Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30535 del 26/11/2018

Cassazione civile sez. I, 26/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 26/11/2018), n.30535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25250/2015 r.g. proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., (cod. fisc. (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), in persona del Responsabile Settore

Dipartimentale Recupero Crediti di Mantova, dott.

B.C.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a

margine del ricorso, dagli Avvocati Prof. Renato Scognamiglio e

Prof. Claudio Scognamiglio, presso il cui studio elettivamente

domicilia in Roma, al Corso Vittorio Emanuele II n. 326;

– ricorrente –

contro

LEONESSA INVESTIMENTI s.r.l., a socio unico (cod. fisc. (OMISSIS)),

con sede in (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, U.M., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al controricorso,

dall’Avvocato Pietro Sarrocco, presso il cui studio elettivamente

domicilia in Roma, alla via Pasubio n. 4;

– controricorrente –

e

F.E.D. FINANCIAL EVALUATION DEVELOPMMENT SOCIETA’ GESTIONE CREDITI

s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede

in (OMISSIS), quale mandataria di UniCredit s.p.a.; FALLIMENTO

(OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore pro tempore dott.

B.E..

– intimati –

avverso il decreto della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA depositato il

17/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello di Brescia respinse, con decreto del 24 giugno/17 settembre 2015, il reclamo di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (nel prosieguo, più semplicemente, MPS) contro il decreto del tribunale di quella stessa città che, previo rigetto dell’opposizione proposta dalla medesima MPS, aveva omologato il concordato fallimentare (OMISSIS) s.r.l. come proposto da Leonessa Investimenti s.r.l. a socio unico.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, ed in estrema sintesi, quella corte, dato atto del contenuto del provvedimento impugnato e dei motivi di reclamo formulati, ritenne che: 1) l’esame del merito e la valutazione di convenienza della proposta concordataria fossero riservati ai creditori, ragione per la quale “nella procedura di concordato fallimentare la conoscenza della proposta concordataria da parte dei creditori è, dunque, indispensabile”; 2) “… tanto il Comitato dei creditori nel momento del “parere”, quanto i creditori “all’atto del voto”, hanno avuto, nella sua interezza, conoscenza della proposta finale di concordato…”, e, pertanto, i “creditori hanno espresso… un consenso “informato” sull’opportunità e convenienza del piano concordatario rispetto alla prosecuzione del fallimento nell’autonomia negoziale loro riconosciuta e, con il voto, hanno, a larga maggioranza, approvato la proposta…”; 3) “nel concordato fallimentare, l’intervenuta approvazione della proposta concorsuale “.., da parte dei creditori, ai quali spetta ogni valutazione di convenienza della proposta, determina la sanatoria di ogni irregolarità del parere reso dal comitato dei creditori, ivi compresa la mancanza di una succinta motivazione, che non ne comporta la inesistenza, ma soltanto una nullità relativa” (cfr. Cass. 29.7.2011 n. 16738)…”; 4) successivamente al deposito del parere del comitato dei creditori, “…è stato verificato in atti… non essere mai intervenuta contrariamente a quanto asserito dalla reclamante – alcuna modifica od innovazione della proposta concordataria, per cui non vi era necessità di nuovo parere del Comitato dei creditori. Non sussiste dunque, alcuna delle violazioni dell’iter procedimentale lamentate e neppure la dedotta carenza di informazione.”.

1.1.1. Inoltre, facendo proprie tutte le argomentazioni già svolte, sul punto, dal tribunale, confermò che la prestazione della proponente quanto al soddisfacimento del ceto creditorio, non era “indeterminata od indeterminabile”, risultando, al contrario, dall’applicazione dello 0,90% al monte dei crediti ammessi al chirografo originariamente o per degradazione conseguente all’incapienza dei residui cespiti immobiliari, con individuazione del concreto esborso (pari ad Euro 2.058.472,73), il quale era suscettibile di determinare una minore percentuale “… nell’eventualità che prima della data in cui diverrà definitivo il provvedimento di omologazione del concordato emergano ulteriori passività di qualsiasi natura…”. Indicò, infine, analiticamente le ragioni in base alle quali ritenne che tale eventualità fosse “meramente teorica nel caso di specie e, pertanto, non poteva incidere sulla validità della proposta e nemmeno sulla cd. “causa concreta” del concordato fallimentare…”.

2. Avverso tale provvedimento MPS propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. e resistiti da Leonessa Investimenti s.r.l. a socio unico. Non hanno, invece, spiegato difese, in questa sede, il fallimento (OMISSIS) s.r.l. e la F.E.D. – Financial Evaluation Development Società Gestione Crediti s.p.a. (mandataria di UniCredit s.p.a.), intervenuta nel giudizio di reclamo.

3. Il primo motivo, rubricato “Violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 124-125 per omessa sottoposizione al comitato dei creditori della integrale proposta aggiornata di concordato fallimentare”, denuncia che la Leonessa Investimenti s.r.l., dal momento della formulazione dell’originaria proposta concordataria, aveva depositato una lunga serie di atti integrativi (puntualmente indicati in ricorso) solo in parte noti al comitato dei creditori allorquando tale organo, il 13 giugno 2014, aveva reso il proprio parere (favorevole) L. Fall., ex art. 125: in particolare, detto comitato non era stato messo a conoscenza della nota critica di aggiornamento del curatore del 18.6.2014, della ulteriore nota di integrazione del proponente del 27 giugno 2014, della ulteriore nota critica del curatore del 3 luglio 2014 e della ulteriore nota di integrazione del proponente del 15 luglio 2014, sicchè allo stesso non era stato consentito di votare sulle “fondamentali integrazioni della proposta (in ben due atti) della Leonessa Investimenti s.r.l., anche in relazione alle dettagliate e stringenti due note critiche del curatore (implicitamente confermative del suo atteggiamento fortemente critico che aveva fondato il suo parere negativo alla proposta)…” (cfr. pag. 24 del ricorso), da ciò conseguendone l’illegittimità ed il vizio dell’intero procedimento “per violazione della L. Fall., art. 125 in relazione alla L. Fall., art. 124”.

