Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30537 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. I, 26/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 26/11/2018), n.30537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27177/2015 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del presidente del collegio dei liquidatori e

legale rappresentante pro tempore, T.S., rappresentata

e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso,

dagli Avvocati Giovanni Boldrini e Mario Piselli, con i quali

elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

alla Via Della Giuliana n. 101;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del curatore

dott. B.S., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Antonio Colella,

con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Giuseppe

Ferrari n. 35, presso lo studio dell’Avvocato Marco Vincenti.

– controricorrente –

e

M.L.;

– intimata –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA depositata il

13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Capasso Lucio, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. A seguito di segnalazione del commissario giudiziale ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 1, il Tribunale di Rimini, con decreto del 28 novembre/4 dicembre 2014, revocò l’ammissione alla procedura di concordato preventivo della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, e, con contestuale sentenza, ritenuta la sussistenza delle condizioni di legge, ne dichiarò il fallimento.

2. Il reclamo contro i suddetti provvedimenti proposto dalla società, che focalizzò la propria impugnazione esclusivamente sui motivi che avevano condotto alla revoca della sua ammissione al concordato, fu respinto dalla Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio con la curatela fallimentare e M.L., creditrice richiedente il fallimento, con sentenza del 25 settembre/13 ottobre 2015.

2.1. Nello specifico, e per quanto ancora rileva in questa sede, quella corte: 1) rimarcò che, secondo il giudice di prime cure, “è evidente il deficit informativo subito dai creditori, specie con riferimento alla omessa indicazione di debiti bancari per Euro 7.396.137, posto che (OMISSIS) s.r.l., anche nella modifica della proposta di concordato, ha continuato ad appostare un fondo rischi, per garanzie prestate, pari ad Euro 3.846.255,23, pur essendo già avvenuta l’escussione di garanzie per Euro 7.396.137,85, che ha determinato il sorgere di un credito effettivo del consistente importo da ultimo indicato. Quindi, anche a voler considerare ininfluenti la mancata indicazione del debito per oneri di costruzione (…) e l’omessa menzione delle cause pendenti (..), in ragione della loro modesta incidenza nella complessiva economia del concordato che ci occupa, il consistente ridimensionamento del debito bancario, operato nella proposta e nel piano, era sicuramente idoneo a pregiudicare un consenso informato dei creditori ed a permettere a questi ultimi di valutare o meno la convenienza del concordato proposto”; 2) disattese la doglianza della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione secondo cui il tribunale aveva erroneamente “qualificato in termini “atto di frode” – comportante un deficit informativo nei confronti del ceto creditorio – la valutazione effettuata da essa reclamante in ordine al grado di rischio legato alle fideiussioni (..) rilasciate in favore degli istituti di credito”. Ritenne, in particolare, che “ciò che il tribunale ha imputato alla (OMISSIS), qualificandolo atto in frode, non è la inadeguata valutazione del fondo rischi esposto nel piano, bensì il fatto che la società abbia omesso di informare i creditori che, in data precedente al deposito della modifica della proposta di concordato, le fideiussioni prestate a favore degli istituti bancari a garanzia di obbligazioni di soggetti terzi (correttamente esposte) erano state già escusse per il rilevante importo di oltre sette milioni di Euro. Un conto è esporre ai creditori una potenziale situazione passiva connessa alle fideiussione prestate il cui concretizzarsi dipenderà dalla solvibilità dei debitori principali, un conto è non informarli della già avvenuta escussione di gran parte delle fideiussioni stesse, escussione che, di per sè, presuppone il mancato adempimento del debitore principale ed il sorgere di un obbligo attuale, per il fideiussore, di onorare l’assunta garanzia”; 3) ravvisò l’elemento soggettivo dell’accertato atto di frode assumendo che la menzionata società era “necessariamente consapevole di aver taciuto, nella proposta, circostanze rilevanti ai fini della compiuta informazione dei creditori, il che è sufficiente ai fini della prova dell’elemento soggettivo della fattispecie in esame, come ritenuto dal Tribunale”.

3. Avverso detta pronuncia ricorre la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, sulla base di due motivi, resistiti dalla curatela fallimentare della medesima società, che ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Non ha spiegato difese, in questa sede, la M..

