Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30552 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. II, 22/11/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 22/11/2019), n.30552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALISI Antonino – Presidente –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6434/2016 proposto da:

V.N., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANTONIO ESPOSITO

ed elettivamente domiciliata a Roma, via del Banco di Santo Spirito

42, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO CASILLI, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato RENATA MINAFRA

ed elettivamente domiciliata a Roma, via Girolamo Savonarola 39,

presso lo studio dell’Avvocato CARMINE PELLEGRINO, per procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4199/2015 del TRIBUNALE DI LECCE, depositata

il 3/9/2015;

nonchè

sul ricorso 27053/2017 proposto da:

V.N., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANTONIO ESPOSITO

ed elettivamente domiciliata a Roma, via del Banco di Santo Spirito

42, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO CASILLI, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato RENATA MINAFRA

ed elettivamente domiciliata a Roma, via Girolamo Savonarola 39,

presso lo studio dell’Avvocato CARMINE PELLEGRINO, per procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1633/2017 del TRIBUNALE DI LECCE, depositata

il 14/4/2017;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

4/6/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica, Dott. CELESTE Alberto, il

quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il

rigetto dei ricorsi;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato ANTONIO ESPOSITO;

sentito, per il controricorrente, l’Avvocato CARMINE PELLEGRINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il giudice di pace di Lecce, con sentenza del 24/7/2013, in accoglimento dell’opposizione proposta da V.N., ha revocato il decreto ingiuntivo che, in data 30/11/2011, era stato emesso in favore di T.G. relativamente al corrispettivo maturato per i lavori di fornitura e posa in opera di tubazioni gas, collegamento di cucina e caldaia eseguiti presso l’immobile di (OMISSIS).

Il giudice, in particolare, ha ritenuto che, per l’inconcludenza dei documenti prodotti (in quanto alcuni erano riferibili al To. quale committente ed intestati ad altre ditte, come la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di gas GPL, e la fattura del (OMISSIS), relativa alla fornitura di gas, mentre altri riguardavano le opere realizzate presso l’immobile ubicato in (OMISSIS); altri ancora, come la dichiarazione di conformità dell’impianto, perchè di dubbia valenza probatoria ovvero, come la fattura del (OMISSIS), perchè contraddetti dalle risultanze testimoniali e documentali) e per l’inattendibilità dei testimoni escussi, il ricorrente non avesse fornito alcuna prova in ordine all’esistenza del rapporto contrattuale intercorso tra le parti.

T.G. ha proposto appello avverso la predetta sentenza censurando, in particolare, i criteri di valutazione delle risultanze probatorie utilizzati dal giudice di primo grado, potendosi ritenere provato, sulla scorta della documentazione prodotta in atti e delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale e dai testi escussi, l’incarico conferito dalla V. e puntualmente portato a termine dal T..

V.N. si è costituita in giudizio resistendo al gravame, deducendo, tra l’altro, l’irrilevanza della documentazione prodotta e l’inattendibilità dei testimoni sentiti nel corso dell’istruttoria.

Il tribunale di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello ed ha annullato la sentenza impugnata, dichiarando l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto e condannando l’appellata a rifondere al T. le spese del doppio grado di giudizio.

Il tribunale, in effetti, dopo aver premesso l’irrilevanza, ai fini della verifica della ricorrenza dei fatti costitutivi del diritto azionato, di ogni aspetto relativo alla titolarità formale della proprietà dell’immobile presso il quale i lavori sono stati eseguiti, vertendosi nella specie in materia di diritti di credito da contratto di prestazione d’opera, ha affrontato la questione della legittimazione (dell’appellata) a resistere alla pretesa del T. ed ha, sul punto, evidenziato, innanzitutto, che l’immobile di via della Vite 28 era abitato e nella disponibilità dei coniugi To. – V., come desumibile dalle dichiarazioni rese dalla stessa nel corso dell’interrogatorio formale, ed, in secondo luogo, che, alla luce della documentazione in atti, entrambi (i coniugi) fossero soliti intrattenere indifferentemente rapporti con i rappresentanti delle varie ditte incaricate di eseguire lavori presso gli immobili di rispettiva proprietà: tali incarichi, sia alle ditte fornitrici di impianti, che a quelle chiamate ad installarli, tanto per l’abitazione di (OMISSIS), quanto per quella di (OMISSIS), erano conferiti, a volte, congiuntamente, altre volte disgiuntamente, “ma comunque sempre di comune accordo”, restando irrilevante il nominativo di quale tra i due veniva, poi, indicato come intestatario delle relative fatture, riferibili, infatti, ora all’uno, ora all’altra.

Ciò premesso, e passando ad esaminare la questione se l’appellante avesse, o meno, effettivamente ricevuto l’incarico per il cui compenso ha agito in giudizio, il tribunale ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta e delle testimonianze raccolte in giudizio, l’appellante avesse provato l’esecuzione dei lavori a lui commissionati.

In tal senso, in particolare, e “contrariamente all’assunto difensivo di parte attrice/opponente in primo grado”, depongono – ha osservato il tribunale – i documenti che il T. ha depositato in giudizio, e cioè la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di GPL, e la fattura del (OMISSIS), per la relativa fornitura: “trattasi – ha osservato il tribunale – di prestazioni accessorie rispetto alla esecuzione delle opere da parte della ditta T., la quale era solita occuparsi proprio di posa in opera di tubazioni per il gas e di collegamenti degli impianti domestici (cucina – caldaia) alla rete di fornitura (vd. Fattura n. (OMISSIS) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo), a cui risultava strumentale proprio la consegna del serbatoio, in un primo momento, e l’installazione, oltre che l’attivazione della fornitura, successivamente…”. “Le date riportate nei due predetti documenti, difatti, consentono di collocare nello stesso periodo i lavori di tubazione del gas eseguiti dalla ditta T.. A tal proposito, difatti, si deve desumere, non solo, che quando il serbatoio venne consegnato ((OMISSIS)) fossero già presenti in cantiere gli addetti alla predisposizione dell’impianto, ma anche che la successiva fornitura del gpl ((OMISSIS)) fosse avvenuta ad impianto già ultimato”.

Le circostanze esposte, ha proseguito il tribunale, hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testimoni ( T.S., C. e Ce.), i quali hanno riferito della presenza del titolare della ditta T. allorquando veniva installato il serbatoio, precisando che l’impianto era perfettamente funzionante nel mese di gennaio del 2011.

T.S., in particolare, “nonostante il rapporto filiale con l’appellante,…, è risultato, per precisione e concordanza delle dichiarazioni rese con altri elementi probatori, del tutto credibile”. Lo stesso teste ha aggiunto, ha proseguito il tribunale, “con ciò confermando la sua attendibilità”, di aver personalmente compilato il certificato del 31/1/2011 di conformità dell’impianto termo idraulico e del gas, coerentemente con quanto riferito dallo stesso e dal C. con riguardo alla verifica del serbatoio nel marzo successivo.

Anche il teste P., ha aggiunto il tribunale, ha confermato la presenza del T. nell’immobile di (OMISSIS) precisando che lo stesso, insieme al figlio, era intento nell’esecuzione di lavori sulle tubazioni del gas.

Accertata la presenza in loco del T., il tribunale ha ritenuto che tale circostanza già di per sè valesse ad elidere l’efficacia delle eccezioni sollevate dalla V., volte a negare la ricorrenza di alcun rapporto tra le parti in ordine ai lavori eseguiti nell’immobile di (OMISSIS), dovendosi, peraltro, escludere, diversamente dall’assunto di parte appellata, che tali lavori erano stati eseguiti da altri: risulta, infatti, evidente, ha osservato il tribunale, la diversità dei lavori eseguiti da B.P. il quale, ascoltato come testimone, ha chiarito la diversa tipologia degli interventi dallo stesso eseguiti, e cioè “di manutenzione e di riparazione di impiantistica dallo stesso realizzata quando la casa era in costruzione, circa 10-15 anni addietro”: circostanza ribadita più volte nel corso del suo ascolto, così trovando ancora una volta conferma quanto riferito dal teste T.S., e cioè che “la fattura n. (OMISSIS) rilasciata dal sig. B. non è riferita a lavori effettuati da noi”. La stessa conclusione vale, ha proseguito il tribunale, con riguardo ai lavori, pure diversi, eseguiti da F.G., titolare di altra ditta, “chiamata verosimilmente ad effettuare meri lavori di muratura e pavimentazione, come desumibile da quanto indicato nella fattura n. (OMISSIS)…, essendo evidente che il F., secondo la logica corrente, avesse eseguito i lavori di pavimentazione e muratura contestualmente o dopo l’esaurimento di quelli di impiantistica, e comunque sempre nel 2011, come dallo stesso precisato in sede testimoniale”.

