Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30554 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. II, 22/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 22/11/2019), n.30554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Avvocato T.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato Manuela

Traldi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazzale

delle Belle Arti, n. 3, scala A;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma

pubblicata in data 11 novembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

settembre 2019 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

uditi l’Avvocato T.S., per delega dell’Avvocato Manuela

Traldi, e l’Avvocato dello Stato Pio Marrone.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 120, pubblicata il 10 novembre 2009, il Tribunale di Roma dichiarava improponibile la domanda proposta dall’Avv. T.S. di condanna del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) – Ispettorato generale per la liquidazione degli Enti disciolti (IGED), quale legale rappresentante dell’Ente nazionale cellulosa e carta, controllante della SAF s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, al pagamento della somma complessiva di Euro 7.999,46, con il riconoscimento degli interessi di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 e degli interessi anatocistici, a titolo di residuo di compensi professionali per la difesa in giudizio della SAF in sei giudizi L. Fall., ex art. 98, di opposizione al passivo della società predetta, svoltisi dinanzi alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma.

Il Tribunale osservava che la ragione della improponibilità risiedeva nella preclusione da giudicato in quanto i compensi di cui alle parcelle predette erano già stati liquidati in favore dell’Avv. T. dal Tribunale di Roma con ordinanza in data 13 dicembre 2005, passata in giudicato, a definizione del procedimento camerale disciplinato della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e 29, promosso dal professionista.

2. – L’Avv. T. proponeva appello con atto notificato il 27 dicembre 2010.

3. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l’11 novembre 2014, ha rigettato il gravame proposto dall’Avv. T..

3.1. – La Corte territoriale, nell’escludere la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), ha rilevato che la sentenza di primo grado è motivata in modo da rendere del tutto comprensibile la ratio che la sostiene. Infatti, richiamata l’ordinanza definitiva del procedimento di liquidazione degli onorari spettanti all’Avv. T. per la difesa della SAF nei giudizi in questione, il Tribunale ha osservato che l’intervenuto giudicato copriva il dedotto ed il deducibile e che non era ammissibile il frazionamento del credito in plurime domande di adempimento sulla base dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.. Così argomentando – ha proseguito la Corte territoriale – il giudice di primo grado ha dato conto dei motivi della sua decisione anche con riferimento alla “riserva” che l’Avv. T. afferma di aver formulato in sede di procedimento camerale di liquidazione degli onorari di futuro nuovo ricorso all’autorità giudiziaria per il riconoscimento di maggiori importi in remunerazione delle medesime attività professionali.

Tanto rilevato, la Corte di Roma ha inoltre osservato che l’atto di appello non contiene alcuna specifica censura alla sentenza di primo grado nel merito della statuizione di improponibilità della domanda. In particolare – ha evidenziato la Corte d’appello – l’appellante nulla argomenta in merito alla correttezza dei principi di diritto richiamati dal Tribunale in materia di “abuso del processo” per frazionamento della domanda e sulla loro concreta applicabilità alla “riserva” asseritamente formulata dall’Avv. T. in sede di primo ricorso per la liquidazione degli onorari. Sul punto, infatti, l’Avv. T. si è limitato ad affermare che il Tribunale non ha fatto alcuna menzione in motivazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 21299 del 2007 “sulle relative conclusioni formulate in ordine all’insorto giudicato del diritto dell’attuale appellante ad essere remunerato nella percentuale intermedia del D.M. n. 585 del 1994 ed a percepire la differenza rispetto a quanto incassato al minimo del richiamato decreto ministeriale”. Secondo la Corte d’appello, dalla lettura della menzionata sentenza non emerge alcuna statuizione opponibile con efficacia di giudicato sulla questione: il giudice si è limitato a liquidare i compensi pretesi senza fare alcun riferimento a precedenti liquidazioni giudiziali di compensi per le medesime causali.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’Avv. T. ha proposto ricorso, con atto notificato il 24 novembre 2015, sulla base di dodici motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza il Ministero controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

5. – In data 12 settembre 2019, in esito alla discussione del ricorso in pubblica udienza, l’Avv. Manuela Traldi ha depositato in cancelleria “procura speciale (non notarile) in calce al ricorso introduttivo 24 novembre 2015 autenticata dal difensore”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso è articolato su dodici motivi.