4. Il primo motivo è rubricato “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte di appello rigettato il reclamo della (OMISSIS) sulla base di un elemento di fatto diverso da quello che il Tribunale di Rimini aveva posto a fondamento del decreto di revoca del concordato L. Fall., ex art. 173 e della consequenziale sentenza di fallimento”. Si assume che “mentre, per il Tribunale, (OMISSIS) avrebbe tratto in inganno i creditori sulla consistenza del passivo, nascondendo letteralmente debiti per oltre sette milioni di Euro e, dunque, rappresentando un deficit patrimoniale meno grave di quello reale, per la corte i debiti non sarebbero stati occultati, ma sarebbe stata comunque taciuta ai creditori medesimi una circostanza determinante del loro consenso in relazione alla maggiore entità del rischio fideiussorio conseguente all’escussione di alcune garanzie. Stando così le cose, è evidente che il giudice di secondo grado, lungi dal pronunciarsi sul merito dell’atto di frode enunciato dal tribunale, ne ha identificato un altro (appunto, l’omessa informativa in luogo dell’occultamento di debiti) e, sulla base di quest’ultimo, ha tenuto ferma la revoca del concordato, in tal modo travalicando inammissibilmente i limiti dell’oggetto del procedimento di reclamo” (cfr. pag. 22-23 del ricorso).

4.1. Una siffatta doglianza non è meritevole di accoglimento.

4.2. Giova immediatamente ricordare, in linea generale, che il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purchè restino immutati il petitum e la causa petendi e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (cfr. Cass. n. 8645 del 2018; Cass. n. 2209 del 2016). In altri termini, la violazione del principio suddetto sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (cfr. Cass. n. 906 del 2018).

4.2.1. Questa Corte, poi, già ha maturato il convincimento che, nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento che segua alla inammissibilità del concordato preventivo, vige un identico ed unitario principio di devoluzione piena della controversia al giudice dell’impugnazione. Invero, l’effetto devolutivo pieno che caratterizza il reclamo avverso la sentenza di fallimento riguarda anche la decisione sull’inammissibilità del concordato, perchè parte inscindibile di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi, sicchè, ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando innanzitutto la decisione del tribunale sulla sua mancata ammissione al concordato, il giudice del reclamo, adito ai sensi della L. Fall., artt. 18 e 162, è tenuto a riesaminare, anche avvalendosi dei poteri officiosi previsti dalla L. Fall., art. 18, comma 10, tutte le questioni concernenti detta ammissibilità, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado, nè da quest’ultimo rilevati d’ufficio, ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti ivi costituite (cfr. Cass. n. 1169 del 2017; Cass. n. 12964 del 2016). Un siffatto principio, peraltro, ancor più decisivamente opera in quei subprocedimenti che, attivati all’interno della procedura concordataria, ne permettono la conversione in fallimento, laddove gli espliciti richiami di regolarità del relativo svolgimento, come è proprio della L. Fall., art. 173, sono oggi – dopo la riforma del 2006 – saldamente ancorati alla necessità della domanda di parte, con divieto di iniziativa officiosa (cfr. Cass. 21478/2013), e semmai introducono mere semplificazioni organizzative dettate dal legislatore a fini di economia di giudizio, celerità di decisione, non dispersione del patrimonio istruttorio, coerenza della regolazione concorsuale in ragione della tipologia del dissesto (cfr. Cass. n. 1169 del 2017). A tanto va soltanto aggiunto che al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento non si applicano, per la sua specialità, i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., ed il relativo procedimento è, quindi, caratterizzato da un effetto devolutivo pieno, pur attenendo ad un provvedimento decisorio, emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata; tuttavia, tale effetto devolutivo non può estendersi all’ipotesi in cui si sia già verificata una decadenza da una eccezione nel corso del primo grado di giudizio, nè implicare che il reclamo possa assumere le forme di una semplice richiesta di riesame, senza formulazione dei motivi (cfr. Cass. n. 26771 del 2016).

4.3. Alla stregua di tutto quanto fin qui ricordato, dunque, ne consegue che, allorquando la corte bolognese ha giustificato la revoca dell’ammissione al concordato della (OMISSIS) s.r.l. sull’assunto che quest’ultima aveva “omesso di informare i creditori che, in data precedente al deposito della modifica della proposta di concordato, le fideiussioni prestate a favore degli istituti bancari a garanzia di obbligazioni di soggetti terzi (correttamente esposte) erano state già escusse per il rilevante importo di oltre sette milioni di Euro”, da ciò traendo la conclusione che “un conto è esporre ai creditori una potenziale situazione passiva connessa alle fideiussione prestate il cui concretizzarsi dipenderà dalla solvibilità dei debitori principali, un conto è non informarli della già avvenuta escussione di gran parte delle fideiussioni stesse, escussione che, di per sè, presuppone il mancato adempimento del debitore principale ed il sorgere di un obbligo attuale, per il fideiussore, di onorare l’assunta garanzia”, la medesima corte non è, in alcun modo, incorsa nelle violazioni di legge ad essa oggi ascritte dalla ricorrente.

4.3.1. Invero, l’appena descritto “fatto” dalla stessa valorizzato al fine di giungere alla conclusione che la (OMISSIS) s.r.l. avesse omesso di informare i creditori, non era estraneo alla materia del contendere, rinvenendosene notizia nelle relazioni del commissario giudiziale del 16 ottobre 2014 e dell’1 dicembre 2014, in parte qua riportate nel controricorso della curatela (cfr. pag. 4-5), sicchè, giusta i principi in precedenza riportati, nulla impediva alla corte felsinea, cui, comunque, era devoluto di verificare la configurabilità, o meno, di condotte fraudolente della menzionata società, di tenerne conto.