Il tribunale, quindi, accertata l’esistenza del rapporto giuridico dedotto e considerate generiche e apodittiche nonchè tardive in quanto sollevate per la prima volta nelle note conclusive di primo grado e poi reiterate in appello – le contestazioni della parte appellata in ordine al quantum della pretesa, quantificata, peraltro, “in termini del tutto ragionevoli”, ha ritenuto che l’appello proposto dal T. fosse fondato e, come tale, meritevole di integrale accoglimento.

Il tribunale, in definitiva, ha provveduto ad annullare la sentenza impugnata, dichiarando l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto e condannando l’appellata a rifondere al T. le spese del doppio grado di giudizio.

V.N., con ricorso notificato il 2/3/2016, ha chiesto, per quattordici motivi, la cassazione della sentenza resa dal tribunale, dichiaratamente non notificata, evidenziando, tra l’altro, di aver proposto, avverso la stessa sentenza, giudizio di revocazione e di aver presentato richiesta di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione che il tribunale ha rigettato in data 28/1/2016.

T.G. ha resistito con controricorso notificato l’8/4/2016 deducendo, tra l’altro, che la sentenza del tribunale è stata notificata il 23/2/2016.

La ricorrente ha depositato atto denominato “controricorso in replica”.

Nel frattempo, V.N. ha agito in giudizio per la revocazione, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, della sentenza n. 4199 del 2015, pronunciata in grado d’appello dal tribunale di Lecce, deducendo che il giudice d’appello avrebbe erroneamente omesso di prendere in considerazione i documenti prodotti nel giudizio di primo grado, indicati con i n. 14, 15 e 16, i quali dimostrerebbero che tutti i rapporti con la ditta T. erano intrattenuti dal marito, To.Ma. e che gli stessi erano sempre redatti per iscritto, per cui erroneamente il tribunale aveva richiamato prove orali a fondamento del suo convincimento sull’esistenza di un rapporto contrattuale tra l’istante ed il T., senza considerare la prova documentale. La mancata considerazione di tali documenti costituisce travisamento o stravolgimento del fatto, che si risolve nell’inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come base del suo ragionamento.

L’istante, inoltre, ha dedotto che anche nella valutazione delle prove orali vi sono stati errori nella percezione del contenuto delle prove e/o un travisamento nel contenuto delle stesse, rilevando che la V. non mai confessato di aver commissionato lavori alla ditta T., che il giudice ha tratto un convincimento sul tempo della presunta prestazione travisando le risultanze probatorie e facendo riferimento ad un certificato di conformità mancante di data certa.

La V., quindi, dopo aver chiesto la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, ha, nel merito, chiesto la revocazione della sentenza e, per l’effetto, il rigetto dell’appello proposto dal T. e la conferma della sentenza di primo grado.

Il T. si è costituito in giudizio contestando tutte le deduzioni proposte dall’attrice, chiedendone la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Rigettata l’istanza di sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, il tribunale, con sentenza del 14/4/2017, ha rigettato la domanda.

Il tribunale, in particolare, dopo aver premesso che l’errore di fatto revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, deve derivare dalla una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo, cioè, ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente, e deve, inoltre, attenere ad un punto non controverso, sul quale la decisione non abbia espressamente motivato, e decisivo della decisione da revocare, ha ritenuto che, nel caso di specie, l’errore nel quale il giudice d’appello sarebbe caduto, non presenta alcuno dei requisiti indicati, risultando chiaramente che la questione dell’individuazione del committente della presunta prestazione eseguita dalla ditta T., come pure la questione della tempo dei presunti lavori, hanno costituito l’effettivo oggetto della controversia.

Ed infatti, ha osservato il tribunale, dall’esame della sentenza del giudice di pace si evince che l’opposizione al decreto ingiuntivo era stata accolta proprio sulla base del presupposto che non vi sarebbe la prova del rapporto contrattuale intercorso tra le parti del giudizio, con rilievi riguardanti anche l’aspetto relativo al tempo di esecuzione e conclusione dei lavori nonchè la dichiarazione di conformità dell’impianto prodotta in giudizio dall’opponente.

Nello stesso modo, ha proseguito il tribunale, in grado d’appello, il giudice ha esaminato la questione della prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, prendendo in considerazione e valutando in modo difforme rispetto al giudice di primo grado, le risultanze probatorie acquisite ed affrontando anche il tema del tempo di esecuzione dei lavori e la questione della dichiarazione di conformità.

Non sussiste, quindi, ha osservato il tribunale, alcun errore sui fatti non controversi e non esaminati dal giudice, potendo semmai le doglianze della V. costituire un’interpretazione delle risultanze istruttorie riguardanti i punti controversi della vicenda differente rispetto a quella prospettata dal giudice d’appello e conforme, invece, a quella prospettata dal giudice di primo grado.

Nè, ha aggiunto il tribunale, può ritenersi che il fatto non contestato siano i documenti n. 14, 15 e 16 del fascicolo di primo grado della V., avendo il giudice d’appello evidentemente ritenuto di dover dare una certa lettura delle risultanze probatorie documentali ed orali acquisite.

Il tribunale, quindi, ha ritenuto che la domanda fosse infondata e l’ha, quindi, rigettata, condannando l’istante al pagamento, oltre che al rimborso delle spese di lite, della somma di Euro 300,00, a titolo di risarcimento dei danni, a norma dell’art. 96 c.p.c., per lite temeraria.

V.N., con ricorso notificato il 13/11/2017, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

T.G. ha resistito con controricorso notificato il 19/12/2017.

La ricorrente ha depositato atto denominato “controricorso in replica”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, la corte, in applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., dispone la riunione dei ricorsi per cassazione proposti avverso la sentenza del tribunale e la sentenza con la quale lo stesso tribunale ha respinto la domanda di revocazione nei confronti della prima (Cass. n. 16435 del 2016).

2.1. Con il primo motivo del ricorso n. 27053 del 2017, la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

2.2. Il tribunale, infatti, ha osservato la ricorrente, ha escluso che sussistesse un errore sui fatti non controversi, ritenendo che le doglianze della V. potessero semmai costituire un’interpretazione delle risultanze istruttorie riguardanti i punti controversi della vicenda differente rispetto a quella prospettata dal giudice d’appello, così come ha escluso che costituissero un fatto non controverso i documenti n. 14, 15 e 16 del fascicolo di primo grado, sul rilievo che il giudice d’appello aveva evidentemente ritenuto di dover dare una certa lettura delle risultanze probatorie documentali ed orali acquisite.

2.3. Così facendo, però, ha proseguito la ricorrente, il tribunale, innanzitutto, ha trascurato di considerare che i predetti documenti (vale a dire tre preventivi intestati al To. e riguardanti l’immobile di (OMISSIS), di proprietà della V.) e, soprattutto, la sottoscrizione degli stessi da parte del solo To., estraneo ai fatti di causa, non avevano costituito un punto controverso sul quale era intervenuta, anche in sede di revocazione, una pronuncia, pur essendo decisivi ai fini del giudizio. Nè, ha aggiunto la ricorrente, è riscontrabile una decisione da parte del giudice in ordine alla sottoscrizione dei preventivi e, quindi, della loro provenienza da parte del solo To..

2.4. L’errore di percezione in ordine al contenuto oggettivo del documento, e cioè la sottoscrizione da parte del solo To. e non della V., integra, quindi, l’errore revocatorio in cui è caduto il tribunale che, a causa di tale falsa percezione della realtà, ha riconosciuto la legittimazione passiva della V., che, al contrario, se evitato, avrebbe escluso.

