Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30546 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 26/11/2018), n.30546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Marcherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21773-2016 proposto da:

C.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO RICCARDI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/03/2016 r.g.n. 8435/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 205/05, pubblicata il 17 marzo 2016, in riforma della impugnata decisione, rigettava la domanda dell’attore C.G., volta ad accertare il vantato diritto ad essere inquadrato dalla convenuta, poi appellante, TRENITALIA S.p.a. nella superiore qualifica di capo gestione sovrintendente di ottava categoria area Quadri sin dal marzo dell’anno 2000, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive, rivendicate da gennaio 2000, avendo espletato durante l’anzidetto arco temporale le corrispondenti mansioni (di cui all’allegato 4 dell’accordo collettivo 26 luglio 1991 e successivo inquadramento ex art. 21 c.c.n.l. 16-04-2003 con il profilo di professional – livello B quadri), presso il primario impianto di settore gestioni (OMISSIS), e poi dal 28 gennaio 2003 sino al 15 dicembre 2004 le stesse mansioni presso l’ufficio gestioni di (OMISSIS), senza mai sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, laddove d’altro canto gli organici dei suddetti impianti risultavano incompleti a causa di prepensionamenti e per la definitiva utilizzazione del personale in altri incarichi;

avverso la decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione C.G., come da relativo atto notificato il 16-09-2016 affidato a tre motivi, cui ha resistito TRENITALIA S.p.a. mediante controricorso;

che le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’adunanza fissata al 5 giugno 2018.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi posti a sostegno del ricorso sono i seguenti:

1) violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., con riguardo alle declaratorie dei profili professionali contenuti nell’allegato 4 dell’accordo collettivo del 26 luglio 1991, nell’art. 21 del c.c.n.l. 1990-92 ed allegati 3A e 4, nonchè nell’art. 21 del c.c.n.l. 16-04-2003 (v. pagine da 18 a 33 del ricorso);

2) violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ed in particolare dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (cfr. pgg. da 33 a 36);

3) violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in part. dell’art. 29 del c.c.n.l. di categoria 1990/92, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (pagine da 33 a 39 del ricorso – art. 29, u.c., citato a pag. 16: “In tutti i casi di cui al precedente punto 2 incombe all’Ente l’obbligo di dare notizia al dipendente sostituto dei motivi della sua adibizione a mansioni superiori e di comunicargli per iscritto il nominativo del dipendente da lui sostituito”, obblighi nella specie rimasti inadempiuti dalla società convenuta, donde il configurarsi di un espletamento di mansioni superiori per copertura di posto vacante, con conseguente diritto all’invocato superiore inquadramento ex art. 2103 c.c.);

i suddetti motivi, tra loro connessi e perciò esaminabili congiuntamente, vanno disattesi in forza delle seguenti considerazioni;

