere le varie voci in relazione alle quali si sarebbe verificata la corresponsione in busta paga di una retribuzione inferiore a quella prevista dal contratto collettivo a vario titolo. Nemmeno coglieva nel segno la censura mossa alla sentenza gravata, per non aver disposto c.t.u. contabile, che avrebbe fatto chiarezza, trattandosi di un’attività meramente esplorativa e quindi inammissibile. L’infondatezza dell’appello determinava, di conseguenza, il rigetto della domanda di parte attrice, volta ad ottenere pure la condanna della società convenuta al pagamento di una somma di danaro per lite temeraria;

tanto premesso, CONSIDERATO che il ricorso per cassazione proposto dalla sig.ra R. va disatteso per carenza di allegazioni, per contro necessarie a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., tenuto conto soprattutto che non risulta riprodotto il documento 34, ossia il prospetto contabile, che secondo i giudici di merito non consentiva di comprendere i rilievi della stessa parte attrice in ordine alle voci per cui ella aveva vantato differenze retributive;

che nulla è stato chiarito da parte ricorrente circa il contenuto di tale documento, nè in ordine alle sue effettive modalità di introduzione nel corso del giudizio di merito;

che parimenti va detto per quanto concerne il ricorso in via monitoria finalizzato ad ottenere il decreto ingiuntivo, poi opposto, e la conseguente memoria difensiva per la R. in seguito al giudizio di opposizione introdotto ex adverso, atti non riprodotti ex art. 366 c.p.c., n. 6 da parte ricorrente;

che, di conseguenza, le varie doglianze esposte nell’interesse della sig.ra R. non incidono sulle coerenti argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale nel rigettare l’interposto gravame, laddove in pratica venivano condivise le motivazioni in proposito formulate con la sentenza di primo grado, perciò confermata;

che assolutamente incomprensibile, inoltre, si appalesa l’indice della produzione in calce al ricorso (v. pag. 40 dello stesso ricorso per cassazione), laddove, dopo il numero 6), compare la seguente testuale indicazione: “7 e segg.) pagine specifiche.”, specificità invero, all’evidenza, del tutto insussistente;

che, di conseguenza, sono radicalmente ingiustificate le anzidette censure mosse da parte ricorrente alle argomentate conformi valutazioni operate dai giudici di merito, per cui non è ravvisabile alcun vizio di motivazione, nè alcuna omessa valutazione di fatti rilevanti e decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5, secondo il testo attualmente vigente, nella specie ratione temporis applicabile in relazione alla sentenza impugnata (risalente all’anno 2014), in quanto i termini essenziali della controversia de qua risultano esser stati considerati alla stregua della complessiva lettura della stessa pronuncia, mentre di per sè la motivazione non è censurabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma semmai, e ritualmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, quando risulti essere inferiore al c.d. minimo costituzionale, la cui violazione nella specie non è affatto riscontrabile, anche per le rilevante preclusive carenze di allegazione (cfr. Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017: in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. Conforme, Cass. VI civ. – 3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, ed in senso analogo v. anche Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014. Cfr. inoltre Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017, secondo cui, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, censurabile nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. V. ancora Cass. III civ. n. 11892 del 10/06/2016, secondo cui pure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio – nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Conforme Cass. I civ. n. 23153 del 26/09/2018. Per completare il quadro, cfr. pure Cass. VI – L, ordinanza n. 2498 del 10/02/2015: l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie);

che, mancando l’anzidetto presupposto documentale – stante attesa l’anzidetta irrituale formulazione del ricorso – da cui poter desumere con precisione le ulteriori pretese creditorie azionate dalla ricorrente, rispetto a quelle soltanto in (minima) parte già riconosciute in sede di merito, appaiono inconferenti le altre censure (cfr. in part. i motivi sub nn. 6, 7, 8, 9 e 10) relative alla dedotta fondatezza della domanda, laddove, poi, non sono, come è noto, sindacabili in questa sede di legittimità apprezzamenti e valutazioni di merito in difformità da quanto in punto di fatto ritenuto dai giudici competenti al riguardo;

che nemmeno si ravvisano estremi di fondati e decisivi errores in procedendo, sotto il profilo di violazione di norme di rito, processualmente rilevanti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

che, pertanto, il ricorso va respinto, ma senza alcun provvedimento in ordine alle spese concernenti questo giudizio, visto che, nonostante la soccombenza di parte ricorrente, nessuna difesa è stata svolta nell’interesse della cooperativa COLAS, qui rimasta intimata;

che, tuttavia, stante ad ogni modo l’esito completamente negativo dell’impugnazione, in difetto di altri riferimenti di segno contrario, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater circa il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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