2.5. Il tribunale, inoltre, ha proseguito la ricorrente, ha completamente ignorato la raccomandata con la quale il T., in data 17/5/2011, aveva comunicato la cessazione di ogni rapporto contrattuale con la V. in merito al cantiere sito in (OMISSIS), avendo ultimato le lavorazioni di cantiere pattuite con la parte committente. Tale documento, in effetti, dimostra in modo incontrovertibile la cessazione di ogni rapporto tra la ditta T. e la V. in data anteriore alla presunta prestazione, asseritamente svolta presso l’immobile di (OMISSIS), di proprietà del marito, nel mese di (OMISSIS). Se correttamente valutato, il documento ed il fatto oggettivo in esso contenuto, immediatamente rilevabile senza che fosse necessaria alcuna valutazione o giudizio, avrebbe invertito le sorti del giudizio trattandosi di fatto determinante il tempo della prestazione e, quindi, un elemento decisivo della vicenda.

2.6. Il tribunale, infine, ha aggiunto la ricorrente, ha commesso un errore revocatorio con riferimento alla fattura emessa dalla ditta B. ed alla relativa certificazione di conformità, non avendo percepito che, mentre tale certificazione era intestato al To., quello prodotto dal T. era intestato alla V. ed era, a differenza del primo, inutilizzabile ai fini della richiesta di agibilità. La differente intestazione del certificato del T., se correttamente percepito, avrebbe indotto il tribunale a negare valore a quell’atto, poichè non solo inutilizzabile ma di fatto non utilizzato. Il tribunale, invece, lo ha ritenuto valido senza considerare la differente intestazione e la sua inutilizzabilità. Anche in tale caso, quindi, ha concluso la ricorrente, se non avesse commesso tale errore, il tribunale avrebbe certamente ritenuto l’attività del T. inesistente oppure del tutto inutile.

3.1. Con il secondo motivo del ricorso n. 27053 del 2017, la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

3.2. Il giudice d’appello, ha osservato la ricorrente, ha posto a fondamento della legittimazione passiva della V. anche le risultanze della prova per testi e per interpello, errando, tuttavia, nella percezione oggettiva delle stesse o travisandone il contenuto. Tali prove, infatti, non fanno alcun riferimento ad obblighi assunti dalla V. nei confronti della ditta T. per lavori eseguiti a (OMISSIS).

4.1. Con il terzo motivo del ricorso n. 27053 del 2017, la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

4.2. La sentenza oggetto della domanda di revocazione, infatti, aveva ritenuto che, “contrariamente all’assunto difensivo di parte attrice/opponente in primo grado”, deponessero per l’ipotesi dedotta dal T. tanto la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di GPL, quanto la fattura del (OMISSIS), per la relativa fornitura, sul rilievo che “le date riportate nei due predetti documenti… consentono di collocare nello stesso periodo i lavori di tubazione del gas eseguiti dalla ditta T.”.

4.3. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha erroneamente percepito il dato testuale dei predetti documenti, immediatamente percettibile e decisivo, e cioè gli stessi erano entrambi intestati al To., proprietario dell’immobile ed unico committente dei lavori eseguiti presso l’abitazione di sua proprietà. Tale elemento, invece, se correttamente valutato, avrebbe certamente indotto il tribunale a valutare diversamente la questione della legittimazione passiva della V.. La sentenza impugnata, invece, non ha fatto il minimo accenno a tali documenti nè al loro indiscutibile valore decisivo ai fini della decisione. L’errore revocatorio e/o il travisamento del fatto, quindi, ha concluso la ricorrente, ha indotto il giudice a stabilire, anche sulla base di documento del tutto estranei alla V., un periodo della presunta esecuzione diverso da quello (luglio 2011) dedotto dallo stesso T. nell’atto introduttivo.

5.1. Con il quarto motivo del ricorso n. 27053 del 2017, la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

5.2. Il tribunale, infatti, ha ritenuto che l’attrice aveva richiesto una diversa valutazione delle prove, laddove, al contrario, si tratta di fatti che emergono dalla lettura del testo che non richiede valutazioni o interpretazioni induttive. La svista in cui è caduto, ha osservato la ricorrente, ha indotto il tribunale a ritenere quali committenti tutti e due i coniugi, laddove, se avesse esaminato la documentazione indicata, avrebbe escluso ogni coinvolgimento della V..

6.1. Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso n. 27053 del 2017, da trattare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono infondati.

6.2. L’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione delle sentenze, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste, infatti, in una falsa percezione da parte del giudice di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, in una svista materiale su un punto che non sia stato oggetto di controversia e che l’abbia indotto a supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto altrettanto decisivo che dagli atti e documenti risulti invece positivamente accertato, senza alcun margine di discrezionalità ma concretamente rilevabile con assoluta immediatezza. L’errore di fatto rilevante, quindi, presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, una delle quali emergente dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e sempre che non abbia riguardato un punto controverso del giudizio sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Cass. n. 442 del 2018).

6.3. Gli errori che la ricorrente ha denunciato, invece, investono con ogni evidenza non già una falsa percezione da parte del giudice di fatti non controversi quali incontrovertibilmente emergono dagli atti di causa, ma, al contrario, direttamente l’attività di valutazione che lo stesso giudice ha svolto, alla luce delle prove raccolte, sui fatti controversi tra le parti, insuscettibile come tale, quand’anche fosse errata, di revocazione.

6.4. Il tribunale, invero, chiamato, come in precedenza visto, a giudicare sull’appello proposto avverso la pronuncia con cui il giudice di pace aveva accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo sul presupposto che non era stata raggiunta la prova del rapporto contrattuale intercorso tra le parti del giudizio, con rilievi riguardanti anche l’aspetto relativo al tempo di esecuzione e di conclusione dei lavori nonchè la dichiarazione di conformità dell’impianto prodotta in giudizio dall’opponente, ha, in senso contrario, ritenuto:

– innanzitutto, che, alla luce della documentazione in atti, entrambi (i coniugi) erano soliti intrattenere indifferentemente rapporti con i rappresentanti delle varie ditte incaricate di eseguire lavori presso gli immobili di rispettiva proprietà, evidenziando come tali incarichi, sia alle ditte fornitrici di impianti, che a quelle chiamate ad installarli, tanto per l’abitazione di (OMISSIS), quanto per quella di (OMISSIS), fossero conferiti, a volte, congiuntamente, altre volte disgiuntamente, “ma comunque sempre di comune accordo”, restando irrilevante il nominativo di quale tra i due veniva, poi, indicato come intestatario delle relative fatture, riferibili, infatti, ora all’uno, ora all’altra;

– in secondo luogo, che, alla luce della documentazione prodotta e delle testimonianze raccolte il giudizio, l’appellante aveva provato l’esecuzione dei lavori a lui commissionati, deponendo in tal senso (e “contrariamente all’assunto difensivo di parte attrice/opponente in primo grado”) tanto la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di GPL, quanto la fattura del (OMISSIS), per la relativa fornitura, vale a dire “prestazioni accessorie rispetto alla esecuzione delle opere da parte della ditta T., la quale era solita occuparsi proprio di posa in opera di tubazioni per il gas e di collegamenti degli impianti domestici (cucina – caldaia) alla rete di fornitura (vd. Fattura n. (OMISSIS) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo), a cui risultava strumentale proprio la consegna del serbatoio, in un primo momento, e l’installazione, oltre che l’attivazione della fornitura, successivamente…”, sicchè “le date riportate nei due predetti documenti… consentono di collocare nello stesso periodo i lavori di tubazione del gas eseguiti dalla ditta T.”, potendosi, a tal proposito, “desumere, non solo, che quando il serbatoio venne consegnato ((OMISSIS)) fossero già presenti in cantiere gli addetti alla predisposizione dell’impianto, ma anche che la successiva fornitura del gpl ((OMISSIS)) fosse avvenuta ad impianto già ultimato”;

– inoltre, che le circostanze esposte avevano trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testimoni ( T.S., C. e Ce.), i quali hanno riferito della presenza del titolare della ditta T. allorquando veniva installato il serbatoio: T.S., in particolare, ha dichiarato di aver personalmente compilato il certificato del (OMISSIS) attestante la conformità dell’impianto termoidraulico e del gas, coerentemente con quanto riferito dallo stesso e dal C. con riguardo alla verifica del serbatoio nel marzo successivo; il teste P. ha confermato la presenza del T. nell’immobile di (OMISSIS) precisando che lo stesso, insieme al figlio, era intento nell’esecuzione di lavori sulle tubazioni del gas;

– infine, che doveva escludersi, diversamente dall’assunto di parte appellata, che tali lavori erano stati eseguiti da altri, risultando, in particolare, evidente la diversità, rispetto a quelli del T., dei lavori eseguiti da B.P. il quale, infatti, ascoltato come testimone, ha chiarito la diversa tipologia degli interventi dallo stesso eseguiti, e cioè “di manutenzione e di riparazione di impiantistica dallo stesso realizzata quando la casa era in costruzione, circa 10-15 anni addietro”: circostanza ribadita più volte nel corso del suo ascolto, così trovando ancora una volta conferma quanto riferito dal teste T.S. e cioè che “la fattura n. (OMISSIS) rilasciata dal sig. B. non è riferita a lavori effettuati da noi”;

ed ha, per l’effetto, concluso nel senso che, una volta accertata la presenza in loco del T., tale circostanza già di per sè valesse ad elidere l’efficacia delle eccezioni sollevate dalla V., volte a negare la ricorrenza di alcun rapporto tra le parti in ordine ai lavori eseguiti nell’immobile di (OMISSIS).