le doglianze di parte ricorrente, invero, non confutano specificamente le argomentazioni svolte con l’impugnata sentenza dalla Corte territoriale, laddove in primo luogo si dava atto di quanto dedotto e richiesto dall’attore (essere dipendente di Trenitalia S.p.A. con livello professionale D1 – tecnico specializzato, figura professionale di specialista tecnico commerciale – già gestione superiore, l’asserito svolgimento di mansioni superiori dal 28 gennaio 2000 ininterrottamente fino al 27 gennaio 2003, come professional livello B quadri – già gestione sovrintendente con ottavo livello retributivo – presso l’impianto primario di (OMISSIS) settore gestioni, in seguito dal 28 gennaio 2003 sino al 15 dicembre 2004 espletamento delle medesime mansioni presso l’ufficio gestione di (OMISSIS), senza aver mai sostituito lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, organici degli impianti in questione incompleti per prepensionamenti e utilizzazione definitiva del personale in altri incarichi; diritto al superiore inquadramento vantato ai sensi dell’art. 2103 c.c. ed in base all’accordo sindacale del 26 luglio 1991, parte integrante del contratto collettivo nazionale di lavoro 1990-92, in particolare ai sensi dell’art. 29, nonchè in forza del c.c.n.l. 16 aprile 2003). Venivano, altresì, riportate le difese della società convenuta, secondo la quale l’attore aveva sempre svolto mansioni del profilo professionale di specialista tecnico commerciale – ex capo gestione/capo gestione superiore – con compiti di gestione merci presso Napoli marittima, (OMISSIS) e (OMISSIS), come sinteticamente descritte nei modelli M149; non aveva mai ricoperto posizioni vacanti di professional/ex capo gestione sovrintendente. In base agli accordi sottoscritti dalle RSU in data 2 marzo 2000 non era prevista in organico presso gli impianti di Napoli marittima e (OMISSIS) la figura professionale rivendicata, pure in base agli accordi sindacali successivi del cinque e 7 novembre 2003, anch’essi all’uopo prodotti. Inoltre, il C. era stato trasferito in data 7 marzo 2002 alla gestione merci di (OMISSIS), con mansioni di Capo gestione – Capo gestione superiore e presso tale ufficio, sulla scorta degli accordi sindacali del 2003, era prevista una sola posizione di capo gestione sovrintendente, già occupata da G.G.. Analogamente, la società convenuta aveva dedotto per gli anni successivi, sicchè l’appellato non aveva mai svolto mansioni e funzioni corrispondenti ai pretesi superiori inquadramenti, bensì solo attività riconducibili a quelle di specialista tecnico commerciale e di capo gestione/capo gestione superiore (Area 4^ – 7 livello), con autonomia decisionale nei limiti delle direttive generali al fine di attuare con responsabilità sui risultati programmi ed obiettivi fissati dall’azienda convenuta;

dunque, la Corte partenopea ha evidenziato in primo luogo quanto pure osservato correttamente dal giudice di primo grado in relazione all’art. 29 dei cc.nn.l. 1990/92 e 1994/95, laddove erano state individuate le ipotesi in cui non era possibile acquisire la qualifica superiore con riferimento al dipendente assente per le cause di cui agli artt. 2110 e 2111 c.c., della L. n. 958 del 1986, art. 22 nei casi indicati dal successivo art. 53 dello stesso contratto collettivo, nonchè negli altri casi di assenza con diritto alla conservazione del posto previsti dalle vigenti disposizioni di legge. A tal proposito, tuttavia, la Corte di merito ha ritenuto la fondatezza delle difese svolte da parte datoriale in ordine alla mancanza in organico della figura rivendicata presso alcuni impianti dove aveva operato il lavoratore istante, e alla presenza presso altri impianti di personale avente già la qualifica di Capo gestione sovrintendente, tanto emergente dalla prodotta documentazione (verbale del riunione sindacale del 25 febbraio e 2 marzo 2000 in relazione all’impianto di (OMISSIS), laddove inoltre dagli atti risultava che effettivamente le mansioni di Capo gestione sovrintendente alla direzione operativa di Napoli dal 17 gennaio 2003 venivano disimpegnate da G.G., con decorrenza 15 maggio 2003 presso la struttura organizzativa dello stabilimento di (OMISSIS) operava D.P.S., investito delle funzioni di professional anche presso il Customer Service di (OMISSIS) con decorrenza 7 giugno 2004 in sostituzione di Ca.Di., il quale presumibilmente lavorava stabilmente con tale qualifica prima della sostituzione. Dalla documentazione, inoltre, si evinceva che a seguito del decesso del Ca. con decorrenza 2 giugno 2005 l’attività di responsabile di (OMISSIS) era stata avocata dal responsabile dell’impianto primario di (OMISSIS), Di.Na.Al., posto quindi successivamente occupato dal 1 febbraio 2007 da M.C. e poi dal 1 ottobre 2007 da Co.Ci.);

pertanto, alla stregua dell’anzidetta documentazione, la Corte territoriale ha ritenuto fondate le doglianze della società appellante, secondo cui effettivamente l’appellato C.G. non aveva lavorato con la qualifica rivendicata su posto vacante;

