Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30545 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. II, 22/11/2019, (ud. 14/11/2018, dep. 22/11/2019), n.30545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1457-2015 proposto da:

T.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ANTONINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA DE PILATI;

– ricorrente –

contro

P.G., P.M., P.R.,

L.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO II N. 4,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BORGIA, rappresentati e

difesi dall’avvocato FRANCESCO FEDRIZZI;

M.S., rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE A

BECCARA;

– controricorrenti –

e contro

P.D.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 314/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostitute

Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO che ha concluso par il

rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato in data 02.05.2003 T.F. ha convenuto in giudizio M.S. chiedendo:

– condannarsi la stessa all’arretramento della terrazza sita sopra il proprio garage, in quanto costruita in violazione delle disposizioni in materia di distanze tra costruzioni e dai confini, nonchè dalle vedute, e all’arretramento della sporgenza del parapetto del poggiolo;

– accertarsi l’illegittimità dell’infissione sul muro a nord della propria abitazione dei supporti di un cancelletto, nonchè sulla ringhiera del pulsante di un campanello;

– condannarsi la predetta al ripristino della guscia in cemento del muro a nord illegittimamente rimossa con conseguente risarcimento dei danni prodottisi a causa delle infiltrazioni;

– accertarsi l’abusività del parcheggio di autovetture presso l’andito del piano terra con condanna della convenuta a non occuparlo.

2. M.S. si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto delle domande dell’attore e formulando in via riconvenzionale domanda di accertamento dell’illegittima sporgenza del tetto, dell’illegittima posizione delle vedute poste sul lato a settentrione della proprietà del T., della collocazione a distanza inferiore rispetto a quella legale dal terrapieno, nonchè dell’invasione della propria colonna d’aria da parte degli scuri e dei battenti della finestra dell’immobile confinante. Infine ha lamentato l’occupazione da parte dell’attore di una striscia di suolo sita a piano terra, di proprietà della convenuta. Ha chiesto i provvedimenti ripristinatori conseguenti.

3. T.F. ha chiamato in giudizio i propri danti causa, P.O. e L.C., per essere manlevato in ordine alle eventuali spese di ripristino in caso di accoglimento delle riconvenzionali.

4. Si sono costituiti nel giudizio i danti causa di parte attrice, eccependo la prescrizione e la decadenza dell’azione di manleva e contestando comunque le pretese formulate dalla convenuta.

5. Formulate domande in reconventio reconventionis da parte del signor T., interrotto e riassunto il processo a seguito della morte di P.O., il tribunale di Trento, sezione distaccata di Cles, con sentenza in data 3.06.2008 ha condannato M.S. ad arretrare la terrazza a mt 1,50 dal confine in corrispondenza dell’angolo sud del balcone, a ricollocare il parapetto e la fioriera in modo tale da non debordare dalla struttura in muratura della terrazza stessa, a riposizionare il campanello d’ingresso sulla sua proprietà e a non servirsi dell’area di parcheggio indicata da parte attrice nell’atto introduttivo. Ha inoltre condannato T.F. all’arretramento della veduta a mt. 1,50 dal confine, a non invadere la colonna d’aria della convenuta con gli scuri e i battenti della finestra al primo piano e, infine, a restituire la porzione di fabbricato sita al piano terra. Ha per il resto rigettato le domande formulate, compensando le spese del giudizio.

6. Avverso la predetta decisione ha proposto appello T.F., censurando la stessa limitatamente alla mancata pronuncia sulla domanda d’arretramento a distanza legale della terrazza della convenuta e all’erroneo accoglimento delle riconvenzionali o, in subordine, al mancato accoglimento della domanda di manleva svolta nei confronti dei terzi chiamati in giudizio, oltre che all’omessa pronuncia sulla reconventio reconventionis. La signora M., costituitasi in giudizio, ha prestato acquiescenza alle disposizioni della sentenza di primo grado a lei sfavorevoli, chiedendo il rigetto del gravame. Si sono costituiti anche L.C., nonchè P.M., R., G. e D. quali eredi di P.O., chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

7. Con sentenza non definitiva, depositata in data 16.04.2012, la corte d’appello di Trento ha condannato M.S. a eliminare la striscia di cemento che legava il cancello di sua proprietà al muro di proprietà del T. e a ripristinare la guscia di cemento posta ai piedi del muro, provvedendo all’ulteriore istruzione della causa relativamente alla domanda di arretramento della terrazza per violazione delle distanze legali.

8. Con sentenza definitiva, depositata in data 20.11.2013, la medesima corte ha condannato la parte appellata all’arretramento di due porzioni della terrazza risultate, sulla base di quanto accertato dal c.t.u., realizzate in violazione della disciplina vigente, in quanto sporgenti oltre 1,50 mt.; in merito poi alla domanda di garanzia formulata dall’appellante la corte ha ritenuto non fornita la prova di un danno risarcibile, dal momento che lo stesso appellante era a conoscenza, all’epoca dell’acquisto, della situazione riportata nei dati catastali, non potendo pertanto coltivare alcuna legittima aspettativa circa il godimento di una situazione diversa da quella emersa sulla base degli stessi dati. Ha infine compensato fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

9. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.F. sulla base di due motivi. Hanno resistito con separati controricorsi M.S., da un lato, e L.C. nonchè P.M., P.R. e P.G., dall’altro. P.D. non ha svolto difese.