6.4. Se, dunque, questa è stata la decisione impugnata, risulta, allora, evidente, a giudizio della Corte, come il tribunale, chiamato a giudicare sulla domanda di revocazione proposta nei confronti della stessa, ha correttamente escluso la sussistenza del denunciato errore revocatorio, lì dove, in particolare, ha ritenuto che il giudice d’appello, esaminando la questione della prova dell’esistenza, o meno, del dedotto rapporto contrattuale tra le parti (e cioè del conferimento dell’incarico da parte della V. e dell’esecuzione dei lavori commissionatigli da parte del T.), ha, semplicemente, valutato, in ordine ai predetti punti (controversi tra le parti), le risultanze probatorie acquisite fornendo delle stesse una lettura difforme rispetto a quella del giudice di primo grado.

7.1. Con il quinto motivo del ricorso n. 27053 del 2017, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale l’ha condannata al risarcimento del danno per lite temeraria.

7.2. Così facendo, infatti, ha osservato la ricorrente, il tribunale non ha considerato che non sussistono i presupposti di tale fattispecie, posto che la stessa è risultata vittoriosa in primo grado del giudizio e che non sussistono nè la colpa grave nè la mala fede. Il ricorrente, inoltre, non ha fornito la prova del danno lamentato per cui il giudice non poteva pronunciare la relativa condanna, procedendo alla sua liquidazione equitativa.

8. Il motivo è infondato. In tema di responsabilità aggravata, infatti, l’art. 96 c.p.c., comma 3 (come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12) prevede una vera e propria pena pecuniaria, che prescinde sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato dalla condotta processuale dell’avversario (Cass. n. 3311 del 2017).

9.1. Con il primo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 101,183 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, art. 164 c.p.c., comma 4, in relazione agli artt. 311,318 e 320 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha completamente omesso di considerare che il T. ha tardivamente mutato il fatto relativo al tempo di esecuzione della presunta prestazione.

9.2. Il T., infatti, nel ricorso per decreto ingiuntivo, aveva collocato nel mese di (OMISSIS) il periodo di esecuzione dei presunti “lavori di fornitura e posa in opera di tubazioni gas e collegamento di una cucina e di una caldaia”, laddove, nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio di opposizione proposto dalla V., ha dedotto che la stessa, nel marzo del 2010, lo avrebbe incaricato di eseguire, presso la sua abitazione, “lavori di fornitura e posa in opera di tubazioni gas aerea e sottotraccia per l’alimentazione del serbatoio GPL, per il collegamento di una cucina e di una caldaia murale nonchè per lo spostamento di un condizionatore e per le demolizioni di murature interne all’abitazione”, e che tali lavori erano stati ultimati nel mese di giugno del 2011, in tal modo modificando non solo la collocazione temporale della prestazione richiesta ma anche la tipologia dei lavori eseguiti.

9.3. L’opposto, inoltre, ha aggiunto la ricorrente, ha operato, nel corso dell’udienza del 27/6/2012, fissata a norma dell’art. 320 c.p.c., un ulteriore e tardivo mutamento del fatto, per un verso, dichiarando di aver effettuato i lavori di impianto a gas nel mese di gennaio del 2011 e di aver proseguito i lavori edili sino al mese di giugno del 2011 e, per altro verso, depositando documenti che, oltre ad essere relativi a lavori eseguiti nell’appartamento della V. in (OMISSIS), hanno determinato l’introduzione in giudizio di fatti assolutamente nuovi e mai evidenziati in precedenza ed assolutamente tardivi rispetto all’udienza del 7/5/2012 che, nel rito innanzi al giudice di pace, concentra le udienze di comparizione e di trattazione precludendo l’introduzione di ulteriori elementi di fatto.

9.4. Il giudice di pace, ha proseguito la ricorrente, aveva correttamente censurato il fatto che il T., mentre nel ricorso per decreto ingiuntivo aveva confermato di aver eseguito i lavori nel (OMISSIS), nel corso del giudizio li aveva retrodatati al (OMISSIS), alterandone la tipologia con riferimento ai lavori edili che nulla avevano a che vedere con il decreto ingiuntivo opposto.

9.5. Il tribunale, invece, ha incondizionatamente accolto tutte le modificazioni del fatto che il T. ha tardivamente prospettato successivamente alla notifica del decreto ingiuntivo, omettendo, in tal modo, di considerare che lo stesso T., sia nel ricorso per decreto ingiuntivo, che nella fattura prodotta, aveva fissato il periodo di esecuzione dei presunti lavori nel mese di (OMISSIS) senza ulteriore specificazione. Il tentativo di retrodatare il tempo della presunta prestazione dal mese di (OMISSIS) al mese di (OMISSIS), costituisce, invece, ha concluso la ricorrente, una radicale mutatio libelli, avendo il resistente allegato, come eccepito dalla V. con la comparsa di costituzione in appello, un fatto completamente nuovo e, quindi, una nuova domanda, allo scopo di scavalcare la documentazione con la quale la stessa aveva dimostrato la cessazione di ogni rapporto tra le parti in data anteriore rispetto alla presunto periodo della prestazione.

10.1. Il motivo è infondato. Nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto riveste, invero, la posizione sostanziale di attore e non può, quindi, proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione: resta, tuttavia, ferma la facoltà dello stesso di precisare e modificare tale domanda, oltre che di proporre nuove domande, se e nella misura in cui ciò è consentito dalle norme che regolano il relativo procedimento.

10.2. Il procedimento davanti al giudice di pace, nel quale non è configurabile alcuna distinzione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione (art. 320 c.p.c., comma 1), è, in effetti, contrassegnato dallo stesso regime di preclusioni che assiste il procedimento dinanzi al tribunale, le cui disposizioni sono pur sempre applicabili in mancanza di diversa disciplina. L’art. 320 c.p.c., comma 3, prevede, invero, che il giudice di pace, nella prima udienza, dopo aver interrogato liberamente le parti e tentato la conciliazione, ove quest’ultima non riesca, invita le stesse a “precisare definitivamente i fatti” che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere.

10.3. La predetta locuzione normativa, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, equivale a quella che, nel giudizio ordinario, è prevista dalla norma dell’art. 183 c.p.c., comma 4, in fine, nel senso che le parti, entro (e non oltre) la predetta udienza, possono precisare le domande e le eccezioni ovvero emendare le une e le altre attraverso nuove deduzioni di fatti storici, e cioè di nuovi fatti costitutivi ad integrazione di quelli allegati dall’attore in citazione e di nuovi fatti estintivi, impeditivi o modificativi ad integrazione di quelli allegati nella comparsa di risposta o oralmente all’udienza dal convenuto (Cass. n. 4376 del 2000, in motiv.), fermo restando, peraltro, il divieto di proporre domande nuove (Cass. n. 27007 del 2005; Cass. n. 10331 del 2008), a meno che, come consentito dall’art. 183 c.p.c., comma 4, implicitamente richiamato dall’art. 311 c.p.c., non siano conseguenza dell’attività difensiva della controparte.