parimenti, era possibile pervenire alla stessa conclusione (rigetto della domanda per infondatezza in radice del diritto rivendicato) in base alle risultanze della espletata prova testimoniale, richiamati preliminarmente i principi vigenti in materia ex art. 2103 c.c. secondo il procedimento cosiddetto trifasico (citando Cass. sez. lavoro 20272 del 27 settembre 2010, ma v. pure più recentemente Cass. lav. n. 18943 del 27/09/2016, secondo cui nel giudizio relativo all’attribuzione di una qualifica superiore, l’osservanza del c.d. criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni), nonchè le declaratorie relative al profilo D1 di tecnico specializzato e al livello B quadri, sicchè dalle stesse testimonianze riportate dal primo giudicante (avuto riguardo in particolare alle menzionate dichiarazioni rese dai testi D.N.A. e L.) emergeva che sostanzialmente l’attore – appellato aveva svolto le mansioni di formale inquadramento, e non già quelle di capo gestione sovrintendente, ma soltanto quelle di capo gestione operando in impianti dove non era previsto in pianta organica la figura rivendicata, al più sostituendo personale con diritto alla conservazione del posto;

gli anzidetti accertamenti, peraltro adeguatamente motivati, devono quindi ritenersi insindacabili in questa sede di legittimità, tanto più che lo stesso ricorrente non ha (almeno formalmente ed espressamente secondo le norme di rito) lamentato vizi astrattamente sussumibili nell’ambito di quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie peraltro ratione temporis in base al testo attualmente vigente, con riferimento alla sentenza qui impugnata, risalente all’anno 2016), sicchè non possono comunque venire in rilievo questioni di fatto, essendosi il C. limitato a denunciare pretesi errori di diritto ovvero di applicazione dell’anzidetta contrattazione collettiva (cfr. al riguardo anche Cass. lav. n. 8589 del 28/04/2015, secondo cui il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento dì un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, ed è sindacabile in sede di legittimità a condizione, però, che la sentenza, con la quale il giudice di merito abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi, sia stata censurata dal ricorrente in ordine alla ritenuta mancanza di prova dell’attività dedotta a fondamento del richiesto accertamento.

V. inoltre Cass. lav. n. 23294 del 14/09 – 15/11/2016: “… Invero il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera chiara ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione. Il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito (Cass. n. 23675 del 2013), in quanto è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 25044 del 2013; Cass. n. 17739 del 2011; Cass. n. 7891 del 2007; Cass. n. 7882 del 2006; Cass. n. 3941 del 2002). L’osservanza del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 19100 del 2006) ed è dunque inammissibile un motivo che non consenta di individuare in che modo e come le numerose norme richiamate nella rubrica sarebbero state violate nella sentenza impugnata, quali sarebbero i principi di diritto asseritamente trasgrediti nonchè i punti della motivazione specificamente viziati (Cass. n. 17178 del 2014 e giurisprudenza ivi richiamata). In particolare, poi, ancora di recente questa Corte, a Sezioni Unite, al cospetto di un motivo che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., ha avuto modo di ribadire la propria giurisprudenza che stigmatizza tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (Cass. SS. UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS. UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016). Infatti, tale modalità di formulazione risulta irrispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione nei casi in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile – l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v. Cass. n. 7394 del 2010, n. 20355 del 2008, n. 9470 del 2008). V. parimenti Cass. lav. n. 6099 del 20/12/2016 – 09/03/2017: “… la violazione e falsa applicazione di norme di diritto deve essere dedotta non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; diversamente il motivo è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass. n. 328/2007; Cass. n. 21611/2013; Cass. n. 20957/2014; Cass. n. 635/2015)….”.

