Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30541 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. I, 26/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 26/11/2018), n.30541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. dolmetta Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27050/2015 proposto da:

C.A., in qualità di titolare della ditta individuale

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, via Sistina n. 48,

presso lo studio dell’avvocato Orlando Marco, rappresentato e difeso

dall’avvocato Pignatiello Nicola, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ra.m.oil s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Filippo Corridoni n. 14,

presso lo studio dell’avvocato Paoletti Marco, rappresentata e

difesa dagli avvocati Pellegrino Stefano e Pellegrino Roberto,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Fallimento n. (OMISSIS) Tribunale di Nola di C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 216/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Con sentenza del 9 luglio 2015, il Tribunale di Nola ha dichiarato, a seguito del ricorso presentato dalla s.p.a. Ra.m.oil nell’assunta vesta di creditore, il fallimento dell’impresa individuale esercitata da C.A..

Questi ha interposto reclamo ai sensi della norma della L. Fall., art. 18, rilevando, in via particolare, l'”insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento”, come stabiliti dalla norma della L. Fall., art. 1, comma 2; e osservando, inoltre, che il creditore istante aveva fatto valere un credito “di importo inferiore alla soglia minima di Euro 30.000 richiesta dalla norma (della L. Fall., art. 15) per la dichiarazione di fallimento”.

2.- La Corte di Appello di Napoli ha rigettato il reclamo così proposto, con sentenza del 27 ottobre 2015.

In proposito la pronuncia ha rilevato che “le dichiarazioni dei redditi fiscali non sono idonee a rappresentare compiutamente lo stato patrimoniale dell’imprenditore, con particolare riferimento alla sua esposizione debitoria”. Ha altresì precisato che, nel corso dell’istruttoria prefallimentare, era venuta a emergere la sussistenza di una massa creditoria notevolmente superiore, nel suo complesso, ad Euro cinquecento mila.

3.- Avverso la pronuncia della Corte campana è insorto C.A., che ha presentato ricorso affidato a due motivi di cassazione.

Resiste la s.p.a. Ra.m.oil con controricorso.

Non ha invece svolto attività difensive, in questo grado del giudizio, il fallimento di C.A..

4.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.

Il primo motivo è intestato “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 1 e art. 15, u.c., e artt. 2082 e 2214 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

A sua volta, il secondo motivo è stato rubricato “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 6, come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “.

5.- La prospettiva assunta dal primo motivo fa riferimento al plesso dei requisiti di “non fallibilità”, che sono stabiliti dalla L. Fall., art. 1, comma 2.

Sostiene dunque il ricorrente di avere “dimostrato per tabulas di rientrare” nei limiti segnati dai primi due presupposti indicati dalla legge (in relazione all’attivo patrimoniale, cioè, e alla misura dei ricavi), producendo le “proprie dichiarazioni dei redditi relative al triennio antecedente la presentazione del ricorso di fallimento”. La Corte di Appello ha sicuramente errato nel ritenere “irrilevante” tale produzione.

Trattasi – prosegue il motivo – di valutazione “nient’affatto ispirata alla ratio legis del combinato disposto della L. Fall., art. 1,artt. 2082 e 2214 c.c. e, anzi, con questi in pieno contrasto dal momento che per le ditte individuali, quale è la (OMISSIS), non vi è obbligo di bilancio”. In realtà, per le imprese individuali la dichiarazione dei redditi è “l’unico documento contabile” che risulti utilizzabile.

6.- A fronte delle osservazioni compiute dal ricorrente – fors’anche sollecitate da certe non nitide espressioni emerse in qualche intervento di questa Corte (cfr., così, Cass., 21 marzo 2016, n. 5516, che, pur dichiarando la produzione delle dichiarazioni dei redditi rilevante per il tema in discorso non meno di quella dei bilanci di esercizio, ha nel contempo applicato la formula di “decisività e pregiudizialità” a questa ultima tipologia di documenti) -, appare opportuno muovere l’esame del motivo dallo svolgimento di una considerazione di carattere generale.

Secondo le precisazioni svolte dalle più recenti pronunce di questa Corte, i bilanci d’esercizio dei tre anni anteriori alla sentenza dichiarativa rappresentano, per la materia qui in interesse, uno strumento di prova “privilegiato”, senza per questo dar vita, tuttavia, ad alcuna forma di onere esclusivo (cfr. Cass., 2 ottobre 2018, n. 23948, Cass., 18 giugno 2018, n. 16067, che peraltro si pongono in linea di dichiarata continuità, di sintonia, con l’orientamento sviluppato sin dall’entrata in vigore dell’attuale L. Fall., art. 1, comma 2, per l’appunto sostanzialmente orientato nel senso di ammettere pure prove diverse dai bilanci di esercizio (v., a titolo di esempio, Cass., 31 maggio 2017, n. 13764; Cass., 1 dicembre 2016, n. 24528)).

7.- Ora, che il bilancio di esercizio costituisca canale privilegiato – o anche “naturale”, si potrebbe pure dire – per la valutazione prevista dall’art. 1, comma 2, è cosa che non viene, certamente, a stupire o a sorprendere nessuno. In effetti, la funzione specifica e propria di tale documento contabile è, per l’appunto, quella di rappresentare la “situazione patrimoniale e finanziaria” dell’impresa (così la norma dell’art. 2423 c.c., comma 2).