4.3.2. A ciò si aggiunga che, sotto un diverso angolo prospettico, “il doloso occultamento di passività fideiussorie” ai propri creditori (circostanza nella quale, a dire della ricorrente, il Tribunale di Rimini aveva ravvisato l’atto di frode giustificativo dell’avvenuta revoca della stessa all’ammissione alla procedura concordataria), e l'”omessa informazione circa l’intervenuta escussione delle fideiussioni medesime” (valorizzata, invece, ai medesimi fini, dalla corte bolognese), altro non rappresentano, evidentemente, che due facce della stessa medaglia, ovvero, rispettivamente, la condotta contestata alla proponente il concordato ed il suo effetto, rappresentato dal pregiudizio per i creditori.

4.3.3. La censura in esame, pertanto, va integralmente respinta.

5. Analoga sorte merita, poi, il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 173,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte di Appello attribuito rilevanza, agli effetti della revoca del concordato preventivo e della contestuale dichiarazione di fallimento, ad una condotta nient’affatto qualificabile come “atto di frode”, siccome priva di obbiettiva valenza decettiva e manchevole, comunque, del dolo”, attraverso il quale si sostiene che l’omissione informativa ascritta alla (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione nella pronuncia oggi impugnata non configurerebbe un “atto di frode”. Sotto il profilo oggettivo, perchè: 1) “al momento della redazione della proposta, del piano e della relazione sulla situazione patrimoniale, le fideiussioni non erano state ancora escusse, sicchè la fattispecie di cui alla L. Fall., art. 173 neppure sarebbe invocabile in astratto”; 2) “quand’anche venisse dato rilievo non al momento del deposito della proposta concordataria, bensì a quello della sua successiva modifica, il presunto deficit informativo imputato a (OMISSIS) risulterebbe comunque privo di obbiettiva portata decettiva nei confronti del ceto creditorio e, dunque, estraneo al novero degli “atti di frode”… per la semplice, ma evidente, ragione che i creditori, essendo stati notiziati dal Commissario Giudiziale dell’intervenuta escussione di alcune fideiussioni, si trovavano nelle condizioni di esprimere il proprio voto in misura assolutamente consapevole” (cfr. pag. 28-29 del ricorso). Dal punto di vista soggettivo, perchè “non vi è chi non veda che (OMISSIS) s’è astenuta dal rappresentare ai propri creditori l’intervenuta escussione di alcune delle fideiussioni semplicemente perchè l’informazione in questione era già stata data dal Commissario Giudiziale nella propria relazione particolareggiata” (cfr. pag. 31 del ricorso).

5.1. Giova premettere che, come ancora sancito da Cass. n. 7379 del 2018, la L. Fall., art. 173, – nella formulazione, applicabile ratione temporis, derivata dal correttivo di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007 – prevede ipotesi ben precise per le quali si può addivenire al provvedimento di revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo: ipotesi distinte tra primo e terzo comma, a seconda che le condotte ivi previste siano state commesse anteriormente al decreto di ammissione alla procedura ovvero nel corso della procedura medesima. In particolare, con riferimento alle condotte poste in essere ante decreto di ammissione, come nel caso di specie, il comma 1 stabilisce che “il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”.

5.2. Come ha già avuto modo di sostenere la giurisprudenza di legittimità, gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come “le condotte volte ad “occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, e che non si identificano con quelle di cui alla L. Fall., artt. 64 e ss., inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza a fronte di una evidenziazione precedente del tutto inadeguata” (Cass. 29 luglio 2014, n. 17191, con riguardo all’esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili). Si intende, dunque, che gli atti di frode devono essere “accertati” dal commissario giudiziale: locuzione che è riferibile o al fatto successivamente scoperto, in quanto in precedenza ignoto ai creditori nella sua materialità; o al fatto comunque non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati (Cass. 18 aprile 2014, n. 9050). In entrambi i casi, si tratta di comportamenti del debitore che hanno una valenza decettiva, onde pregiudicano il consenso informato dei creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387; 5 agosto 2011, n. 17038)” (cfr. Cass. n. 3409 del 2016. In senso sostanzialmente analogo, si vedano anche le più recenti Cass. n. 5689 del 2017 e Cass. n. 26429 del 2017; Cass. n. 7379 del 2018; Cass. n. 16856 del 2018).

5.2.1. Può, peraltro, precisarsi che “rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla predetta procedura, ai sensi della L. Fall., art. 173, anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza, e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell’accertamento” (cfr. Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017).