Cfr. inoltre Cass. 1 civ. n. 24298 del 29/11/2016: il vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme che si assumono violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, e non già attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. Conforme, tra le altre, Cass. n. 5353 del 2007);

pertanto, in base alle varie censure mosse dal ricorrente, mediante commistioni di circostanze di fatto e affermazioni in diritto, tuttavia senza specifica e puntuale confutazioni delle argomentazioni

svolte a sostegno della decisione qui impugnata, omettendosi in particolare pertinenti doglianze circa gli asseriti errori giuridici ivi riscontrabili, non è neppure rilevabile la pretesa violazione di criteri normativi d’interpretazione (vero è che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 è parificata, ma sul piano processuale, a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale, come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, ma ciò non significa che per stabilire la corretta applicazione dei suddetti contratti e accordi possano valere le Disposizioni sulla legge in generale – cosiddette preleggi – di cui in particolare agli artt. 12, 13, 14 e 15, continuando invece ad operare le norme previste dal Capo 4^ (Dell’interpretazione del contratto – artt. 1362 / 1371), Titolo 2 (Dei contratti in generale), Libro quarto del codice civile, unitamente a quanto previsto, inoltre, dal codice di rito per quanto concerne il contenuto del ricorso ex art. 366 c.p.c., laddove al comma 1, n. 4 si richiede la precisazione dei relativi motivi, necessariamente pertinenti e specifici, in relazione alle norme di diritto su cui gli stessi si fondano.

Cfr., quindi, Cass. 3 civ. n. 3010 del 28/02/2012: nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Conformi: Cass. nn. 16132 e 21659 del 2005, 6 civ. – 3 n. 16038 del 26/06/2013, 6 civ. – 5 n. 25419 del 01/12/2014, Cass. lav. n. 287 del 12/01/2016);

le doglianze mosse da parte ricorrente appaiono, dunque, inammissibili alla stregua di quanto sopra esposto, circa la motivata interpretazione dei succitati contratti e accordi collettivi de quibus da parte della Corte di merito, con riferimento all’anzidetta ricostruzione della vicenda in esame, immune da vizi logico-giuridici, non suscettibile quindi di sindacato in questa sede di legittimità (v. Cass. 2 civ. n. 12468 del 07/07/2004: l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto di una clausola contrattuale costituisce indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione non consenta la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire alla clausola un determinato significato, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche stabilite dall’art. 1362 c.c. e segg. Quest’ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, perchè altrimenti la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella proposta di una diversa interpretazione, inammissibile in sede di legittimità. Conformi Cass. 3 civ. n. 20593 del 22/10/2004, nonchè 2 civ. n. 12518 del 15/10/2001. Cfr. ancora Cass. lav. n. 17168 del 09/10/2012: in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. Conforme Cass. n. 13242 del 2010. D’altro canto, va pure ricordato che la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra – così Cass. 3 civ. n. 11254 del 10/05/2018. Ed analogamente vds. pure Cass. 1 civ. n. 4178 del 22/02/2007, secondo cui, in particolare, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice di merito se ne sarebbe discostato, testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulti dalla sentenza impugnata. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra. Conformi Cass. 1 civ. n. 5273 del 7/03/2007, 3 civ. n. 15604 del 12/7/2007, 2 civ. n. 19044 del 3/9/2010);