10.4. Entro la prima udienza, pertanto, come lascia trasparire l’espressione “precisare definitivamente”, che allude ad una implicita comminatoria di decadenza, le parti debbono articolare le loro difese in fatto, siano esse a fondamento di domande o di eccezioni: il rinvio ad altra udienza, previsto dell’art. 320 c.p.c., comma 4, è consentito, in effetti, solo per “ulteriori produzioni e richieste di prova” che si rendano necessarie a seguito delle attività svolte dalle parti in prima udienza. Nè tale preclusione è disponibile da parte del giudice di pace, il quale non è abilitato a restringerne il meccanismo di operatività rinviando la prima udienza al fine di consentire attività altrimenti precluse (Cass. n. 3339 del 2001; Cass. n. 20840 del 2017; Cass. n. 12454 del 2008; Cass. n. 2480 del 2002).

10.5. Se si tratta di opposizione a decreto ingiuntivo pronunciato dal giudice di pace, il creditore opposto, fino all’udienza prevista dall’art. 320 c.p.c., può, in definitiva, non solo precisare ma anche modificare la domanda già proposta con la richiesta d’ingiunzione, oltre ad introdurre domande nuove rispetto a quest’ultima ove siano la conseguenza delle eccezioni (o delle domande riconvenzionali, se ritenute ammissibili) proposte dal debitore opponente.

10.6. Se si tiene conto degli esposti principi, appare, allora, evidente come, nel caso di specie – escluso ogni rilievo ai fatti nuovi asseritamente introdotti in giudizio solo con i documenti prodotti all’udienza (evidentemente successiva alla prima) del 27/6/2012, dei quali (fatti), invero, la ricorrente (v. il ricorso, p. 7) non ha fornito alcun elemento identificativo, con conseguente genericità della censura – i fatti nuovi che l’opposto ha dedotto nel giudizio di opposizione erano senz’altro ammissibili: e bene ha fatto, dunque, il tribunale a considerarli (implicitamente) come tali. Premesso, invero, che esorbita dai limiti di una consentita “emendatio libelli” solo il mutamento della “causa petendi” che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perchè fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (Cass. n. 32146 del 2018), rileva la Corte che tale certamente non può essere considerato il mutamento in fatto che la ricorrente ha denunciato: se solo si considera che, stando alla riproduzione delle allegazioni avversarie, così come esposta in ricorso, il T., nella domanda monitoria, aveva dedotto di aver eseguito, nel mese di (OMISSIS), “lavori di fornitura e posa in opera di tubazioni gas e collegamento di una cucina e di una caldaia” presso l’abitazione della ricorrente, mentre, con la comparsa di risposta depositata nel giudizio di opposizione, aveva dichiarato di aver ricevuto dalla ricorrente, nel (OMISSIS), l’incarico di eseguire, presso la sua abitazione, “lavori di fornitura e posa in opera di tubazioni gas aerea e sottotraccia per l’alimentazione del serbatoio GPL, per il collegamento di una cucina e di una caldaia murale nonchè per lo spostamento di un condizionatore e per le demolizioni di murature interne all’abitazione”, e di aver ultimato tali lavori (compresi, dunque, ad onta di quando sul punto eccepito dalla ricorrente, quelli “edili”: v. il ricorso, p. 6) nel mese di (OMISSIS). Rispetto alla causa petendi prospettata in sede monitoria, infatti, il (presunto) creditore, costituendosi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo così ottenuto, non ha affatto proposto una domanda nuova, limitandosi, piuttosto, ad una mera precisazione – nei dettagli (o fatti secondari) concernenti il tempo (iniziale e finale) delle prestazioni eseguite e l’oggetto in cui le stesse si sono risolte – dei fatti costitutivi (rimasti, nel loro nucleo essenziale, del tutto identici) della pretesa creditoria azionata: la quale, invero, tanto nell’una, quanto nell’altra prospettazione, ha continuato ad avere per oggetto il corrispettivo maturato rispetto ai lavori complessivamente eseguiti, in termini di fornitura di impianti e posa in opera degli stessi, presso l’abitazione della ricorrente.

10.7. D’altra parte, anche a voler ammettere che tale mutamento abbia determinato l’introduzione in giudizio di un fatto costitutivo nuovo e diverso rispetto a quello inizialmente prospettato, la conseguente modifica della domanda risulterebbe senz’altro consentita: la modificazione della domanda, infatti, può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”) se, com’è accaduto nel caso in esame, la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale (e cioè l’incarico conferito e i lavori conseguentemente eseguiti) dedotta in giudizio (Cass. SU n. 12310 del 2015).

11.1. Con il secondo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha, in sostanza, ritenuto che il T. aveva dato esecuzione ai lavori commissionatigli dalla V. presso l’immobile, in disponibilità della stessa, di (OMISSIS).

11.2. Il tribunale, infatti, così facendo, ha travisato i fatti risultanti dalle prove documentali acquisite in giudizi su un punto assolutamente rilevante ai fini della decisione, vale a dire la commissione dei lavori al resistente da parte della V..

11.3. La documentazione agli atti, invece, dimostra l’esatto contrario. Ed infatti, il certificato di conformità dell’impianto del (OMISSIS) è privo di data certa ed è in contrasto insanabile con i tempi dei presunti lavori che la stessa controparte ha affermato essere stati ultimati nel mese di (OMISSIS). Le bolle di accompagnamento del serbatoio GPL, al pari di quelle relative alla fornitura di gas, inoltre, sono irrilevanti in quanto intestate al To., persona estranea al giudizio, che aveva commissionato i lavori nell’appartamento di (OMISSIS), al pari di quelli in (OMISSIS), come dimostrato dai preventivi e dalle ricevute di pagamento prodotte in giudizio. Il T., del resto, con raccomandata del 17/5/2011, aveva confessato la cessazione di tutti i rapporti con la V., il cui contenuto, peraltro, non essendo stato contestato dalla controparte con l’atto d’appello pur a fronte dell’accoglimento dell’opposizione, doveva ritenersi pienamente provato ai sensi degli artt. 115 e 167 c.p.c.. Il teste T.S., infine, all’udienza del 7/1/2013, ha dichiarato che il To. era stato più volte contattato, ma senza alcun effetto, per ottenere il pagamento dei lavori, in tal modo dimostrando la consapevolezza del T. circa la totale estraneità della V. all’intera vicenda.

11.4. La V., quindi, ha osservato la ricorrente, come emerge da quanto esposto, non ha mai conferito alcun incarico al T. per l’esecuzione dei lavori presso la sua abitazione in (OMISSIS), i cui rapporti venivano intrattenuti con il marito, To.Ma., rimasto estraneo al giudizio, e, comunque, fino al (OMISSIS), quando lo stesso T. ha comunicato la chiusura e l’interruzione di ogni rapporto. E ciò dimostra, ha concluso la ricorrente, l’inesistenza di un contratto tra il T. e la V. relativamente ai lavori svolti nell’appartamento del marito in (OMISSIS).

12.1. Il motivo è ammissibile ma infondato. Il travisamento della prova implica, invero, non una valutazione dei fatti ma una constatazione o un accertamento che una determinata informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale. Ricorre, quindi, tale ipotesi quando il ricorrente lamenta il vizio di travisamento delle risultanze processuali e chiede alla Corte di Cassazione di esaminare un determinato atto perchè si accerti che l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto o addirittura non esista nell’atto. Il giudice di legittimità, in sostanza, non è chiamato a valutare la prova ma solo ad accertarne il travisamento per l’esistenza di un dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi, sempre che l’informazione probatoria risultante dalla prova travisata sia stata prospettata come decisiva, ossia capace da sola, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, di portare il giudice di merito, in sede di rinvio, a rovesciare (in tutto o in parte) i contenuti della sua decisione (Cass. n. 10749 del 2015, in motiv.; Cass. n. 12362 del 2006).

12.2. Questi essendo i limiti entro i quali il vizio di travisamento può essere denunciato per cassazione, risulta, allora, evidente l’equivoco in cui, nel caso di specie, è caduta la ricorrente: la quale, infatti, pur denunciando il travisamento delle risultanze probatorie da parte del tribunale, non ne ha dedotto, a ben vedere, l’effettiva sussistenza, avendo, in sostanza, lamentato non già un errore di percezione, da parte del giudice di merito, di informazioni probatorie non suscettibili di essere interpretate in modo diverso, quanto, al contrario, l’erronea valutazione da parte del tribunale di siffatte risultanze. Ed è, invece, noto che, in materia di ricorso per cassazione, solo l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte, laddove, al contrario, l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27033 del 2018; Cass. n. 9356 del 2017).

