Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30545 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/12/2011, (ud. 15/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.N. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 46-48, presso lo studio dell’avvocato

DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura alle

lite in calce al ricorso per regolamento di competenza;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto N R.G. 609/09 V.G. della CORTE D’APPELLO di BARI,

del 14/12/2010 depositato il 14/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO RORDORF;

è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c. ha depositato una relazione del seguente tenore:

“Il sig. L. si è rivolto alla Corte d’appello di Bari per ottenere un equo indennizzo in conseguenza dell’eccessiva durata di un giudizio da lui instaurato il 26 aprile 2000 dinanzi al Tar del Lazio e deciso con sentenza depositata il 19 novembre 2008.

L’adita corte d’appello, con decreto emesso il 14 dicembre 2010, dopo aver richiamato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite della Cassazione con l’ordinanza n. 6306 del 2010, ha declinato la propria competenza in favore della Corte d’appello di Perugia, in applicazione del disposto dell’art. 11 c.p.p., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 1.

Il suddetto decreto è stato impugnato dinanzi a questa corte con regolamento di competenza dal sig. L., il quale afferma che all’orientamento giurisprudenziale inaugurato con l’ordinanza delle sezioni unite sopra citata non potrebbe esser riconosciuta valenza retroattiva, e comunque critica tale orientamento sostenendo che, in casi come quello in esame, è da applicarsi l’art. 25 c.p.c., onde la competenza a conoscere della presente causa apparterrebbe alla Corte d’appello di Roma.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese in questa sede.

2. Con l’ordinanza già sopra richiamata (seguita poi anche da Sez. un. n. 6307 del 2010, e da Cass. n. 9930 del 2010; n. 22930 del 2010;

n. 23980 del 2010; n. 23981 del 2010; n. 24171 del 2010 e da numerose altre consimili), questa corte ha affermato che, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente a provvedere in ordine alla domanda di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il criterio di collegamento stabilito dall’art. 11 c.p.p., richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1 va applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto. Non osta a tale conclusione, sul piano lessicale, il termine “distretto”, adoperato nel citato art. 3, che serve a descrivere il criterio di collegamento e vale a delimitare un ambito territoriale in modo identico, quale che sia l’ufficio giudiziario dinanzi al quale il giudizio presupposto è iniziato e l’ordine giudiziario cui esso appartiene, perchè ciò che viene in rilievo non è l’ambito territoriale di detto ufficio giudiziario, ma la sua sede.

Gli argomenti che il ricorrente adduce non sono nuovi rispetto a quelli già vagliati in occasione di tali precedenti pronunce e non parrebbero quindi idonei a giustificare una decisione che, nel presente caso, se ne discosti.

Difficilmente appare inoltre condivisibile l’assunto secondo il quale l’orientamento inaugurato dalle sezioni unite con la citata ordinanza n. 6306 del 2010 non potrebbe applicarsi ai giudizi introdotti prima dell’emanazione di tale ordinanza. Nel nostro ordinamento il principio della naturale irretroattività dello ius superveniens non sembra, infatti, attagliarsi agli atti giurisdizionali, neppure quando con essi si eserciti la funzione nomofilattica propria della Suprema corte; nè può ravvisarsi un vulnus al diritto della parte di accedere al giudizio, posto che tale diritto non è certo posto in discussione dall’individuazione di un diverso giudice competente a decidere sulla domanda e che, per di più, nel caso di specie, neppure lo stesso ricorrente – il quale inizialmente si era rivolto alla Corte d’appello di Bari, ma ora chiede sia dichiarata la competenza della Corte d’appello di Roma – sembra voler difendere la scelta del giudice da lui inizialmente compiuta.

3. Ove il collegio condivida tali rilievi, il ricorso dovrà essere rigettato e dovrà essere confermata l’indicazione di competenza della Corte d’appello di Perugia”.

Il ricorrente ha depositato memoria con la quale, premesso che a norma dell’art. 6 della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali il ricorso andrebbe trattato in pubblica udienza, ha contestato il principio affermato dalle sezioni unite di questa corte nelle citate ordinanze nn. 6306 e 6307 del 2010 ed ha sostenuto che, comunque, tale principio potrebbe essere applicato solo alle cause instaurate dopo l’emanazione di dette ordinanze. Ha inoltre prospettato, ove si voglia tener fermo l’orientamento interpretativo sopra richiamato, un’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 1. L’istanza di trattazione del ricorso in pubblica udienza non ha fondamento.

Questa corte ha infatti già in più occasioni chiarito che la procedura camerale non è di per sè sola contrastante con il principio della pubblicità dell’udienza e della decisione affermato dall’art. 6 della citata Convenzione europea, attese le garanzie di difesa assicurate alle parti anche nell’ambito di tale procedura e la pubblicità dei provvedimenti con cui essa è destinata a concludersi (cfr., tra le altre, Sez. un. 20 aprile 2004, n. 7585, Cass. 5 giugno 2004, n. 10737, e Cass. 27 maggio 2005. n. 11315). Anche la Corte europea per i Diritti dell’uomo, d’altronde, non ha mancato di sottolineare come la mancanza di pubblicità delle udienze ben possa essere giustificata quando sussistano peculiari esigenze di efficacia e di rapidità del procedimento, senza che si dia sol per questo violazione dell’art. 6 della convenzione, a patto che venga assicurato il rispetto delle altre garanzie procedurali previste dalla medesima disposizione (sentenza 18 maggio 2010, Udorovic c. Italia). Quanto al merito del ricorso, il collegio condivide le osservazioni e le conclusioni del relatore, che non sono idoneamente scalfite dalle obiezioni del ricorrente cui s’è fatto cenno: le quali, nel pretendere sia riconosciuta valenza nomofilattica solo ex nunc agli arresti giurisprudenziali della Suprema corte, quasi si trattasse di ius superveniens, non considera la decisiva differenza di natura e di effetti che separa un provvedimento giurisdizionale (sia pur destinato a costituire autorevole, precedente) da un atto normativo. Vero è che le sezioni unite di questa corte, con la sentenza dell’11 luglio 2011, n. 15144, hanno affermato che, quando un orientamento consolidato della giurisprudenza sia modificato repentinamente e imprevedibilmente, con effetti preclusivi del diritto di azione e di difesa della parte, non può risultarne travolto l’affidamento incolpevole di quest’ultima, ragionevolmente fondato sull’orientamento precedente; ma deve appunto trattarsi di un revirement improvviso ed imprevedibile e, soprattutto, dev’esser tale da far sì che il mutato indirizzo giurisprudenziale abbia un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. Requisiti, questi, che certamente non sussistono nella fattispecie in esame, in cui si tratta d’individuare il giudice competente senza che ciò precluda in alcun modo alla parte di far valere dinanzi a quel giudice il proprio diritto.

Manifestamente infondata si prospetta, infine, l’eccezione d’illegittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, non potendosi ravvisare la violazione del principio del giudice naturale nella mera pretesa opinabilità dei criteri adoperati dalla giurisprudenza per individuare detto giudice, nè nell’asserita difficoltà in cui taluni degli uffici giudiziari si verrebbero a trovare per effetto dell’eccessivo carico di vertenze che sono chiamati a fronteggiare.

Per le ragioni sopra esplicitate il ricorso deve quindi essere rigettato e deve essere dichiarata la competenza della Corte d’appello di Perugia.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese del regolamento, non avendo l’amministrazione intimata svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e dichiara che la Corte d’appello di Perugia è competente a provvedere sulla presente causa.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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