5.2.2. Sul piano soggettivo, il comportamento deve essere stato assunto con dolo, inteso come volontarietà del fatto (così ancora Cass. n. 23387/2013 e n. 17038/2011), consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori (cfr. Cass. n. 10778 del 2014; Cass. n. 9027 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017). E’ stata, pertanto, disattesa l’assimilazione tra atti pregiudizievoli per i creditori ed atti di frode come definiti ai fini della norma di cui alla L. Fall., art. 173.

5.3. In definitiva, gli atti di frode rilevanti ai fini della disciplina in discorso presuppongono: a) l’esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso di detta divergenza, quale volontarietà del fatto (cfr. Cass. n. 7379 del 2018).

5.4. In base ai suesposti, e qui condivisi, principi, dunque, nella odierna fattispecie, il fatto (omessa informazione circa l’intervenuta escussione di fideiussioni per il rilevante importo di circa Euro 7.396.137,85), peraltro sostanzialmente incontroverso, segnalato dal commissario giudiziale al giudice delegato alla procedura concordataria e considerato dalla corte territoriale decisivo ai fini della revoca dell’ammissione della ricorrente al concordato preventivo e della conseguente dichiarazione del suo fallimento, dimostra palesemente l’esistenza di una divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa prospettata con la proposta concordataria e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale, rivelandosi, peraltro, in questa sede inammissibile, perchè implicante accertamenti in fatto incompatibili con il giudizio di legittimità, l’assunto della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione secondo cui l’escussione delle garanzie predette sarebbe avvenuto “nell’intervallo temporale tra il deposito della proposta concordataria e dell’allegata situazione economico-finanziaria-patrimoniale (3 febbraio 2014) ed il deposito della relazione particolareggiata L. Fall., ex art. 172(15 ottobre 2014)” (cfr. pag. 25 del ricorso).

5.4.1. Si tratta di fatto che non rientra in alcuna delle ipotesi specificatamente tipizzate nella L. Fall., art. 173, comma 1, (accertamento o dissimulazione di parte dell’attivo, omessa dolosa denuncia di uno o più crediti, esposizione di passività inesistenti), sicchè va ricondotto nell’ipotesi residuale e generica, ivi prevista, degli “altri atti di frode”, imponendosi, conseguentemente, l’indagine circa il suo carattere doloso, non essendo concepibile un atto fraudolento che non sia sorretto da una precisa intenzione di compierlo (cfr. Cass. n. 17038 del 2011). Carattere doloso che, come si è già detto, può consistere anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori (cfr. Cass. n. 10778 del 2014; Cass. n. 9027 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017; Cass. n. 16856 del 2018). Non è, invece, necessaria la dolosa preordinazione in vista dell’effetto decettivo, essendo sufficiente la intenzionalità dell’atto/omissione con valenza decettiva. La fraudolenza rileva, invero, non in termini di effettiva consumazione, ma di potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, come argomentato già da Cass. n. 23387 del 2013, atteso che la norma non richiede che, una volta accertata la presenza di atti di frode, venga dato spazio a successive valutazioni dei creditori.

5.4.2. In definitiva, l’accertamento di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina in sè – alla stregua dei principi finora esposti – la revoca dell’ammissione al concordato, e prescinde anche dal voto espresso dai creditori in adunanza ovvero dal fatto che questi ultimi siano stati poi resi edotti di quell’accertamento (cfr. Cass. 5689 del 2017; Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 14552 del 2014).

6. Pertanto, le affermazioni, sul punto, della corte bolognese – secondo la quale “non è seriamente sostenibile che fosse del tutto ininfluente per i creditori, all’atto dell’esercizio del loro diritto di voto, conoscere le pretese creditorie già avanzate dalle Banche a fronte delle fideiussioni meramente indicate nel piano. Il deficit informativo di cui si discute ha sicuramente pregiudicato i creditori precludendo loro di valutare la proposta sulla base di tutti i dati necessari per giudicarne la concreta opportunità e di rapportarla agli esiti di un’eventuale procedura fallimentare, e dunque di esprimere un voto consapevole….L’impugnato provvedimento neppure è censurabile nella parte in cui il Tribunale ha ravvisato l’elemento soggettivo dell’accertato atto in frode. La reclamante (OMISSIS) non ha contestato che alla data di deposito “della modifica della proposta e della nuova attestazione del professionista di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3″ era già a conoscenza delle escussioni di cui si discute. Essa era dunque necessariamente consapevole di aver taciuto, nella proposta, circostanze rilevanti ai fini della compiuta informazione dei creditori il che è sufficiente ai fini della prova dell’elemento soggettivo della fattispecie in esame” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) – appaiono evidentemente immuni dagli errori oggi lamentati dalla ricorrente, da ciò conseguendone il rigetto della sua corrispondente censura.

7. Il ricorso va, quindi, respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 9 novembre 2015), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che quantifica in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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