12.3. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. Il tribunale, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha indicato, in modo logico e coerente, le ragioni per le quali ha ritenuto, per un verso, che la V. aveva commissionato al T. l’esecuzione di lavori presso l’immobile, in disponibilità della stessa, in (OMISSIS)via della Vite(OMISSIS), e, per altro verso, che il T. avesse dato, appunto, esecuzione a tali lavori.

12.4. Per il resto, non può che ribadirsi il principio per cui l’erronea valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice di merito non costituisce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la quale, piuttosto, è configurabile solo quando il ricorrente alleghi che il giudice abbia deciso sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui è consentito, o, rispettivamente, che il giudice, nel valutare una prova ovvero una risultanza probatoria, o non abbia operato, pur in assenza di una diversa indicazione normativa, secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), o che abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento laddove la prova era soggetta ad una specifica regola di valutazione (Cass. n. 27000 del 2016; conf., più di recente, Cass. n. 1229 del 2019).

13.1. Con il terzo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115,167 e 342 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha omesso di considerare la mancata impugnazione, da parte del T., della dedotta cessazione dei rapporti tra lo stesso e i coniugi To. – V. sin dal (OMISSIS).

13.2. La V., infatti, ha osservato la ricorrente, sin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo ha eccepito che “nei mesi precedenti i fatti di causa, il sig. To. commissionava una serie di lavori edili in altro cantiere ubicato in (OMISSIS)”, che “ad un certo punto… i rapporti tra le parti si sono incrinati…”, che, per tale motivo, il T., in data (OMISSIS), “interrompeva tutti i rapporti con il sig. To. relativi al cantiere in (OMISSIS), comunicando di aver ultimato le lavorazioni di cantiere pattuite con la parte committente” e che, da quel momento, “erano cessati tutti i rapporti tra la ditta T. ed i coniugi To…. e V….”.

13.3. Il T., dal suo canto, non ha mai contestato la circostanza della cessazione del rapporto tra le parti in data anteriore (e cioè il (OMISSIS)) rispetto all’esecuzione dei lavori ((OMISSIS)) dichiarata nel decreto ingiuntivo opposto, la quale, pertanto, deve ritenersi definitivamente provata ai sensi e agli effetti di cui agli artt. 115 e 167 c.p.c..

13.4. La sentenza impugnata, quindi, ha concluso la ricorrente, pur avendo l’obbligo di esaminare il contenuto della raccomandata del 17/5/2012 e le relative circostanze, non ha esaminato la questione, laddove, se lo avesse fatto, certamente non avrebbe potuto ritenere sussistente il rapporto contrattuale dedotto da controparte.

14.1. Con il quarto motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,167,324 e 329 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha trascurato di considerare che la cessazione del rapporto tra le parti in data anteriore (e cioè il (OMISSIS)) rispetto all’esecuzione dei lavori ((OMISSIS)) dichiarata nel decreto ingiuntivo opposto, eccepita dall’opponente sin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e ribadita nella comparsa di costituzione e risposta in appello, non era stata contestata dalla controparte, e doveva, come tale, ritenersi coperta dal giudicato interno.

14.2. Il giudice d’appello, quindi, non poteva ricostruire altrimenti i fatti storici di causa, ritenendo, cioè, sussistenti i rapporti contrattuali tra il T. e la V. in epoca successiva alla loro effettiva cessazione. La sentenza impugnata, in definitiva, ha concluso la ricorrente, ha violato il giudicato interno formatosi in merito alla conclusione dei rapporti tra il T. e la V. in data anteriore ai presunti lavori eseguiti nel mese di (OMISSIS).

15.1. Con il quinto motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la nullità della sentenza, anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha trascurato di considerare il fatto che il rapporto tra le parti era cessato in data anteriore (e cioè il (OMISSIS)) rispetto all’esecuzione dei lavori ((OMISSIS)) dichiarata nel decreto ingiuntivo opposto.

15.2. La sentenza d’appello, quindi, ha osservato la ricorrente, così facendo, ha omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, con la conseguenza che la relativa motivazione, sebbene formalmente esista, è del tutto apparente in quanto scollegata dal fatto storico, e cioè la cessazione dei rapporti tra le parti, quale emerge dai documenti di causa.

16.1. Il quinto motivo è infondato, con assorbimento del terzo e del quarto. Com’è noto, le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014) hanno ritenuto che l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile al giudizio in esame, consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Pertanto, laddove non si contesti, in via autonoma, l’inesistenza, nei termini predetti, del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione.

16.2. Nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto, quale fatto decisivo che il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare, la dedotta cessazione dei rapporti con il T. in data anteriore (e cioè il (OMISSIS)) rispetto all’esecuzione dei lavori ((OMISSIS)) che lo stesso aveva dichiarato nel ricorso per decreto ingiuntivo: più precisamente, secondo la V., il tribunale avrebbe omesso di valutare il fatto che “nei mesi precedenti i fatti di causa, il sig. To. commissionava una serie di lavori edili in altro cantiere ubicato in (OMISSIS)”, che “ad un certo punto… i rapporti tra le parti si sono incrinati…”, che, per tale motivo, il T., in data (OMISSIS), “interrompeva tutti i rapporti con il sig. To. relativi al cantiere in (OMISSIS), comunicando di aver ultimato le lavorazioni di cantiere pattuite con la parte committente”, e che, da quel momento, “erano cessati tutti i rapporti tra la ditta T. ed i coniugi To…. e V….”.

16.3. Il fatto che la ricorrente ha invocato, tuttavia, per come descritto in ricorso, risulta palesemente privo del requisito della decisività: se solo si considera che la cessazione invocata dalla V., stando al tenore della relativa deduzione in giudizio, riguarda esclusivamente i “lavori edili” commissionati al T. dal marito e relativi ad “altro cantiere ubicato in (OMISSIS)”.

16.4. Ed una volta esclusa, ai fini previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la decisività del fatto asseritamente omesso, risultano, evidentemente assorbite le censure, proposte con il terzo ed il quarto motivo, relative alla (mancata considerazione della) prova, per mancata contestazione, di tale fatto ovvero (all’effetto preclusivo asseritamente conseguente) al giudicato interno formatosi intorno ad esso.

17. Con il sesto motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale, pronunciando sull’appello proposto dal T., ha dichiarato l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto, confermando, in tal modo, la statuizione, contenuta nello stesso decreto, al pagamento degli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5.

17.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, il tribunale non ha tenuto conto del fatto che la V., nell’atto d’opposizione al decreto ingiuntivo, aveva espressamente dedotto che il decreto opposto l’aveva condannata al pagamento degli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, pur in mancanza di un contratto qualificabile, a norma dell’art. 2 dello stesso Decreto, come una “transazione commerciale”.

18. Con il settimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale, pronunciando sull’appello proposto dal T., ha dichiarato l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto, confermando, in tal modo, la statuizione, contenuta nello stesso decreto, al pagamento degli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, senza, tuttavia, tener conto del fatto che il decreto ingiuntivo l’aveva condannata al pagamento degli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, pur in mancanza della necessaria domanda da parte del ricorrente.

19.1. Il sesto motivo è fondato con assorbimento del settimo. Il tribunale, infatti, in accoglimento dell’appello proposto dal T., ha provveduto ad annullare la sentenza impugnata ed ha dichiarato l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto: ivi compresa la statuizione con la quale il giudice aveva, a suo tempo, ingiunto alla V. il pagamento della somma di Euro 3.600,00, oltre agli interessi di mora dalla maturazione (D.Lgs. n. 231 del 2002, ex artt. 4 e 5) sino all’effettivo soddisfo. Sennonchè (non trovando applicazione, ratione temporis, la disposizione prevista dall’art. 1284 c.c., comma 4, così come modificato, dal D.L. n. 132 del 2014, art. 17, comma 1, conv. con L. n. 162 del 2014), deve escludersi – alla luce dei fatti accertati nella sentenza impugnata – che tra la V. ed il T. sia stato stipulato un contratto “tra imprese” che, a norma del D.Lgs. n. 231 cit., art. 2, possa essere qualificato come una “transazione commerciale”: tale, dunque, da determinare, in caso di mancato pagamento nei termini del corrispettivo ivi previsto (art. 1), l’obbligo di pagare gli interessi di mora nei termini e nella misura stabiliti dagli artt. 4 e 5 dello stesso Decreto, essendo, piuttosto, dovuti gli interessi di mora al tasso legale previsto, in via ordinaria, dal comb. disp. dell’art. 1224 c.c. e art. 1284 c.c., comma 1.