Con il primo motivo il ricorrente prospetta la “violazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sull’esistenza di un giudicato panprocessuale in ordine ad insorti giudicati panprocessuali relativi all’esistenza del contratto di patrocinio denominato convenzione ed al diritto dello studio ad essere remunerato alla percentuale intermedia della tariffa”. Il ricorrente rappresenta che, con la sentenza n. 985 del 2011, il Tribunale di Roma, riportandosi alle pronunce già emesse dallo stesso Tribunale “in ordine a controversie analoghe tra le stesse parti”, ha “ribadito che c’è ormai giudicato sulla esistenza di un valido contratto di patrocinio tra le parti, in esecuzione del quale è stata prestata l’attività professionale oggetto della presente domanda (come definitivamente accertato con sentenza di questo Tribunale n. 2465 del 2005)”. Di qui, ad avviso del ricorrente, la denunciata erroneità dell’impugnata sentenza della Corte d’appello “che, in violazione dell’art. 2909 c.c., negava l’esistenza di pregressi giudicati panprocessuali attestanti l’operatività del contratto di patrocinio stipulato tra il MEF e lo studio il 19 settembre 2000 e denominato convenzione, ed il diritto dello studio di essere retribuito nella misura intermedia del D.M. n. 585 del 1994, all’epoca vigente, come peraltro previsto nel richiamato contratto, essendo stata annullata la sua modifica 18 marzo 2000 dalla sentenza del Tribunale di Roma”.

Il secondo mezzo censura la “violazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia in ordine ad insorti giudicati panprocessuali relativi all’esistenza di un contratto di patrocinio denominato convenzione ed al diritto dello studio ad essere remunerato alla percentuale intermedia della tariffa”. Tali giudicati, ad avviso del ricorrente, sarebbero insorti dalla mancata impugnazione delle sentenze del Tribunale di Roma nn. 21295/07, 21296/07, 21299/07, 21300/07, 21301/07 e 13180/10 da parte del MEF.

Con il terzo motivo si lamenta la “violazione dell’art. 2909 c.c., per omessa pronuncia in ordine ad insorti giudicati panprocessuali relativi alla spettanza degli interessi legali ex art. 1282 c.c., dall’invio delle notule e degli interessi anatocistici ex art. 1283 c.c., dalla domanda”. Detti giudicati panprocessuali, ad avviso del ricorrente, discenderebbero dall’omessa impugnazione da parte del MEF e della L. delle sentenze del Tribunale di Roma nn. 21295/07, 21296/07, 21299/07, 21300/07, 21301/07, 4974/09, 4980/09, 13180/10, 24986/10, 25555/10, 25576/10, 474/11 e 585/11, che avevano accolto in toto le domande dell’Avv. T..

Con il quarto motivo si prospetta la violazione dell’art. 2909 c.c. e del giudicato panprocessuale formatosi in ordine all’accettazione della sentenza n. 2465 del 2005 da parte del MEF e della statuita conformità delle azionate parcelle alla convenzione 19 settembre 2000. Il ricorrente rappresenta che, con raccomandata in data 5 marzo 2004, lo studio chiedeva il pagamento delle azionate sei parcelle nn. (OMISSIS) per la differenza tra la loro liquidazione con gli onorari al minimo del D.M. n. 585 del 1994, all’epoca vigente, disposta con ordinanza 3-29 dicembre 2005, resa al minimo della tariffa dallo stesso Tribunale di Roma nel procedimento della L. n. 794 del 1942, ex artt. 28 e 29, divenuta definitiva, e la sua percentuale intermedia ai sensi della sentenza 2465/05, passata in giudicato ex art. 329 c.p.c. e art. 2909 c.c., proprio in ordine a tale statuizione, il 13 maggio 2005 per suo omesso gravame. Il ricorrente invoca l’applicazione del principio secondo cui l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico-giuridico di un diritto derivatone, e il giudicato si estende al predetto accertamento, spiegando effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto. Secondo il ricorrente, l’intervenuto giudicato panprocessuale sulla estensione del giudicato della sentenza 2465/05 alla accettazione di tutte le parcelle o delle richieste di pagamento pervenute al 29 marzo 2010, tra cui le sei notule inviate con raccomandata del 5 marzo 2014, avrebbe dovuto comportare il loro necessario soddisfo ed il successivo accoglimento giudiziale per il pagamento dei residui Euro 7.999,36, oltre ai richiesti interessi legali ed anatocistici.

Con il quinto motivo si prospetta la “violazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4), per omessa dichiarazione degli insorti giudicati panprocessuali sulla non opponibilità della L. n. 14 del 2009, anteriormente al novembre 2011 per l’omessa impugnazione delle sentenze nn. 4974/09, 4980/09, 614/09 e 13180/10”.

Il sesto motivo censura la “violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., per omessa dichiarazione di estensione a tutti i giudizi della non opponibilità della L. n. 14 del 2009, a seguito dell’omessa impugnazione delle sentenze nn. 24986/10, 25555/10, 25567/10, 474/11 e 985/11 successivamente al novembre 2011”.

