Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30539 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. I, 26/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 26/11/2018), n.30539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20955/2015 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del liquidatore, dott. M.G.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Prof. Nicola Rondinone e dall’Avvocato

Emanuele Caimi, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla

via Cola di Rienzo n. 297, presso lo studio dell’Avvocato Bruno

Tassone;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione; PROJECT & SERVICE

S.R.L., in liquidazione e concordato preventivo;

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il

29/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Varese, con decreto del 18 novembre/12 dicembre 2014, dichiarò inammissibile la domanda di concordato preventivo della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione (d’ora in avanti indicata, più semplicemente, come SCAA), e, con sentenza del 18 novembre/15 dicembre 2014, ritenuta la sussistenza delle condizioni di legge, ne dichiarò il fallimento.

2. Il reclamo contro i suddetti provvedimenti proposto dalla società fu respinto dalla Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio con la curatela fallimentare e nella contumacia della (OMISSIS) s.r.l., creditrice richiedente il fallimento, con sentenza del 16 aprile/29 maggio 2015.

2.1. In estrema sintesi, e per quanto ancora rileva in questa sede, quella corte: 1) ritenne inconfigurabile, al di fuori dei casi di ius superveniens o di sopravvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma, un dovere del giudice di prendere in esame istanze o documenti depositati dalle parti nel lasso di tempo intercorrente tra l’assunzione in riserva della decisione ed il momento della pubblicazione del provvedimento, sicchè nessun rilievo poteva essere mosso al tribunale per non aver preso in considerazione la seconda domanda di concordato depositata da SCAA il 13 dicembre 2014, quando, cioè, la decisione di accoglimento dell’istanza di fallimento era già stata deliberata, anche se la sentenza non era stata ancora pubblicata, “e ciò a prescindere dal fatto che, in relazione alla prima domanda, il Tribunale aveva concesso alla società ampio spazio per integrare e modificare la proposta inizialmente formulata al fine di porre rimedio alle criticità dal medesimo Tribunale evidenziate” (cfr. pag. 5-6 della sentenza impugnata); 2) confermò le conclusioni del giudice di prime cure circa le riscontrate carenze della relazione del professionista attestatore.

3. Avverso detta pronuncia ricorre (OMISSIS), sulla base di due motivi, mentre non hanno spiegato difese, in questa sede, la curatela fallimentare e la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo.

4. Il primo motivo è così rubricato: “La non necessità di produrre un’ulteriore integrazione dell’attestazione e la sufficienza delle informazioni relative alla capacità reddituale e patrimoniale dei soggetti che avevano assunto impegni a sostegno del concordato. Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 161, comma 3, e della L. Fall., art. 162 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che: 1) la relazione dell’esperto L. Fall., ex art. 161, comma 3, u.p. dovesse essere necessariamente integrata ed estesa all’esame ed al giudizio di conferenza ed attendibilità della documentazione prodotta dalla società proponente circa la capacità reddituale e patrimoniale del rag. G.B. F. e del fideiussore Immobiliare San Cristoforo di G.B. F. Co. s.a.s. (d’ora in avanti, più semplicemente, ISC); 2) la quantità di informazioni comunque fornite dalla proponente circa detta capacità reddituale e patrimoniale potesse essere astrattamente sindacata ed altresì stimata concretamente insufficiente dal giudice fallimentare, così da poter fondare la declaratoria di inammissibilità del concordato.

4.1. Una siffatta doglianza non è meritevole di accoglimento.

4.2. Come questa Corte da tempo afferma (anche a Sezioni Unite), è compito precipuo del giudice garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura concorsuale, ed in questa prospettiva spetta a lui esercitare sulla relazione del professionista attestatore un controllo specifico, concernente la congruità e la logicità della motivazione ed il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati e il conseguente giudizio (cfr. già Cass., SU, n. 1521 del 2013, e, successivamente, anche Cass. n. 13083 del 2013, Cass. n. 11423 del 2014, Cass. n. 5825 del 2018). Il tribunale, dunque, ha il potere di compiere una penetrante verifica della adeguatezza dell’informazione che viene fornita ai creditori, proprio al fine di consentire a questi ultimi un’espressione libera e consapevole del voto (cfr. Cass. n. 7959 del 2017; Cass. n. 5825 del 2018). Naturalmente è poi rimessa ai creditori la valutazione in ordine alla convenienza economica della proposta; ma sempre che l’attestazione consenta di esprimere in modo completo la valutazione suddetta. Da questo punto di vista spetta, quindi, al giudice il compito di controllare la corretta predisposizione dell’attestazione in termini di completezza dei dati e comprensibilità dei criteri di giudizio, ciò rientrando nella verifica di regolarità dell’andamento della procedura, che è presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso.

