Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30551 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 26/09/2011, dep. 30/12/2011), n.30551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.P. (OMISSIS), R.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA

14, presso lo studio dell’avvocato DIECI UMBERTO, che li rappresenta

e difende unitamente agli avvocati FLORINO LUCIO, VON BERGER CARLO

M.;

– ricorrenti –

contro

F.F. (OMISSIS), F.C. (OMISSIS)

(OMISSIS), F.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI S. COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato MANCINI

LUIGI, rappresentati e difesi dall’avvocato SABBATINO EDOARDO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2278/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato SABBATINO Edoardo, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione del 7 aprile 1999 P. e R. F. esposero che in data 24 novembre 1998 era deceduta in Napoli F.E., la quale, con testamento pubblico del 4 novembre 1998, revocata ogni precedente disposizione, aveva istituito eredi i propri nipoti, figli del fratello Em. e della sorella A.; che in data (OMISSIS) era deceduto, premorendo alla testatrice, R.B., figlio della sorella della F., e che a lui erano succeduti la moglie C.P. e gli attori, figli del de cuius. Tanto premesso, costoro convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli C., A. e F.F. per sentir accertare pregiudizialmente la loro qualità di eredi della F. per rappresentazione del proprio genitore, e nel merito procedere alla divisione dell’eredità di cui si trattava, previo accertamento della conformità del relitto con quanto inventariato, con adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 784 cod. proc. civ. e segg. ed eventuale ordine ai convenuti di rendere il conto dei beni mobili e della liquidità della F., non inventariati.

2. – Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 15 gennaio 2001, rigettò la domanda.

3. – P. e R.F. impugnarono la decisione del primo giudice, che fu confermata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza depositata l’11 luglio 2005. Con riferimento al motivo di gravame concernente la non corretta interpretazione degli artt. 467 e 468 cod. civ., in base al rilievo che qualsiasi discendente del fratello e della sorella del de cuius – e, quindi, anche il figlio del nipote ex fratre del de cuius – potrebbe succedere per rappresentazione al proprio ascendente erede ex lege o istituito erede in via testamentaria, la Corte territoriale osservò che, alla stregua del dettato normativo, soggetti rappresentati nella linea collaterale sono esclusivamente i fratelli e le sorelle del de cuius.

Nella specie, avendo il de cuius istituito direttamente i figli del fratello e della sorella, non sussisteva, secondo la Corte di merito, alcuna chiamata neppure potenziale della sorella, con la conseguenza che l’istituto della rappresentazione non poteva trovare applicazione e che gli appellanti non avevano acquistato la qualità di eredi.

Quanto alla pretesa disparità di trattamento che si sarebbe venuta a creare tra vocazione ab intestato e vocazione testamentaria, la Corte di merito condivise il rilievo del primo giudice secondo il quale nella prima il de cuius non ha individuato i soggetti che gli dovranno succedere, mentre nella seconda ha operato una scelta che potrebbe essere stata dettata dall’intenzione di favorire tra i potenziali eredi legittimi alcuni specifici soggetti.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono P. e R. F. sulla base di un unico motivo. Resistono con controricorso F., A. e F.C., che hanno depositato anche memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico, articolato motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 467 (particolarmente, comma 2), 468, 469 cod. civ., nonchè carente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. La questione, sollevata già nel giudizio di secondo grado, concerne la interpretazione delle invocate disposizioni codicistiche, le quali, secondo la difesa dei ricorrenti, consentirebbero la successione per rappresentazione dei figli del nipote ex fratre istituito erede dal de cuius. Si sostiene nel ricorso che la elencazione tassativa di cui all’art. 468 c.p.c., comma 1, secondo il quale la rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli… e, nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e sorelle del defunto – riguardi soltanto i “rappresentanti”, cioè i soggetti che possono succedere per rappresentazione, e non anche i “rappresentati”, cioè coloro ai quali si può succedere per rappresentazione. Infatti, la citata disposizione individuerebbe solo i soggetti nei cui confronti ha luogo la rappresentazione. Inoltre, tale disposizione andrebbe collegata con quella di cui all’art. 469 c.p.c., comma 1, secondo il quale la rappresentazione, oltre che riguardare non il soggetto singolo ma la sua stirpe, ha luogo in infinito: se ne dovrebbe inferire che l’art. 468, comma 1, si limita ad individuare le due stirpi (in linea retta e collaterale) riguardo alle quali trova applicazione l’istituto della rappresentazione, utilizzando, per la individuazione della stirpe, il relativo capostipite, ossia il figlio o il fratello o sorella del testatore.