19.2. La sentenza impugnata, quindi, in parte qua dev’essere cassata.

20.1. Con l’ottavo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2225 e 1657 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto accertato il rapporto giuridico dedotto in giudizio, reputando, invece, generiche e tardive le contestazioni sollevate dall’opponente in merito al quantum della pretesa azionata dal creditore, determinato dall’istante in termini del tutto ragionevoli.

20.2. La sentenza impugnata, però, ha osservato la ricorrente, così facendo, ha trascurato di considerare che la V. aveva, in realtà, contestato in radice sia l’esecuzione dei lavori, che lo stesso rapporto contrattuale invocato a suo fondamento. Incombeva, quindi, all’attore sostanziale, dimostrare sia il rapporto contrattuale, che il quantum della prestazione, secondo i criteri previsti dall’art. 2697 c.c.. L’opposizione a decreto ingiuntivo si configura, infatti, come un giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, con la conseguenza che, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo.

20.3. Nel caso di specie, invece, ha concluso la ricorrente, tale prova è del tutto mancata. La controparte, del resto, aveva l’onere di dimostrare anche l’ammontare del credito, assolvendo, ai sensi dell’art. 2697 c.c., al relativo onere probatorio.

21.1. Il motivo è infondato. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., infatti, censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece, come accaduto nel caso di specie, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr. Cass. n. 13395 del 2018), lì dove, in particolare, ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta e delle prove orali raccolte, era stato dimostrato in giudizio tanto il conferimento dell’incarico da parte della V., quanto l’esecuzione dei relativi lavori ad opera del T..

21.2. Quanto al resto, la Corte rileva che, in tema di compenso per l’attività svolta dal prestatore d’opera, il giudice, a fronte di risultanze processuali carenti sul quantum ed in difetto (come nella specie) di tariffe professionali e di usi, non può rigettare la domanda di pagamento del compenso, assumendo l’omesso assolvimento di un onere probatorio in ordine alla misura dello stesso, ma deve determinarlo, ai sensi dell’art. 2225 c.c. (se del caso condividendo il quantum preteso dal creditore), con criterio equitativo: come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. Il tribunale, infatti, lì dove ha ritenuto che il corrispettivo invocato dall’istante era stato dallo stesso determinato “in termini del tutto ragionevoli”, ha, in sostanza, condiviso, in quanto, appunto, ragionevole – e, quindi, equa – la quantificazione del corrispettivo operata dal creditore.

22.1. Con il nono motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale, dopo aver ritenuto accertato il rapporto giuridico dedotto in giudizio, ha reputato che la pretesa azionata dal creditore era stata determinata dall’istante “in termini del tutto ragionevoli”.

22.2. La motivazione della sentenza, tuttavia, ha osservato la ricorrente, è meramente apparente e/o perplessa ed è obiettivamente incomprensibile poichè non solo non indica alcun parametro certo e verificabile ma ritiene ragionevole un compenso di Euro 3.600,00 per una prestazione che, inizialmente limitata ad alcuni piccoli interventi, si è poi prolungata per oltre sei mesi.

23. Il motivo è infondato. Ed infatti, quando, com’è accaduto nel caso in esame, il giudice ricorre alla liquidazione equitativa della prestazione dovuta, svolge un giudizio di merito, censurabile in cassazione solo per insussistenza dei presupposti ovvero per vizio di motivazione, deducibile, però, esclusivamente sotto il profilo della sua mancanza o sotto quello della enunciazione meramente apparente (cfr. Cass. n. 458 del 2003).

24.1. Con il decimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta e delle testimonianze raccolte il giudizio, l’appellante avesse provato l’esecuzione dei lavori a lui commissionati.

24.2. La motivazione fornita dal tribunale, tuttavia, ha evidenziato la ricorrente, è del tutto apparente, incomprensibile ed irrimediabilmente contraddittoria in quanto fondata su mere congetture che non solo non hanno costituito materia del contendere, come la strumentalità tra le diverse lavorazioni, ma sono in contrasto con la situazione concreta e mai prospettata da controparte.

25.1. Il motivo è infondato. Com’è noto, le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014) hanno ritenuto che l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile al giudizio in esame, consente di denunciare in cassazione, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo, l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

25.2. Nel caso in esame, tuttavia, nessuna di tali ipotesi appare configurabile. Il tribunale, invero, come più volte evidenziato, ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta e delle testimonianze raccolte il giudizio, l’appellante avesse provato l’esecuzione dei lavori a lui commissionati ed ha, in tal senso, invocato: – innanzitutto, i documenti che il T. aveva depositato in giudizio, e cioè la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di GPL, e la fattura del (OMISSIS), per la relativa fornitura, sul rilievo che “trattasi di prestazioni accessorie rispetto alla esecuzione delle opere da parte della ditta T., la quale era solita occuparsi proprio di posa in opera di tubazioni per il gas e di collegamenti degli impianti domestici (cucina – caldaia) alla rete di fornitura (vd. Fattura n. (OMISSIS) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo), a cui risultava strumentale proprio la consegna del serbatoio, in un primo momento, e l’installazione, oltre che l’attivazione della fornitura, successivamente…”e che “le date riportate nei due predetti documenti… consentono di collocare nello stesso periodo i lavori di tubazione del gas eseguiti dalla ditta T.”; – in secondo luogo, le dichiarazioni rese dai testimoni, i quali hanno riferito della presenza del T. nell’immobile di (OMISSIS) precisando che lo stesso, insieme al figlio, era intento nell’esecuzione di lavori sulle tubazioni del gas. Ritiene la Corte che le ragioni, in fatto, che il tribunale ha esposto risultano – corrette o meno che siano – non solo comprensibili e nient’affatto perplesse, ma anche del tutto logiche e coerenti, avendo rappresentato, senza alcuna contraddizione, il convincimento espresso dal giudice di merito in ordine all’esecuzione dei lavori commissionatigli da parte del T..

26.1. Con l’undicesimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione del principio del giusto processo, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che, alla luce della documentazione prodotta e delle testimonianze raccolte il giudizio, l’appellante avesse provato l’esecuzione dei lavori a lui commissionati.

26.2. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che, in senso conforme all’ipotesi dedotta dal T. e in senso contrario all’assunto dell’opponente, deponessero tanto la bolla di accompagnamento del (OMISSIS), relativa alla consegna di un serbatoio di GPL, quanto la fattura del (OMISSIS), per la relativa fornitura, sul rilievo che “trattasi di prestazioni accessorie rispetto alla esecuzione delle opere da parte della ditta T., la quale era solita occuparsi proprio di posa in opera di tubazioni per il gas e di collegamenti degli impianti domestici (cucina – caldaia) alla rete di fornitura (vd. Fattura n. (OMISSIS) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo), a cui risultava strumentale proprio la consegna del serbatoio, in un primo momento, e l’installazione, oltre che l’attivazione della fornitura, successivamente…”.

26.2. Il tribunale, inoltre, ha ritenuto di escludere, diversamente dall’assunto di parte appellata, che tali lavori erano stati eseguiti da altri, evidenziando, piuttosto, la diversità dei lavori eseguiti da B.P. il quale, ascoltato come testimone, aveva chiarito la diversa tipologia degli interventi dallo stesso eseguiti, e cioè “di manutenzione e di riparazione di impiantistica dallo stesso realizzata quando la casa era in costruzione, circa 10-15 anni addietro”: circostanza ribadita più volte nel corso del suo ascolto, così trovando ancora una volta conferma quanto riferito dal teste T.S. e cioè che “la fattura n. (OMISSIS) rilasciata dal sig. B. non è riferita a lavori effettuati da noi”.

26.4. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha violato il principio del giusto processo previsto dall’art. 111 Cost., avendo rilevato, d’ufficio, questioni, come il presunto rapporto di strumentalità tra le prestazioni relative alla installazione del serbatoio del gas e le relative tubazioni, al pari del presunto allaccio alla rete pubblica, che dovevano essere sottoposte alle parti, a norma dell’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, tanto più in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione in sede di appello.