4.2.1. Questo era, sostanzialmente, il profilo che già il Tribunale di Varese aveva posto a base della pronuncia di inammissibilità del concordato, rimarcando, in particolare, per quanto è dato evincere dalla narrativa dell’odierno ricorso, che la relazione dell’attestatore, anche avuto riguardo alla sua integrazione del 22 settembre 2014 – dalla quale non risultava alcuna indagine circa i redditi ed il patrimonio del Rag. F. e della ISC (in ipotesi sulla base di opportune visure oltre che dell’esame delle scritture contabili di ISC) – appariva “fideistica” ed inadeguata. Essa non rispondeva “al modello legale, improntato a criteri di completa e veridica informazione su tutti gli elementi essenziali alla valutazione, tra l’altro, della fattibilità del concordato”: l’attestatore non aveva, in specie, esaminato “la situazione patrimoniale e finanziaria dei due soggetti obbligati”, al fine di verificare un elemento decisivo del giudizio di fattibilità economica, ossia “con quale probabilità avrebbero potuto essere messe a disposizione dei creditori le risorse al versamento delle quali il garante ed il fideiussore si sono impegnati”. Questo vizio informativo non poteva considerarsi sanato con la successiva produzione documentale della proponente, diretta per saltum al tribunale, atteso che la relazione dell’attestatore non era stata correlativamente aggiornata e sarebbe stato inammissibile pretendere che il tribunale – cui “non compete.. un giudizio di fattibilità del concordato” compisse le necessarie indagini e valutazioni in luogo di questo, non potendo, insomma, surrogare la richiesta “espressa assunzione di responsabilità di un professionista indipendente che dica chiaramente di avere esaminato a fondo tutti gli elementi necessari e che argomenti la conclusione che il F. e la società garante abbiano le capacità patrimoniali per adempiere regolarmente gli impegni prospettati”. D’altronde, aveva aggiunto il giudice di prime cure, neppure a voler considerare tutti gli elementi conoscitivi offerti in limine litis dal debitore – che si riconoscevano annoverare le dichiarazioni fiscali del Rag. F. e la situazione patrimoniale di ISC (con particolare riguardo all’immobile di proprietà di questa) – si sarebbe potuto ritenere compiutamente assolto l’obbligo di fornire ai creditori tutti i “dati necessari a valutare, in modo particolare, la solvibilità e la capienza patrimoniale del F.”, atteso che “nulla si sa dei debiti personali del F., non vi sono scritture contabili ufficiali della società che presta fideiussione e, conseguentemente, appare arduo esprimere qualsiasi giudizio sulla situazione patrimoniale dì quest’ultima”. In definitiva, i creditori non sarebbero stati comunque messi in grado dalla proponente di “formulare alcuna prognosi circa le probabilità di successo del piano concordatario, tanto più che lo stesso si iscrive in un arco temporale di attuazione pluriennale e di medio termine, potendo essi solo fare adesione fideistica alle assicurazioni della proponente medesima”, dovendo, perciò, ritenersi violato l’obbligo di fornire ai creditori “dati veri e completi su tutti gli aspetti essenziali del piano concordatario e sugli elementi in grado di incidere sulla sua concreta attuabilità”.

4.2.2. Queste valutazioni sono state, poi, confermate dalla corte distrettuale. Essa, muovendo dal presupposto che la proposta concordataria di (OMISSIS) si fondava, sostanzialmente, sull’utilizzo di risorse finanziarie messe a disposizione dal socio G.B. F. da pagarsi in sei rate entro il 31 dicembre 2017, con fideiussione prestata dalla ISC, ha disatteso il motivo di reclamo della odierna ricorrente, volto a sostenere la sufficienza della documentazione offerta e l’adeguatezza della relazione dell’attestatore al fine della formazione del consenso dei creditori (evidenziandosi, in proposito, la capacità reddituale del socio G.B. F. che si era impegnato al versamento; la capienza del patrimonio immobiliare della società ISC costituitasi fideiussore; la fattibilità e la convenienza della proposta, in considerazione della sostanziale inesistenza di altro attivo), ritenendo che l’attestatore, nella sua relazione originaria come nell’integrazione del 22 settembre 2014, non aveva svolto i necessari approfondimenti circa la solvibilità del menzionato socio e della indicata società, e, dal canto suo, la (OMISSIS) aveva mancato a non richiedergli un ulteriore aggiornamento della sua relazione alla luce della nuova documentazione prodotta, sicchè risultava carente il necessario presupposto richiesto dalla L. Fall., art. 161, comma 3.