Diversamente opinando – si legge nel ricorso – si precluderebbe la operatività dell’art. 469, comma 1, secondo il quale la rappresentazione ha luogo, oltre che per stirpi, anche in infinito, mentre l’art. 468 risulterebbe in contrasto, oltre che con l’evoluzione normativa in materia di diritto di famiglia, con il principio costituzionale di parità di trattamento tra i cittadini.

2.1. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.

2.2. – La suggestiva tesi della difesa dei ricorrenti si infrange contro con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione per rappresentazione, quale preveduta dagli artt. 467 e 468 cod. civ., è tassativa, essendo il risultato di una scelta operata dal legislatore, sicchè non è data rappresentazione quando la persona cui ci si vuole sostituire non sia, nella linea retta, un figlio e, nella linea collaterale, fratello o sorella del defunto (v. Cass., sentt. n. 22840 del 2009, n. 3051 del 1994, n. 5077 del 1990, n. 1366 del 1975, n. 911 del 1946).

2.3. – Già nella pronuncia da ultimo citata, la sentenza n. 911 del 1946, si affermò che “l’art. 468 c.c. circoscrive rigorosamente i limiti di applicazione dell’istituto della rappresentazione, sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti legittimi del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto. Sono, pertanto, esclusi dalla rappresentazione i discendenti dei collaterali di terzo o ulteriore grado (es. nipoti ex fratre)”.

In motivazione, si precisò che “la rappresentazione (…) non ha luogo a favore dei discendenti legittimi di qualunque chiamato, ma solo dei discendenti del chiamato, che sia figlio ovvero fratello o sorella del defunto. Ciò dispone l’art. 468 c.c., circoscrivendo l’ambito di applicazione dell’istituto nei confronti dei soggetti a cui favore opera, e cioè della persona del rappresentante e del rappresentato. Sicchè, per aversi rappresentazione nella linea retta, è necessario che il chiamato sia figlio della persona della cui eredità si tratta, e nella linea collaterale che sia fratello o sorella del de cuius. Sono invece esclusi dalla rappresentazione i discendenti dei collaterali di terzo o ulteriore grado: ond’è che quando (…) gl’istituiti con testamento siano nipoti ex fratre, e alcuni di essi non possano accettare l’eredità perchè premorti al testatore, non si fa luogo alla rappresentazione, perchè manca l’istituzione del fratello o della sorella che, nella linea collaterale, è la persona che la legge considera debba essere rappresentata”. La Corte si pose altresì il problema della esistenza di un diverso orientamento, maturato nella vigenza del codice del 1865, che ammetteva la rappresentazione anche a favore dei discendenti dei nipoti ex fratre, istituiti eredi e premorti al testatore. Ma – si osservò – il legislatore del 1942 ha mostrato di volersi deliberatamente discostare da tale orientamento. Infatti, mentre “il progetto preliminare aveva, nella successione testamentaria, ammesso la rappresentazione anche a favore dei discendenti dell’erede o legatario “istituito”, non solo se fratello o sorella, ma anche se discendente di costoro (,..), la innovazione non passò nel codice, essendo sembrato “inopportuno ampliare il campo di applicazione dell’istituto nella linea collaterale” (Relazione ministeriale al progetto definitivo, n. 22)”.

Nè, ad avviso della Corte, poteva porsi il problema di ricercare adattamenti nell’ambito della successione testamentaria, posto che il nuovo codice ha dato all’istituto una disciplina uniforme per le successioni legittime e quelle testamentarie, e che la lettera della legge, conforme anche all’intendimento del legislatore, non consentiva l’estensione della rappresentazione nel caso in cui il rappresentato fosse un soggetto diverso dai figli, dai fratelli o dalle sorelle. Nella sentenza n. 1366 del 1975, si precisò ulteriormente che “La successione per rappresentazione costituisce un caso di vocazione indiretta in ragione della quale la posizione dell’erede rappresentante si determina in base al contenuto (luogo e grado) della vocazione del chiamato (rappresentato), nel presupposto determinante e qualificante che egli non possa o non voglia venire alla successione, e nei limiti soggettivi specificamente dettati dagli artt. 467 e 468 c.c.. I suddetti limiti richiedono per la rappresentazione in linea retta che il c.d. rappresentato sia figlio (senza distinzione tra figli legittimi, legittimati, adottivi, naturali) del de cuius, e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del rappresentato, e per la rappresentazione in linea collaterale che il c.d. rappresentato sia fratello o sorella del de cuius e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del medesimo (tenendo anche presente la sentenza della Corte Costituzione n. 79 del 1969, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. – oltre che dell’art. 577 c.c. – limitatamente alla parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, a sua volta figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi)”.