Ma questa constatazione non è destinata ad andare oltre il piano che le è proprio – dell’utilità operativa: della peculiare idoneità di questo documento, cioè, a chiarire a livello di fattispecie concreta i punti che sono evocati dalla disciplina dei presupposti di non fallibilità.

8.- L’utilizzabilità di strumenti probatori alternativi a quello dato dal deposito dei bilanci di esercizio (pure in via di sostituzione, e non solo di integrazione e cumulo) consegue, prima di tutto, alla constatazione che la norma della L. Fall., art. 1 non fa proprio parola del documento di cui al bilancio. Nè potrebbe stimarsi determinante, al riguardo, la circostanza che la norma della L. Fall., art. 15, comma 4, dispone che “l’imprenditore depositi i bilanci degli ultimi tre esercizi”: posto, se non altro, lo scarto tra quest’ultima norma, che governa in generale la materia dell’istruttoria prefallimentare, e quella dell’art. 1, limitata al tema dei presupposti di “non fallibilità”.

In realtà, la norma dell’art. 1, comma 2, indica in modo espresso che la sussistenza del presupposto dei ricavi lordi (comma 2, lett. b) può risultare “in qualunque modo”: nè v’è ragione per non riferire tale evenienza pure agli altri due presupposti (uno spunto nel senso della valorizzazione del richiamato inciso normativo si trova nella pronuncia della Corte Costituzionale, 1 luglio 2009, n. 198).

Per altro verso, non va trascurato che la norma in esame ha preso il luogo di quella che, nell’originario disegno della legge fallimentare, sottraeva alla procedura i piccoli imprenditori: soggetti, questi ultimi, tutt’oggi esonerati, ai sensi dell’art. 2214 c.c., comma 3, dall’obbligo di redigere il bilancio di esercizio.

Secondo la comune opinione, d’altra parte, la logica che presiede alla scelta di sottrarre gli imprenditori in possesso dei tre requisiti indicati dall’art. 1, comma 2 si fissa propriamente in un'”ottica deflattiva al fine di esentare dal concorso le crisi di impresa di modeste dimensioni oggettive” (così Cass., 25 giugno 2018, n. 16683). Rimane perciò del tutto estranea alla logica della norma in discorso una funzione “sanzionatoria” dell’imprenditore che non ha redatto e depositato presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio ovvero una funzione (anche solo tendenzialmente) premiale dell’imprenditore che invece ciò ha fatto.

Sul piano sistematico, poi, l’imposizione di un “pregiudiziale” deposito dei bilanci di esercizio ai fini della verifica dei presupposti di sottrazione al fallimento si mostrerebbe all’evidenza distonica, non coerente, con una normativa che oggi si disinteressa (a differenza del passato) del requisito della regolare tenuta della contabilità da parte dell’imprenditore che chiede di essere ammesso al benefico del concordato preventivo.

9.- Venendo ora alla diretta analisi della specie concreta, è agevole rilevare come il ricorrente abbia, in realtà, frainteso il significato della motivazione svolta dalla Corte di Appello, assegnandole valutazioni che questa non ha fatto.

In effetti, la Corte non ha manifestato un’opzione di irrilevanza generale e compiuta delle prodotte dichiarazioni dei redditi. Nè, tantomeno, ha preteso la produzione di bilanci di esercizio, nei fatti non sussistenti.

La Corte territoriale si è limitata a constatare la non idoneità della documentazione relativa alle dichiarazioni dei redditi rispetto al requisito indicato dalla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. c.). come relativo al montante complessivo dei debiti in essere a carico di C.A.. Con motivazione che, posta la conformazione strutturale della documentazione prodotta, appare senz’altro corretta e puntuale.

10.- Il secondo motivo di ricorso muove dal rilievo che il creditore che ha preso l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, la s.p.a. Ra.m.oil, vantava una pretesa inferiore alla soglia fissata dalla L. Fall., art. 15.

Da questa constatazione, il ricorrente trae la conseguenza che la Corte napoletana ha avallato “di fatto una procedura concorsuale aperta d’ufficio dal Tribunale di Nola”: “ai fini della fallibilità della ditta C.A. andava considerato il solo importo azionato da Ra.m.oil

Comunque, prosegue ancora il motivo, anche a “voler considerare l’intera esposizione della (OMISSIS), quest’ultima… ammonterebbe a 400.000,00 circa”.

11.- Il motivo non può essere accolto.

Secondo la chiara dizione della norma della L. Fall., art. 15, comma 9, “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria è complessivamente inferiore a Euro trentamila” (per completezza, v. sul punto la già citata Cass., n. 16683/2018).

L’accertamento della complessiva situazione debitore, che è stato posto in essere dalla Corte napoletana, supera abbondantemente la soglia fissata dalla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. c.). E tale accertamento non è rivedibile in sede di legittimità, al di là del pur assorbente rilievo che, su questo punto, il motivo di ricorso si arresta sul livello della semplice allegazione.

12.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del detto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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