le precedenti considerazioni assorbono anche la censura di cui al terzo motivo, circa la denunciata violazione dell’ultimo comma dell’art. 29 del c.c.n.l. 1990-92, una volta accertata, nei sensi di cui sopra, in punto di fatto dalla Corte di merito la vacanza del posto relativo all’invocato superiore inquadramento ed anche la carenza di prova di svolgimento delle corrispondenti mansioni (per altro verso va pure richiamata la sentenza di Cass. lav. n. 17917 del 5 luglio – 14 dicembre 2002, che rigettava il ricorso del dipendente di Ferrovie dello Stato S.p.a. avverso la pronuncia del Trib. di (OMISSIS) in data 20 maggio 1999, affermando che per escludersi il diritto del lavoratore alla definitiva assegnazione alle mansioni superiori in caso di sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, non è necessario, in mancanza di una prescrizione in tal senso nell’art. 2103 c.c., che la circostanza di tale sostituzione sia comunicata all’interessato prima, o almeno in concomitanza, dell’attribuzione delle mansioni superiori, ben potendo, tuttavia, la contrattazione collettiva prevedere un tale regime rigoroso per tutelare più efficacemente la professionalità del lavoratore contro possibili abusi del datore di lavoro. Nella specie, però, veniva confermata la sentenza di merito, che aveva escluso una tale previsione da parte proprio dell’art. 29 del suddetto c.c.n.l. 1990/92 per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato: “…Il giudice di merito ha tuttavia osservato che la clausola contrattuale in esame nulla diceva circa le conseguenze della violazione di tali obblighi ed ha ritenuto tale circostanza particolarmente significativa se confrontata con la esplicita previsione, contenuta nel precedente contratto collettivo, dei diritto dei lavoratore al superiore inquadramento ex art. 2103 c.c. anche nel caso di adibizione a mansioni superiori per sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto. Il giudice di merito ne ha dedotto che, sulla base del contratto applicabile, la violazione degli obblighi procedimentali a carico dell’azienda non può assumere rilievo ai fini dell’inquadramento, dovendo, in assenza di specifica previsione collettiva farsi riferimento al solo criterio dell’art. 2103 c.c.. A tale ricostruzione il ricorrente oppone, per un verso, l’obbligo di comunicazione del dipendente da sostituire, insito a suo avviso, nella previsione dell’art. 2103 c.c., e, per altro verso, una lettura del contratto collettivo in termini radicalmente diversi da quelli del Tribunale, insistendo soprattutto sul diverso esito interpretativo cui avrebbe portato una adeguata considerazione dello scopo della clausola collettiva. Il primo rilievo trova risposta nelle decisioni di questa Corte, sopra menzionate, che hanno escluso, che dall’art. 2103 c.c. possa desumersi la necessità che la circostanza di tale sostituzione sia comunicata all’interessato prima, o almeno in concomitanza, dell’attribuzione delle mansioni superiori. Il secondo, d’altro canto, non riesce ad evidenziare illogicità o carenze nell’analisi della clausola fatta dalla sentenza. A tal fine, infatti, non basta addurre, come fa il ricorrente, che il senso della clausola collettiva, in relazione allo scopo perseguito con essa dai contraenti, è diverso da quello individuato dai Tribunale, essendo invece necessario allegare e dimostrare, indicandone puntualmente le omissioni o le incongruenze, che gli argomenti su cui il giudice di merito ha fondato la sua ricostruzione del significato della clausola siano palesemente irragionevoli o inadeguati. Ma nel ricorso una siffatta indicazione è del tutto assente così come è assente una puntuale confutazione della persuasiva comparazione delle due fonti collettive, succedutesi nel tempo, fatta dal giudice, alla quale, come s’è detto, il ricorrente oppone in sostanza l’erronea interpretazione dell’art. 2103 c.c., già esaminata in precedenza. Per questa parte il motivo di ricorso, si risolve quindi nella mera ed infruttuosa contrapposizione di un diverso risultato interpretativo rispetto a quello accolto nella sentenza impugnata. Il ricorso è quindi rigettato….”. Parimenti, Cass. lav. con sentenza n. 7126 del 23/03/2007 rigettava il ricorso proposto contro Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. avverso la pronuncia del Tribunale di (OMISSIS) 13 ottobre 2003, quindi confermata, con la quale era stato ritenuto che l’art. 29 del c.c.n.l. 1990/1992 non prevedeva più, rispetto alla differente formulazione della norma analoga posta dal c.c.n.l. precedente, che il diritto del lavoratore al superiore inquadramento ai sensi dell’art. 2103 c.c. anche in caso di sostituzione di dipendente con diritto alla conservazione del posto sorgesse in conseguenza della violazione degli obblighi procedimentali circa la comunicazione del nominativo del dipendente sostituito);

pertanto, il ricorrente, essendo rimasto soccombente, va condannato al rimborso delle ulteriori spese per questo giudizio di legittimità, ricorrendo altresì i presupposti di legge per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore della società controricorrente, in Euro =3500,00= per compensi ed in =200,00= Euro per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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