2.4. – Nella medesima sentenza si ritenne poi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. per violazione dell’art. 3 Cost., “in quanto sono stabiliti limiti soggettivi, in tema di rappresentazione, a proposito sia del rappresentato sia del rappresentante”. In motivazione, la Corte precisò che “le limitazioni soggettive caratterizzanti le figure dei c.d. rappresentato e rappresentante nell’istituto in esame sono connaturate ed intrinsecamente necessarie alla coerenza giuridica della rappresentazione, la quale è un istituto di diritto singolare in cui vengono alla successione soggetti che senza di esso ne resterebbero esclusi e per il quale non possono farsi tendenzialmente coincidere le figure del rappresentato e del rappresentante con la categoria generale dei successibili”.

2.5. – Tali principi sono stati ribaditi da Cass., n. 5077 del 1990, e da Cass. n. 3051 del 1994. In quest’ultima pronuncia, la Corte, dopo aver ricostruito le origini dell’istituto della rappresentazione, ha osservato come sia conseguente alla evoluzione strutturale dell’istituto anche il variare, nel tempo, del suo fondamento sociale, rilevando che “superata la tesi iniziale – che ancorava la ratio della rappresentazione a ragioni di tutela di una volontà presunta del de cuius – la dottrina prevalente, prima della citata sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 1969, aveva finito (…) con l’individuare lo scopo dell’istituto nella protezione della famiglia legittima e, più precisamente, della stirpe legittima del de cuius. Ma è stata poi lo stesso giudice delle leggi a rilevare – con la riferita statuizione – che, quale che sia la natura della rappresentazione, “in concreto questa tutela gli interessi della famiglia del mancato erede, impedendo che i beni le siano tolti sol perchè il genitore non vuole o non può accettarli”.

La Corte, peraltro, ha osservato che, pur se la ratio dell’istituto si è progressivamente spostata dalla tutela della famiglia del defunto alla tutela di quella del mancato successore, tuttavia non è venuto meno il carattere eccezionale della rappresentazione, nel sistema successorio. Questa opera infatti in deroga ai principi generali sull’ordine dei successibili, anteponendo nelle ipotesi di cui agli artt. 467 e 468 c.c., i discendenti del chiamato, che non voglia o non possa accettare, a quegli che sarebbero stati – altrimenti – chiamati in linea ulteriore. Ed è evidente che il margine di estensibilità di una tale deroga, che esprime una valutazione squisitamente discrezionale del legislatore, non può essere divaricato senza impingere in quella discrezionalità: ciò che neppure al giudice delle leggi è consentito, dovendo anche i più sofisticati strumenti decisori a sua disposizione (sentenze additivo, manipolative etc.) rispettare la nota linea di confine che separa la funzione sindacatoria della Corte Costituzionale da quella propriamente normativa riservata al Parlamento.

Infine, l’orientamento sin qui illustrato è stato ribadito nella sentenza di questa Corte n. 22840 del 2009, che è pervenuta a detto risultato dopo aver analiticamente ripercorso la evoluzione giurisprudenziale in materia.

2.6. – In tale situazione, i ricorrenti, nel ritenere che la lettera dell’art. 468 c.c. non costituisca ostacolo alla estensione della possibilità di succedere per rappresentazione anche in favore di soggetti discendenti da persone diverse dai figli del de cuius, si sono discostati dagli indicati principi, cui il Collegio intende uniformarsi.

2.7. – Nè – come rilevato nella citata sentenza n. 22840 del 2009 – può valere a sostenere la diversa interpretazione la circostanza che l’art. 469 cod. civ. prevede che “la rappresentazione ha luogo in infinito (…)”, giacchè tale disposizione non può non essere interpretata con riferimento alla previsione del precedente articolo, che, come visto, individua i rappresentabili precisando che essi debbano essere i figli, i fratelli o le sorelle del de cuius. Una volta rispettata questa condizione iniziale, certamente poi la rappresentazione può operare “in infinito”; ma, come detto, nel caso di specie, è proprio il requisito iniziale a fare difetto.

2.8. – Da ultimo, si ribadisce quanto ancora osservato nella pronuncia del 2009, secondo cui, nel caso di successione testamentaria e nel caso in cui l’impossibilità dell’istituito di succedere dipenda, come nel caso di specie, dal fatto che lo stesso premuoia al testatore, l’effetto pregiudizievole per i discendenti dell’istituito che non sia figlio, fratello o sorella del testatore, potrebbe pur sempre essere eliminato dal medesimo testatore attraverso una nuova manifestazione di volontà che, prendendo atto della premorienza dell’istituito, indirizzi le disposizioni testamentarie in favore dei discendenti che non potrebbero succedere per rappresentazione; salva sempre la facoltà per il testatore di disporre una istituzione sostitutiva.

3. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Avuto riguardo alla peculiarità della vicenda ed alla rilevanza e delicatezza della questione trattata, si ritiene equo disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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