4.2.3. A prescindere dalla non rispondenza della relazione dell’attestatore al modello legale, la corte milanese ha comunque evidenziato l’insufficienza degli elementi offerti con la complessiva documentazione prodotta da (OMISSIS), osservando che: 1) per quanto riguarda quella attestante i redditi del F. nel triennio 2011-2013, essa “al di là della circostanza emergente riguardante la non trascurabile diminuzione di tale redditi… appare da sola insufficiente per apprezzare l’effettiva solvibilità di quest’ultimo e quindi la serietà dell’impegno assunto anche in relazione alla necessità di azionare il titolo esecutivo rilasciato in caso di inadempimento” (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata); 2) per quanto concerne quella relativa alla situazione patrimoniale del fideiussore ISC, si tratterebbe di “dati contabili non ufficiali”, e difetterebbero le necessarie verifiche e valutazioni circa le “concrete condizioni in cui si trova attualmente l’immobile” appartenente a tale società nel centro storico di Varese (cfr. pag. 13 della medesima sentenza).

4.2.4. Da qui la conclusione del giudice del reclamo secondo cui la documentazione prodotta da (OMISSIS), “al di là del fatto che non è stata sottoposta al vaglio critico dell’attestatore, come richiede il legislatore, non è da sola sufficiente ad integrare il predetto requisito di una completa ed esaustiva informazione resa al ceto creditorio che il legislatore vuole, invece, sia garantito atteso che il rischio della non fattibilità economica del piano ricade esclusivamente su quest’ultimo” (cfr. pag. 13-14 della citata sentenza).

4.3. Da quanto finora esposto emerge, allora, chiaramente che l’assunto dell’odierna ricorrente, secondo cui non sarebbe stata necessaria la produzione di un’ulteriore attestazione del professionista estesa all’esame ed all’attendibilità delle sue produzioni documentali successive al 22 settembre 2014, non può essere meritevole di accoglimento, perchè i giudici di merito, in realtà, esercitando il già descritto potere loro conferito riguardo al controllo sulla relazione del professionista attestatore, avevano ritenuto, con valutazione qui evidentemente insindacabile perchè implicante accertamenti in fatto, non rispondente a quanto sancito dalla L. Fall., art. 161, comma 3, già la prima relazione del medesimo professionista (del 7 agosto 2014), anche avuto riguardo alla sua integrazione del 22 settembre 2014. E’ dunque riduttivo, oggi, dolersi semplicemente della pretesa non necessità di un’ulteriore attestazione di quel professionista, nei termini suddetti, circa le produzioni documentali di (OMISSIS) successive al 22 settembre 2014, in assenza di modifiche sostanziali della proposta e del piano portate da quest’ultima.

4.3.1. Affatto ragionevole, peraltro, si rivela la conclusione dei giudici di merito circa la necessità che la suddetta relazione giustificasse anche le ragioni ed i dati concreti sulla base dei quali potere valutare la effettiva solvibilità del F. e del fideiussore ISC (di cui il primo era socio accomandatario), e ciò per la decisiva considerazione che, nella palesata assenza di altro attivo, l’unico apporto finanziario alla proposta ed al piano concordatari doveva provenire esclusivamente da tali soggetti, sicchè il dovuto controllo sulla fattibilità del concordato medesimo necessariamente avrebbe dovuto investire anche la verifica della solvibilità di questi ultimi.

4.3.1. Le ulteriori argomentazioni a corredo del motivo in esame (cfr. pag. 16-22 del ricorso) non tengono, poi, assolutamente conto del fatto che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma, come nella specie, non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

5. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “Sulla proponibilità della seconda domanda di concordato preventivo. Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 162 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Esso investe la statuizione della corte distrettuale secondo cui non sussisteva alcun obbligo per il tribunale fallimentare di valutare la seconda domanda di concordato, sul presupposto che “non appare configurabile un dovere del giudice di prendere in esame istanze o documenti depositati dalle parti nel lasso di tempo che intercorre tra l’assunzione in riserva della decisione ed il momento di pubblicazione del provvedimento”. Si assume, invece, che a (OMISSIS), non ancora dichiarata fallita alla data (13 dicembre 2014, ricompresa tra quella – 18 novembre 2014 – in cui il Tribunale di Varese si era riservata la decisione sulla prima domanda concordataria e sull’istanza di fallimento della (OMISSIS) s.r.l., e quella – 15 dicembre 2014 – di deposito e pubblicazione della corrispondente decisione) di presentazione della seconda domanda di concordato, era dunque consentita la presentazione di quest’ultima, e che la giurisprudenza di legittimità invocata dalla corte milanese riguardava soltanto la produzione di documenti oltre il termine in cui il giudice abbia riservato in decisione la controversia, e non già l’introduzione di un altro ed autonomo giudizio quale quello incardinato con il deposito della ulteriore domanda concordataria.