Il settimo motivo è relativo alla conseguente insorgenza di giudicato panprocessuale in ordine alla carenza di legittimazione processuale e sostanziale della L. in tutti i giudizi proposti in difetto di legittimazione ex lege n. 14 del 2009 e del MEF per le domande avanzate per tale causale.

L’ottavo motivo rimprovera alla Corte d’appello la violazione degli artt. 167 e 112 c.p.c., per pronuncia ultra petitum di conferma del rigetto della domanda attorea per assunti “frazionamento del credito” e “violazione del giusto processo” affermati dalla sentenza di primo grado. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe “reiterato la medesima violazione dell’art. 167 c.p.c., come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con l’inserimento al secondo capoverso: “A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, commessa dal Tribunale con la riportata statuizione pur in difetto di domanda convenuta, in concomitante violazione dell’art. 112 c.p.c., per pronuncia ultra petitum”.

Con il nono motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4), in ordine al diritto dell’attuale ricorrente di percepire la differenza tra la remunerazione provvisoriamente richiesta e liquidata al minimo del D.M. n. 585 del 1994, per provvedimenti ex lege n. 794 del 1942, passati in giudicato e la sua percentuale intermedia a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 24986 del 2010 nonchè della sentenza n. 2465 del 2005. Il ricorrente prospetta che con la sentenza n. 24986 del 2010 il Tribunale di Roma, accogliendo in toto le domande dello studio, dichiarava il diritto dello studio ad essere remunerato alla percentuale intermedia degli onorari del D.M. n. 585 del 1994, dichiarava la valenza di giudicato panprocessuale della sentenza del Tribunale di Roma n. 21229/07 e della sentenza n. 2465 del 2005 per la remunerazione ex D.M. n. 585 del 1994, alla percentuale intermedia degli onorari, delle prestazioni professionali rese in ottemperanza alla convenzione, e retribuiva in quella misura le azionate parcelle, già oggetto di liquidazione al minimo della tariffa con decreti del Tribunale di Roma passati in giudicato.

Il decimo motivo è rubricato “violazione dell’art. 2233 c.c. e del D.M. n. 585 del 1994 per le azionate prestazioni professionali”. Secondo il ricorrente, sarebbe esaurientemente comprovato il diritto dell’Avv. T. a percepire la somma di Euro 7.999,36, per le sei parcelle nn. (OMISSIS), quale differenza tra gli Euro 1.647,44 stabiliti dall’ordinanza 3-29 dicembre 2005 resa al minimo della tariffa dallo stesso Tribunale di Roma nel procedimento della L. n. 794 del 1942, ex artt. 28 e 29, R.G. 5937 del 2005, passata in giudicato, e la loro remunerazione alla percentuale intermedia del D.M. n. 585 del 1994 ai sensi della sentenza n. 2465 del 2005, passata in giudicato ex art. 329 c.p.c., per complessivi Euro 12.340,32, detratti Euro 2.693,32 in precedenza corrisposti, oltre interessi legali ex art. 1282 c.c., dall’8 marzo 2004, data di ricezione delle notule, ed anatocistici ex art. 1283 c.c., dalla domanda, e vittoria di spese di lite.

Con l’undicesimo motivo (violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul giudicato panprocessuale relativo ai danni per ritardato pagamento ex art. 1224 c.c., come statuito dalla sentenza definitiva n. 474 del 2011) ci si duole che non si sia tenuto conto del passaggio in giudicato della sentenza n. 474/11 in ordine al diritto dello studio al risarcimento dei danni ex art. 1224 c.c., per ritardato pagamento delle prestazioni oggetto della convenzione, da quantificarsi nelle modalità espresse dalla sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 19499 del 2008.

Con il dodicesimo motivo ci si duole della violazione dell’art. 343 c.p.c., art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado e dei suoi giudicati panprocessuali. Con esso il ricorrente deduce:

che con atto di appello del 27 dicembre 2010, introduttivo del secondo grado di giudizio, l’Avv. T. impugnava la sentenza n. 120 del 2009 del Tribunale di Roma citando il MEF all’udienza del 19 aprile 2011, per sentire dichiarare il diritto dell’appellante di percepire la differenza tra la remunerazione provvisoria richiesta e liquidata al minimo della tariffa e la retribuzione alla percentuale intermedia stabilita dalla sentenza n. 2465 del 2005 passata in giudicato;

che il MEF si costituiva con comparsa del 1 aprile 2011 chiedendo la conferma dell’impugnata decisione ed il rigetto dell’appello per violazione del ne bis in idem, “senza proporre appello incidentale, determinando in tal modo il passaggio in giudicato della gravata sentenza n. 120 del 2009”.

