Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30550 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. II, 30/12/2011, (ud. 26/09/2011, dep. 30/12/2011), n.30550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato TAVERNITI

BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato VALETTINI ROBERTO;

– ricorrente –

contro

S.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SANT’AGATONE PAPA 50, presso lo studio dell’avvocato MELE

CATERINA, rappresentato e difeso dagli avvocati MARTINO ANTONIO,

FERRUTI GIULIO E. MARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1902/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato TAVERNITI Bruno, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Roberto VALENTINI difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MARTINO Antonio, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – G.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Monza S.S., e, dichiarandosi erede di S. F.M. per effetto di testamento olografo del 19 luglio 1996, chiese la condanna della convenuta al rilascio di parte dei beni ereditar dalla stessa illegittimamente detenuti, e la divisione del coacervo ereditario.

La S., contestata l’autenticità del testamento, chiese, in via riconvenzionale, l’annullamento dello stesso, in quanto, ove autentico, redatto da persona fragile e facilmente influenzabile.

Il Tribunale adito rigettò le domande dell’attrice, che impugnò la sentenza.

2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 20 luglio 2005, rigettò il gravame. Osservò il giudice di secondo grado che, a seguito del disconoscimento dell’autenticità del testamento che nominava la G. erede universale, la stessa avrebbe dovuto proporre istanza di verificazione della scheda testamentaria, invece non formulata, così come non era stata richiesta l’ammissione di una perizia grafica. Solo con la comparsa conclusionale, la difesa dell’attrice si era pronunciata sul tema, affermando di avere implicitamente proposto istanza di verificazione sin dalla prima difesa successiva al disconoscimento del testamento, laddove, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la parte che intende avvalersi della scrittura disconosciuta ha l’onere di esprimere ritualmente la volontà di procedere alla verificazione, e di svolgere le ulteriori attività imposte dall’art. 216 cod. proc. civ. Quanto, poi, all’asserito deposito di scritture di comparazione, osservò la Corte di merito che la difesa G. si era limitata a depositare, con la memoria istruttoria 30 marzo 2001, alcuni documenti al fine di dimostrare l’oculatezza e la competenza proprie di una mente lucida e sana, ed altri documenti in relazione alla domanda riconvenzionale proposta da controparte. Quindi, nella linea difensiva dell’attrice, tali documenti non adempivano la funzione di scritture di comparazione. Inoltre i predetti documenti non rispondevano ai requisiti prescritti dall’art. 217 cod. proc. civ. per l’ammissione delle scritture di comparazione, e cioè che esse siano concordemente riconosciute come tali dalle parti, ovvero che la provenienza delle medesime dalla persona che si afferma autrice della scrittura sia riconosciuta o accertata con sentenza o con atto pubblico. Infine, doveva escludersi la possibilità di instaurare la procedura di verificazione in grado di appello.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la G. sulla base di quattro motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso la S., che ha a sua volta depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. La Corte di merito non avrebbe dato conto del rigetto della censura sollevata dalla G. in relazione alla ritenuta non necessità della proposizione dell’istanza di verificazione, atteso che sarebbe risultata in modo palese la volontà della S. di estendere l’oggetto del procedimento alla verifica dell’autenticità del testamento.

2.1. – La censura è infondata.

2.2. – A fronte dell’immediato disconoscimento da parte della erede legittima, attuale controricorrente, dell’autenticità del testamento de quo, e, solo in subordine, della richiesta di annullamento dello stesso per incapacità di autodeterminarsi del de cuius, la G. avrebbe dovuto farsi carico della proposizione della istanza di verificazione, in assenza della quale la scheda testamentaria perse ogni efficacia.

3. – Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 216 cod. proc. civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel considerare come formalmente non proposta l’istanza di verificazione della scrittura senza valutare che essa si doveva in realtà intendere come implicitamente proposta già nelle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Si rileva che per la proposizione della istanza di verificazione non sono richieste forme sacramentali, essendo, invece, sufficiente che vi sia stato un comportamento concludente in tal senso della parte che intende avvalersi della scrittura.

4.1. – Anche tale doglianza risulta immeritevole di accoglimento.

4.2. – La Corte territoriale ha, invero, fornito adeguata e non illogica motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto che la attuale ricorrente non avesse manifestato implicitamente la volontà di proporre istanza di verificazione. Ciò ha fatto richiamando, in particolare, i documenti che la difesa della G. aveva prodotto in giudizio, intesi a dimostrare la sanità mentale e la lucidità del S., e che, pertanto, non erano stati depositati quali scritture di comparazione, non essendo, tra l’altro, rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 217 cod. proc. civ..

5. – Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 216, in relazione agli artt. 184 e 345 cod. proc. civ. per avere la Corte di merito ritenuto inammissibile, in quanto tardiva, la esplicita proposizione in grado di appello di istanza di verificazione del testamento disconosciuto. Premesso che tale istanza era stata proposta ad abundantiam, ritenendosi che la stessa fosse implicitamente contenuta nella domanda introduttiva, la ricorrente rileva che l’istanza di verificazione non potrebbe essere considerato un mezzo di prova, e, quindi, soggiacere alla regola posta dall’art. 345 cod. proc. civ., essendo solo lo strumento attraverso il quale la parte dichiara di volersi avvalere del documento disconosciuto.

6.1. – Il motivo è privo di fondamento.

6.2. – La Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, già enunciato da questa Corte ed al quale il Collegio intende dare continuità, secondo il quale, nel vigore dell’art. 345 nuovo testo cod. proc. civ., non è ammissibile la proposizione per la prima volta in appello di una istanza di verificazione di scrittura privata prodotta in primo grado e disconosciuta in quella sede ex art. 214 c.p.c. (v. Cass., sentt. n. 26943 del 20078; n. 19067 del 2006; n. 2411 del 2005).

7. – Resta assorbito l’esame del terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 217 cod. proc. civ. consistita nell’avere la Corte di merito rigettato la domanda proposta dalla attuale ricorrente anche in relazione alla ritenuta assenza di idonee scritture di comparazione.

Conclusivamente, devono essere rigettati il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito il terzo. Le spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo, seguono la soccombenza e devono, pertanto, essere poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il quarto motivo, assorbito il terzo. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 26 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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