Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3055 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. I, 10/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 10/02/2010), n.3055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.E., domiciliato in Roma, Via Ovidio 32, presso gli

avv. D’ALESSIO A. e G. Viglione, rappresentato e difeso dagli avv.

VISCARDI A. e S. Pontrandolfi, come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia;

– intimato –

avverso il decreto n. 1148/2007 della Corte d’appello di Napoli,

depositato il 12 maggio 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

udito il difensore del ricorrente, avv. Viscardi, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Udite le conclusioni del P.M., GOLIA Aurelio, che ne ha chiesto il

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da L.E. per la condanna del Ministero della Giustizia a corrispondergli l’equa riparazione per durata irragionevole di un procedimento penale per falso in scrittura privata da lui promosso con querela del (OMISSIS) e per il quale solo il 6 giugno 2006 aveva ricevuto comunicazione della richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero.

Hanno ritenuto i giudici del merito che la persona offesa, anche se querelante, non può essere considerata parte del processo penale fin quando non si costituisca appunto come parte civile. E dunque non ha diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole di un procedimento nel quale non riveste la qualità di parte.

Ricorre per cassazione L.E. e propone un unico complesso motivo d’impugnazione, mentre non ha spiegato difese l’amministrazione intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione L.E. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U., degli artt. 485 e 493 bis c.p.; vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che la L. n. 89 del 2001, art. 2, riconosce il diritto all’indennizzo a chiunque abbia “subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. E aggiunge che analogamente l’art. 6, par. 1, della C.E.D.U. riconosce a “ogni persona” il diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole.

Sicchè anche la persona offesa che abbia sporto querela è una persona cui è riconosciuto il diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole. E comunque la giurisprudenza penale riconosce la qualità di parte alla persona offesa, indipendentemente dalla sua costituzione come parte civile, atteso che la persona offesa può opporsi alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero.

2. Il ricorso è infondato.

Non v’è dubbio che la L. n. 89 del 2001, art. 2, rinvii alla C.E.D.U. per l’individuazione dei soggetti legittimati alla domanda di equa riparazione. Dispone infatti che la legittimazione spetta a chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione “sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1”.

E’ all’art. 6, par. 1, della Convenzione che occorre dunque fare riferimento; in particolare alla definizione del diritto alla durata ragionevole come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione “sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

E in realtà questa definizione del soggetto legittimato a chiedere l’equa riparazione corrisponde alla definizione che dottrina e giurisprudenza danno dei soggetti qualificabili come parti di un procedimento penale.

Viene definito parte, infatti, il soggetto titolare di un diritto di azione da cui derivi per il giudice un dovere di decidere nel merito delle sue domande. E quindi si esclude che rivesta la qualità di parte un soggetto come la persona offesa (Cass., sez. un. pen., 16 dicembre 1998, Messina, m. 212077, Cass., sez. 6^, 13 febbraio 2009, Barogi, m. 243836), che pure può svolgere un’attività particolarmente incisiva nella fase procedimentale, in particolare nel procedimento di archiviazione, facendo sorgere per il giudice o anche per il pubblico ministero il dovere di pronunciarsi su talune sue richieste, anche se non sul merito dell’accusa. E’ ad esempio la natura procedimentale, e non di merito, della decisione di archiviazione a escludere che con un tale provvedimento si applichino sanzioni (C. cost., 15 luglio 1993, n. 319); e a precludere di conseguenza il riconoscimento della qualità di parte alla persona offesa, che pure, come s’è detto, può intervenirvi con un ruolo attivo. E’ condivisibile pertanto la giurisprudenza civile di questa corte, che esclude la legittimazione alla domanda di equa riparazione per la persona offesa non costituitasi parte civile nel procedimento penale protrattosi oltre i limiti della durata ragionevole (Cass., sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996, m. 560444, Cass., sez. 1^, 20 gennaio 2006, n. 1184, m. 588638, Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2007, n. 4476, m. 595278).

Ne consegue il rigetto del ricorso, senza pronuncia sulle spese in mancanza di attività difensiva dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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