5.1. Tale censura non merita accoglimento.

5.1.1. Invero, la riproposizione, nel corso del procedimento prefallimentare, della domanda di ammissione al concordato non avrebbe comunque comportato l’improcedibilità dell’istanza di fallimento o la sospensione del relativo procedimento, atteso che, a seguito della riformulazione della L. Fall., art. 160 da parte del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80 del 2005, con l’espunzione dell’inciso che consentiva all’imprenditore di proporre il concordato preventivo “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, il principio di prevenzione che regolava i rapporti tra le due procedure, subordinando la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’impresa, deve ritenersi definitivamente superato, non potendo essere desunto neppure in via interpretativa dai principi generali, con la conseguenza che, non ricorrendo un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia come un fenomeno di consequenzialità (eventuale del fallimento, all’esito negativo della pronuncia sul concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento) che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti (cfr. Cass., SU, n. 1521 del 2013; Cass. n. 12534 del 2014).

5.1.2. L’applicabilità, nella specie, di tale principio non può contestarsi, atteso che anche nell’odierna vicenda, come nell’ipotesi dal primo preso in esame, la proposta di concordato è stata avanzata nell’ambito di una procedura prefallimentare già iniziata, e non in via autonoma, dovendosi, altresì escludere l’applicabilità della L. Fall., art. 168,comma 1, – che vieta l’inizio o la prosecuzione di azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, a far data dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo – rinvenendosi a tanto un ostacolo insormontabile nel riferimento dello stesso alle sole azioni esecutive o cautelari, tra le quali non rientra l’istanza di fallimento, nonchè nella lettera della L. Fall., art. 162,comma 2, nella parte in cui, anche a seguito delle modificazioni introdotte dal D.Lgs. n. 169 del 2007, consente al tribunale, in caso d’inammissibilità della proposta di concordato, di dichiarare senz’altro il fallimento del debitore, limitandosi a subordinare la relativa pronuncia ad un’istanza del creditore o alla richiesta del Pubblico Ministero: tale disciplina trova giustificazione nell’unitarietà della procedura avviata con la proposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo, nell’ambito della quale la fase rivolta alla dichiarazione di fallimento, che si apre in caso d’inammissibilità della proposta concordataria, si atteggia come un subprocedimento che non richiede ulteriori adempimenti procedurali, risultando già instaurato il rapporto processuale dinanzi al tribunale per effetto dell’iniziativa del debitore, il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento è noto a quest’ultimo fin dal momento della proposizione della domanda (cfr. Cass. n. 3836 del 2017; Cass. n. 25587 del 2015; Cass. n. 9730 del 2014).

5.2. E’ vero che le Sezioni Unite di questa Corte, con le più recenti sentenze nn. 9935 e 9936 del 2015, parzialmente rivedendo il principio suddetto, hanno affermato che, ancorchè non si possa ravvisare un rapporto di pregiudizialità tecnica fra il procedimento di concordato preventivo e quello per la dichiarazione di fallimento, durante la pendenza del primo, sia esso in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione, non può ammettersi l’autonomo corso del secondo, che si concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162,173,179 e 180, essendo maggiormente coerente col sistema ritenere che il fallimento non possa intervenire finchè la procedura di concordato non abbia avuto esito negativo.

5.2.1. Va, tuttavia, considerato che le stesse Sezioni Unite, nelle sentenze sopra citate, hanno precisato che è inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento: in questo caso, infatti, la domanda integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate od eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte.

5.2.2. Nella specie, la corte distrettuale, nell’affermare che “nessun rilievo può essere mosso al Tribunale per non aver preso in considerazione la seconda domanda di concordato depositata il 13 dicembre 2014, quando cioè la decisione di accoglimento dell’istanza di fallimento era già stata deliberata, anche se la sentenza non era stata ancora pubblicata”, non ha sottaciuto che, “in relazione alla prima domanda, il Tribunale aveva concesso a quest’ultima ampio spazio per integrare o modificare la proposta inizialmente formulata al fine di porre rimedio alle criticità dal medesimo Tribunale evidenziate”: argomentazione, quest’ultima, affatto ragionevolmente diretta a ritenere la proposizione dell’ulteriore domanda concordataria della (OMISSIS), nel descritto frangente temporale, come sostanzialmente finalizzata solo a procrastinare la dichiarazione di fallimento, sicchè comunque inidonea, alla stregua degli appena descritti principi di Cass., SU, nn. 9935 e 9936 del 2015, ad impedire la pronuncia, da parte di quel tribunale, del fallimento dell’odierna ricorrente.

6. Il ricorso va, quindi, respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese, essendo le controparti rimaste solo intimate, e dandosi atto, altresì, in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 22 luglio 2015), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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