Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30548 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 26/11/2018), n.30548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28538-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO

MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti.

– ricorrenti –

contro

T.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LEONARDO GOFFREDO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

HEWLETT PACKARD – CUSTOMER DELIVERY SERVICE S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1171/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/06/2016 r.g.n. 475/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 14 giugno 2016, la Corte d’appello di Bari dichiarava, in particolare, la nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda da Telecom Italia s.p.a. a Hewlett Packard Distributed Computing Service s.r.l., condannando la prima società alla reintegrazione di T.M. ed al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, della differenza tra il trattamento retributivo percepito e quello spettantegli, per effetto dell’illegittima cessione, oltre accessori di legge: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la domanda del lavoratore illegittimamente trasferito.

Disattesa la preliminare eccezione dell’appellante di difetto di un concreto interesse del lavoratore alla domanda proposta, in assenza di un pregiudizio derivantegli dalla cessione del rapporto per la rilevanza (sotto plurimi profili di affidabilità, stabilità, possibilità di carriera) della controparte datoriale, la Corte territoriale riteneva illegittimo il trasferimento del ramo d’azienda tra le due società, in difetto del requisito di preesistenza, a norma dell’art. 2112 c.c. nel testo applicabile ratione temporis, consistente in una struttura organizzativa funzionalmente autonoma già esistente e non creata in vista della cessione: come appunto accertato sulla base delle scrutinante risultanze istruttorie.

Con atto notificato il 14 dicembre 2016, Telecom Italia s.p.a. ricorreva per cassazione con due motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso; non svolgeva invece difese l’intimata Hewlett Packard Customer Delivery Service (già Distributed Computing) s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per la preesistenza del ramo d’azienda ceduto, illustrato nella sua formazione negli anni e dedicato alla gestione delle postazioni informatiche, trasferito con l’insieme dei beni materiali ed immateriali necessari allo svolgimento dell’attività economica, cui era pienamente idoneo.

2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per il difetto di prova di preeesistenza del ramo ceduto erroneamente ritenuto, per lo scorporo da esso di alcune funzioni rimaste presso la cedente.

3. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto strettamente connessi.

4. Essi sono infondati.

4.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato i consolidati principi di diritto in materia di trasferimento di ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 del applicabile ratione temporis, secondo cui ne costituisce elemento costitutivo l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi: e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. E ciò, anche secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C458/12 (richiamata in particolare da: Cass. 28 settembre 2015, n. 19141 per avere, a fini di applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ribadito la necessità di una sufficiente autonomia funzionale, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta; ferma restando la possibilità, in forza dell’art. 1, par. 1, lett. a, b della citata direttiva, per la normativa nazionale di estensione dell’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell’ipotesi di non preesistenza del ramo d’azienda), presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 27 maggio 2016, n. 11069; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508; in termini, sul trasferimento dello stesso ramo: Cass. 24 ottobre 2017, n. 25145).

4.2 Non si configura poi la violazione del precetto dell’art. 2697 c.c., ricorrente soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

4.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la carenza di prova dell’esistenza di un ramo d’azienda, in esito a puntuale scrutinio degli elementi allegati e acquisiti dalle risultanze istruttorie. E ciò ha congruamente argomentato con piena adeguatezza sotto il profilo logico – giuridico (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 3 al terz’ultimo di pg. 4 della sentenza: con la conclusione di essersi “trattato, nel caso in esame, di mera “esternalizzazione” intesa come forma di espulsione di personale costituente articolazione non autonoma”). Sicchè, un tale accertamento è insindacabile nel giudizio di legittimità, preclusivo di una revisione del giudizio di merito e di una nuova pronuncia sul fatto, siccome estranee alla sua natura e finalità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394); tanto meno in una prospettiva di ricostruzione dei fatti operata dalla parte in contrapposizione a quella del giudice di merito, incensurabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

4.4. Un tale sindacato è tanto più precluso dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, in difetto di deduzione di omesso esame di un fatto, invero scrutinato, ma della sua valutazione, non censurabile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

5. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza, con distrazione, secondo la sua richiesta, al difensore antistatario. Nulla sulle spese a carico dell’intimata Hewlett Packard Customer Delivery Services s.r.l..

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna Telecom Italia s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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