10. Il procuratore generale, in persona del sost. proc. gen. Lucio Capasso, ha reso conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso. Tutte le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1218,1476,1477,1479,1484,1480,1483,1485,1489,1490 e 1494 c.c., nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. In sostanza si censura la sentenza impugnata assumendo che la corte d’appello abbia erroneamente rigettato la domanda di garanzia per evizione parziale; ciò per aver inesattamente considerato che la parte acquirente avesse comprato l’immobile avendo conoscenza dei dati catastali, per cui non potesse fondare aspettative sullo stato di fatto del bene stesso. In particolare, il ricorrente rileva come, in sede di trattative, i venditori avessero espressamente garantito la proprietà dell’edificio, determinandosi, di fatto, la vendita di un bene poi parzialmente evitto.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il ricorrente prospetta violazioni di norme sostanziali e processuali, limitando tuttavia le proprie concrete argomentazioni all’ambito applicativo di cui all’art. 1484 c.c., in tema di evizione parziale, (restando ad es. fuori luogo il riferimento all’art. 1489 c.c., in materia di cosa gravata da oneri o diritti reali di godimento nei confronti di terzi).

1.3. Più specificamente, la parte ricorrente deduce espressamente come parte del bene immobile oggetto dell’originario contratto di compravendita fosse di proprietà altrui (in particolare della vicina M.S.), come poi accertato dal giudice di merito, avendo i venditori – in tesi – garantito la proprietà di quanto venduto. La corte territoriale, invece, ha ritenuto che non risultasse dagli atti che la vendita fosse comprensiva “anche di quella parte di fabbricato di cui ora… non può godere”, avendo comprato “sulla base dei dati catastali”. A tale rilievo il ricorrente controbatte deducendo in ordine alla situazione di fatto, per la quale sarebbe stata prestata la garanzia.

1.4. Da quanto riepilogato si evince come il ricorrente non deduca realmente una violazione o falsa applicazione di legge in tema di evizione parziale del bene. La censura di violazione di legge sostanziale, come prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 consiste infatti nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto il solo aspetto di omesso esame di fatto storico di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 cit., successivo n. 5.

1.5. Nessun problema interpretativo è sollevato dalla censura mossa dal ricorrente. Questi, in effetti, censura la ricognizione della fattispecie concreta operata dalla corte d’appello in base alle risultanze di causa; pone, in tal modo, sotto la veste di censura per error in iudicando, una inammissibile istanza di revisione da parte del giudice di legittimità di valutazioni di merito di competenza esclusiva del giudice territoriale (valutazioni costituite dallo stabilire l’ambito della garanzia per evizione, dalla corte d’appello ritenuto limitato a quanto testualmente venduto in base all’atto scritto, facente riferimento a corretti dati catastali, peraltro in provincia assoggettata al sistema tavolare; intendendo invece il ricorrente la garanzia estesa allo stato di fatto).

1.6. In tal senso, questa corte ha chiarito (cfr. ad es. Cass. n. 19044 del 03/09/2010 e n. 12631 del 21/12/1993) che, nella compravendita dei beni immobili, l’indicazione del bene alienato secondo riferimenti soggettivi o situazioni di mero fatto può essere rilevante per particolari fini, tra i quali l’evizione, mentre non lo è quando si controverta sulla estensione e sui limiti dell’effetto traslativo, il quale sempre deve essere correlato alla descrizione obiettiva ed alle indicazioni topografico-catastali; tuttavia, stabilire quale sia stato l’ambito della garanzia per evizione si risolve – proprio per quanto detto – nell’apprezzamento di “semplici fatti, i quali possono essere liberamente provati in giudizio e sono accertati dal giudice del merito con apprezzamento di sua esclusiva prerogativa, del quale è tenuto a dare giustificazione, in sentenza, secondo i comuni principi in tema di motivazione sulla valutazione delle prove” (cfr., nell’ambito dell’art. 1489 c.c., Cass. n. 3480 del 15/10/1976 e n. 3196 del 26/11/1973). Nel caso di specie, l’apprezzamento di fatto del giudice di secondo grado, nella parte in cui afferma che comunque la parte oggi ricorrente non aveva alcuna ragione di ritenere di poter godere di una situazione diversa e migliore da quella descritta a livello catastale nell’atto di vendita, fondato su idonea motivazione, non può essere scalfito in sede di legittimità dalle contestazioni mosse dal ricorrente – peraltro espressamente dichiarate non provate – circa l’inclusione all’interno dell’oggetto del contratto, sulla base di considerazioni soggettive riferite allo stato di fatto che gli sarebbe stato prospettato, della parte di fabbricato di proprietà della signora M..

1.7. Il motivo è dunque inammissibile in quanto volto a sollecitare una valutazione di merito.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 91,336,112,115 e 116 c.p.c. per aver la corte compensato le spese del giudizio, a conferma di quanto precedentemente statuito dal giudice di primo grado, ritenendo la reciproca soccombenza; viceversa il ricorrente deduce di aver visto accogliere tutte le sue sei domande, avendo la controparte viste accolte solo due domande su cinque. Anche dal punto di vista dell’importanza, ad avviso del ricorrente egli sarebbe vittorioso in via globale.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Va sul punto data continuità alla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 30592 del 20/12/2017 e n. 2149 del 31/01/2014) per cui la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente.

3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

PQM

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida per ciascuna in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.900 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento a carico del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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