Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3055 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26071-2011 proposto da:

COMDATA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAMILLO GORIA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale procuratore speciale della CARTOLARIZZAZIONE CREDITI

INPS S.C.C.I. S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ENRICO MITTONI, LELIO

MARITATO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 491/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/06/2011 R.G.N. 723/2010; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2016 dal Consigliere

Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito l’Avvocato PAFUNDI GABRIELE;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Torino con sentenza n. 491/2011, rigettava l’appello proposto da COMDATA s.p.a. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza di primo grado del tribunale di Asti che aveva respinto l’opposizione proposta dalla società avverso la cartella di pagamento con cui le era stato contestato un mancato versamento di contributi previdenziali obbligatori relativi alla posizione di 184 lavoratori.

La Corte d’Appello riteneva che era intercorso tra le parti un rapporto di lavoro subordinato e non un contratto di lavoro a progetto sia per la mancanza di specificità del progetto e della sua differenziazione dall’oggetto dell’attività aziendale; sia perchè erano ritenuti presenti plurimi indici relativi alle modalità di svolgimento delle prestazioni ed al calcolo della retribuzione che confermavano la natura subordinata dei rapporti di lavori in questione di cui era stata accertata in giudizio la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi essenziali.

Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la società con tre motivi di impugnazione. L’INPS ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62. Assume la società che la Corte d’appello ha errato nel ritenere elemento cardine del contratto di lavoro a progetto la specificità del progetto e la sua differenziazione dall’oggetto dell’attività aziendale.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61, 62 e 63 in quanto gli elementi ritenuti essenziali dalla Corte ai fini dell’integrazione della subordinazione sarebbero compatibili con il modello legale del contratto di lavoro a progetto.

3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione dell’art. 24 Cost. per non avere la Corte accolto la richiesta di esibizione delle dichiarazioni relative ai restanti lavoratori che poteva arrivare alla cifra massima di 152 (essendo 336 quelli coinvolti nel progetto per la vendita dei prodotti ALICE ADSL) nei cui confronti l’INPS non aveva disconosciuto il contratto di lavoro a progetto.

4. I motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente, per la connessione che li collega. Essi sono infondati. Deve ricordarsi che quello di Cassazione non è un terzo grado di giudizio il cui compito sia di verificare la fondatezza di ogni affermazione effettuata dal giudice di appello nella sentenza. Esso è invece (Cass. Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014) un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.

Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti; ma deve promuovere specifiche censure nei limiti dei motivi consentiti dalla legge.

5. E’ inoltre ius receptum che sia devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Non conta pertanto che la Corte torinese non abbia ritenuto di dare ingresso all’acquisizione delle dichiarazioni rese dai lavoratori rispetto ai quali non è stato contestato il contratto a progetto, avendoli ritenuti irrilevanti ai fini del decidere.

6. Nel caso di specie la sentenza impugnata, nel confermare sul punto la valutazione del primo giudice, ha riesaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione in relazione alla natura dell’attività svolta dai lavoratori assunti con contratto a progetto ed alla presenza di plurimi elementi sintomatici tutti rivelatori dell’esistenza della subordinazione (assoggettamento alle direttive, controlli, utilizzazione strumenti, orari di lavori predeterminato e vincolante, assenza di rischio). In ciò pure perfettamente aderendo ad una risalente giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamento della subordinazione ex art. 2094 c.c..

7. Si tratta di un iter argomentativo esaustivo e immune da vizi, anche nella parte in cui sul piano giuridico ha ritenuto essenziale ai fini dell’esistenza di un legittimo contratto a progetto la specificità dello stesso e la sua differenziazione dall’oggetto dell’ordinaria attività aziendale.

8. Le considerazioni svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare la ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2600 di cui Euro 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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