27. Il motivo è infondato. La sentenza, infatti, non ha rilevato (e cioè introdotto, in giudizio), in via ufficiosa, questioni (di fatto) non dedotte dalle parti, che, quali fatti (costitutivi) concorrenti o alternativi rispetto a quelli invocati dall’opposto (attore in senso sostanziale) con il ricorso per decreto ingiuntivo, hanno consentito al tribunale di accogliere, in forza degli stessi, la domanda giudiziale ivi proposta: si è limitata, piuttosto, a valutare le prove offerte ritenendo che, alla luce delle relative emergenze, era risultata dimostrata l’esecuzione, da parte del T., delle opere commissionategli dalla V., costituente, come visto, la ragione, in fatto, della domanda che lo stesso aveva introdotto con l’iniziativa a suo tempo assunta. L’obbligo di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, rafforzato dall’aggiunta all’art. 101 c.p.c., comma 2, ad opera della L. n. 69 del 2009, non si estende, infatti, al caso in cui il giudice proceda semplicemente ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito (Cass. n. 10353 del 2016 la quale, peraltro, ha aggiunto che, in generale, in tanto la parte può dolersi del rilievo d’ufficio fatto “a sorpresa” solo in motivazione, in quanto dimostri che, se i giudici avessero sollecitato le parti a prendere posizione sulla questione rilevata d’ufficio, ella avrebbe potuto svolgere nuove attività probatorie e/o assertive in punto di fatto e non mere difese).

28.1. Con il dodicesimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,113,115,167,324 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale, diversamente dall’assunto di parte appellata, ha escluso che i lavori erano stati eseguiti da altri, evidenziando, piuttosto, la diversità dei lavori eseguiti da B.P. il quale, ascoltato come testimone, aveva chiarito la diversa tipologia degli interventi dallo stesso eseguiti, e cioè “di manutenzione e di riparazione di impiantistica dallo stesso realizzata quando la casa era in costruzione, circa 10-15 anni addietro”: circostanza ribadita più volte nel corso del suo ascolto, così trovando ancora una volta conferma quanto riferito dal teste T.S. e cioè che “la fattura n. (OMISSIS) rilasciata dal sig. B. non è riferita a lavori effettuati da noi”.

28.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha completamente ignorato che l’appellante non aveva specificamente impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice di pace aveva escluso che rispondesse a verità la data di conclusione dei lavori che il T. ha fatto risalire al (OMISSIS), data della fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo, evidenziando l’esistenza, in atti, della fattura rilasciata il (OMISSIS) dalla ditta B. e la dichiarazione di conformità dell’impianto a regola d’arte.

29.1. Con il tredicesimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che, nonostante il rapporto filiale con l’appellante, il teste T.S. era risultato, per precisione e concordanza delle dichiarazioni rese dallo stesso con altri elementi probatori, del tutto credibile.

29.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha trascurato di considerare che, come l’opponente aveva eccepito all’udienza del 7/1/2013, il teste non aveva la capacità di testimoniare, in quanto titolare di un diretto interesse in causa, come emerge dalla sua stessa testimonianza, la quale dimostra la sua stretta collaborazione con il padre.

30. Con il quattordicesimo motivo del ricorso n. 6434 del 2016, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,167 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale non ha considerato che il giudice di pace aveva definito inattendibile la testimonianza resa dal C. e che tale statuizione, al pari di quella analoga che ha riguardato i testi P. e Ce., non era stata specificamente impugnata dall’appellante, per cui, in mancanza di tale impugnazione, il giudizio espresso sul teste risultava coperto dal giudicato.

31.1. Il dodicesimo ed il quattordicesimo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Il giudicato si determina, infatti, solo su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico – suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, per cui, anche se ciascun elemento di detta sequenza può essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 12202 del 2017; Cass. n. 2217 del 2016).

31.2. Nel caso di specie, come emerge dalla sentenza impugnata, il T. ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado censurandola, in particolare, nella parte in cui il giudice di pace aveva escluso che il contratto di prestazione d’opera tra la V. ed il T. fosse stato provato in giudizio, deducendo che, al contrario, alla luce della documentazione prodotta in atti e delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale e dai testi escussi, poteva ritenersi provato in giudizio l’incarico conferitogli dalla V. e dallo stesso puntualmente portato a termine. L’impugnazione proposta dal T., pertanto, ha riaperto la cognizione del giudice d’appello sull’intera statuizione (di rigetto della domanda per difetto di prova del contratto posto a fondamento della stessa): comprese, evidentemente, le questioni concernenti la valenza, o meno, (ai fini della prova del contratto invocato dall’opposto) della fattura e del certificato rilasciati dalla ditta B. ovvero l’attendibilità dei testimoni escussi in giudizio.

32. Il tredicesimo motivo è infondato. Intanto, la ricorrente non ha dedotto, riproducendo i relativi passi in ricorso, di aver riproposto, in appello, l’eccezione di nullità della testimonianza di T.S., per incapacità a testimoniare, laddove, al contrario, ove l’eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, tempestivamente proposta, non sia stata presa in esame dal giudice avanti al quale la prova è stata espletata, la stessa, ove sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, dev’essere da questa riproposta nel giudizio di gravame a norma dell’art. 346 c.p.c., dovendosi in caso contrario la medesima eccezione ritenersi rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass. n. 10120 del 2019). In tema di prova testimoniale, inoltre, l’insussistenza (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 1994) del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’art. 247 c.p.c., non consente al giudice di merito una aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse: tale valutazione, tuttavia, non è censurabile in sede di legittimità ove motivata (Cass. n. 98 del 2019; Cass. n. 17630 del 2010), come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. Il tribunale, infatti, ha espressamente evidenziato come T.S., “nonostante il rapporto filiale con l’appellante,…, è risultato, per precisione e concordanza delle dichiarazioni rese con altri elementi probatori, del tutto credibile”, rilevando, inoltre, che lo stesso testimone aveva aggiunto, “con ciò confermando la sua attendibilità”, di aver personalmente compilato il certificato del (OMISSIS) di conformità dell’impianto termoidraulico e del gas. Del resto, come più volte ribadito da questa Corte, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. n. 16499 del 2009; Cass. n. 11176 del 2017, per la quale, nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove salvo che non abbiano natura di prova legale – il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti in relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati).

33. Il ricorso n. 27053 del 2017 dev’essere, quindi, rigettato.

34. Il ricorso n. 6434 del 2016 dev’essere, invece, accolto limitatamente al sesto motivo e rigettato relativamente agli altri motivi, assorbiti il terzo, il quarto ed il settimo.

35. La sentenza del tribunale di Lecce n. 4199/2015 devèessere, quindi, nei limiti sopra indicati, cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte decide nel merito e, per l’effetto, condanna V.N. al pagamento, in favore di T.G., degli interessi di mora, secondo il tasso legale previsto dal comb. disp. dell’art. 1224 c.c. e art. 1284 c.c., comma 1, dalla maturazione al saldo.

36. Le spese di lite maturate nel giudizio di cui al ricorso n. 6434 del 2016, seguono, per tutti i gradi in cui si è svolto, la pressochè totale soccombenza della V. e sono liquidate in dispositivo.

37. Le spese del giudizio di legittimità introdotto dal ricorso n. 27053 del 2017 seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo: ferme restando le statuizioni sulle spese e la condanna a norma dell’art. 96 c.p.c., contenute nella sentenza del tribunale di Lecce n. 1633/2017.

38. La Corte dà atto, relativamente al solo ricorso n. 27053 del 2017, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso n. 27053 del 2017; accoglie il sesto motivo del ricorso n. 6434 del 2016 e rigetta gli altri, assorbiti il terzo, il quarto ed il settimo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza del Tribunale di Lecce n. 4199/2015 e, decidendo nel merito, condanna V.N. al pagamento, in favore di T.G., degli interessi di mora, secondo il tasso indicato in motivazione, dalla maturazione al saldo; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida: per il giudizio innanzi al giudice di pace, nella somma di Euro 54,94 per le spese ed Euro 1.200,00 per compenso; per il giudizio d’appello, nella somma di Euro 220,50 per le spese ed Euro 1.500,00 per compenso; per il giudizio di legittimità, tanto per l’uno, quanto per l’altro ricorso, nella somma complessiva di Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; il tutto oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15% e con distrazione in favore del difensore del T. relativamente ai compensi liquidati per i gradi del giudizio di merito; dà atto della sussistenza, relativamente al solo ricorso n. 27053 del 2017, dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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