2. – Preliminarmente all’esame dei motivi, va rilevato – sulle conformi conclusioni del pubblico ministero – che il ricorso è riconducibile all’opera di difensore privo di procura speciale, richiesta dall’art. 365 c.p.c..

Il ricorrente Avv. T.S. risulta rappresentato e difeso dall’Avv. Manuela Traldi – che ha sottoscritto il ricorso – “giusta procura in calce al presente atto”.

Sennonchè, l’unica procura presente in atti – non recando il ricorso depositato alcuna procura in calce allo stesso – è la “procura generale alle liti” rilasciata in data 9 aprile 2013, autenticata dal notaio G.L., con cui l’Avv. T.S. ha costituito e nominato proprio procuratore generale alle liti l’avv. Manuela Traldi affinchè “lo rappresenti, assista e difenda in tutte le controversie giudiziali e stragiudiziali, attive e passive,… in tutti i gradi di giurisdizione, e così in ogni lite davanti al Giudice di pace, ai Tribunali ed alle Corti d’appello, nonchè ai Tribunali amministrativi, alle Commissioni tributarie provinciali e regionali ed ai Collegi speciali, agli Organi di giurisdizione speciale amministrativa ed ai Collegi arbitrali”.

In questo senso è anche l’attestazione rilasciata dalla cancelleria della Seconda sezione civile della Corte di cassazione in data 11 luglio 2019, con la quale, in esito all’esame del fascicolo prodotto dall’Avv. Manuela Traldi, quale procuratore e domiciliatario dell’Avv. T.S., ricorrente, si certifica che: “la procura generale alle liti, prodotta all’atto dell’iscrizione del ricorso il 14 dicembre 2015, dall’Avv. T. e su cui è apposto il timbro del deposito presso la Cancelleria centrale di questa Corte di cassazione: è datata 9 aprile 2013; è l’unica copia depositata; non vi è altra procura in calce al ricorso; trattasi di fotocopia non autentica; è una fotocopia di procura rilasciata dall’Avv. T.S. all’Avv. Manuela Traldi con autentica di firma dell’Avv. G. notaio rep. 31536 in Roma del 9 aprile 2013”.

Va ribadito che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale al difensore iscritto nell’apposito albo, richiesta dall’art. 365 c.p.c., è essenziale, da un lato, che la procura sia rilasciata in epoca anteriore alla notificazione del ricorso e, dall’altro, che essa investa il difensore espressamente del potere di proporre ricorso per cassazione contro una sentenza determinata, dovendo quindi essere rilasciata in epoca successiva alla pronunzia di questa (Cass., Sez. II, 14 agosto 1997, n. 7611; Cass., Sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27012; Cass., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27724; Cass., Sez. III, 28 marzo 2006, n. 7084; Cass., Sez. U., 27 aprile 2018, n. 10266).

Nella specie si tratta invece di una procura generale, priva di qualsiasi carattere di specialità, rilasciata in data 9 aprile 2013, di gran lunga antecedente alla pubblicazione, l’11 novembre 2014, della sentenza impugnata per cassazione, alla quale necessariamente nessun riferimento poteva del resto farsi, atteso il momento temporale della formazione dell’atto.

Il ricorso è quindi inammissibile, essendo stato proposto in forza di procura di carattere generale conferita con atto autenticato da notaio anteriormente alla sentenza impugnata e, pertanto, priva di ogni riferimento alla stessa e all’impugnazione da proporsi in cassazione.

Non vale a impedire la declaratoria di inammissibilità il deposito in cancelleria, il 12 settembre 2019 e in esito all’udienza di discussione, ad opera dell’Avvocato Manuela Traldi, di un documento (numerato pag. 47) intitolato “Procura alle liti”, firmato anche per autentica in data 24 novembre 2015, del seguente tenore: “Io sottoscritto Avv. T.S. nomino quale mio difensore e procuratore speciale l’Avv. Manuela Traldi… con studio in Roma, piazzale delle Belle Arti 3, sc. A, presso il quale eleggo domicilio ad ogni effetto di legge, conferendo alla stessa ogni più ampio potere e facoltà di legge con espresso mandato a proporre ricorso per la cassazione della sentenza n. 6879/14 pronunciata dalla Corte d’appello di Roma”. Tale documento, infatti, è stato prodotto oltre il termine di cui all’art. 369 c.p.c.; nè vi è tra gli atti di causa, in calce al ricorso depositato in cancelleria, l’originale della procura speciale di cui detto documento costituirebbe la copia.

3. – Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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