4. Una siffatta doglianza è inammissibile per plurime ragioni.

4.1. Giova premettere che la nuova disciplina delle procedure concorsuali ha radicalmente ridisegnato i compiti dei soggetti coinvolti nelle stesse, ed in particolare nel fallimento e nel concordato preventivo e fallimentare, riportando il giudice alla sua funzione di garante della regolarità della procedura e custode dell’osservanza dei principi fondanti dell’ordinamento, nonchè di organo delegato alla soluzione dei conflitti che dalla procedura derivano, e lasciando, invece, agli altri organi in maggiore o minore misura rappresentativi o direttamente ai creditori riuniti in adunanza la decisione circa il merito delle scelte che attengono alle modalità con cui pervenire alla liquidazione del patrimonio del debitore e, quindi, al soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass., n. 3274 del 2011). In riferimento al concordato fallimentare, l’orientamento del legislatore emerge, in particolare, dalla devoluzione del giudizio di convenienza della proposta ai creditori, ai quali la L. Fall., artt. 127 e 128 demandano l’approvazione del concordato sulla base del parere formulato dal curatore e dal comitato dei creditori con riguardo ai presumibili risultati della liquidazione, restando, pertanto, soppressa la preventiva valutazione già affidata dall’art. 125 al giudice delegato, cui spetta ora soltanto un controllo sulla ritualità della proposta. Il nuovo ruolo del giudice è, poi, evidenziato anche dalla ridefinizione dell’ambito del procedimento di omologazione, che ha ad oggetto la verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione, salvo che il concordato preveda la suddivisione dei creditori in classi (fattispecie non ricorrente nell’odierno giudizio) ed alcune di esse risultino dissenzienti, dovendosi, in tal caso, verificare se i creditori appartenenti alle predette classi possano risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili; al di fuori di quest’ultima ipotesi, resta, pertanto, esclusa ogni valutazione sul contenuto della proposta, prevista, invece, dal testo originario dell’art. 130 I.fall., che affidava al tribunale non solo un controllo in ordine alla ritualità del procedimento ed all’osservanza degli adempimenti prescritti dalla legge, ma anche l’esame del merito della proposta, e quindi la valutazione della sua convenienza ed opportunità.

4.2. Merita, poi, di essere rimarcato che, nella specie, la corte distrettuale, dopo aver dato atto che, “nella procedura di concordato fallimentare, la conoscenza della proposta concordataria da parte dei creditori è, dunque, indispensabile”, ha specificamente affermato che “… tanto il Comitato dei creditori nel momento del “parere”, quanto i creditori “all’atto del voto”, hanno avuto, nella sua interezza, conoscenza della proposta finale di concordato…”, e che, i “creditori hanno espresso, quindi, un consenso “informato” sull’opportunità e convenienza del piano concordatario rispetto alla prosecuzione del fallimento nell’autonomia negoziale loro riconosciuta e con il voto hanno a larga maggioranza approvato la proposta…”. Ha, inoltre, richiamato il principio di questa Corte secondo cui, nel concordato fallimentare, l’intervenuta approvazione della proposta concorsuale da parte dei creditori, ai quali spetta ogni valutazione di convenienza della proposta, determina la sanatoria di ogni irregolarità del parere reso dal comitato dei creditori, ivi compresa la mancanza di una succinta motivazione, che non ne comporta la inesistenza, ma soltanto una nullità relativa (cfr. Cass. 29.7.2011 n. 16738). Ha, altresì, chiarito che, successivamente al deposito del parere del comitato dei creditori, “…è stato verificato in atti… non essere mai intervenuta – contrariamente a quanto asserito dalla reclamante alcuna modifica od innovazione della proposta concordataria, per cui non vi era necessità di nuovo parere del Comitato dei creditori. Non sussiste, dunque, alcuna delle violazioni dell’iter procedimentale lamentate e neppure la dedotta carenza di informazione.”.

4.3. Attese le suesposte considerazioni in riferimento ai limiti dell’apprezzamento demandato al giudice in sede di omologazione del concordato, che impongono, nell’esame della doglianza oggi proposta dalla ricorrente, di avere riguardo esclusivamente al controllo compiuto dalla corte territoriale in ordine alla legalità della procedura ed al rispetto di una giusta proporzione tra lo strumento impiegato e le finalità perseguite, non possono, allora, trovare ingresso le critiche riflettenti la sostanziale inadeguatezza – perchè reso sulla base di una soltanto parziale conoscenza degli atti integrativi che avevano fatto seguito alla formulazione, da parte di Leonessa Investimenti s.r.l., della originaria proposta concordataria – o addirittura la mancanza, con riguardo ad asserite integrazioni, del parere del comitato dei creditori.

4.3.1. Da un lato, invero, esse presuppongono un accertamento in fatto circa il se le note di integrazione della menzionata società, rispettivamente del 27 giugno 2014 e del 15 luglio 2014 (precedute da note critiche di aggiornamento del curatore), configurassero effettive e concrete modificazioni (piuttosto che mere precisazioni e/o chiarimenti) della proposta concordataria come già integrata fino a quando, il 13 giugno 2014, il comitato dei creditori aveva, su quest’ultima, reso il proprio parere favorevole pur dando atto del parere negativo del curatore, e si è già riferito, in proposito, che la corte bresciana aveva ritenuto che “…è stato verificato in atti… non essere mai intervenuta – contrariamente a quanto asserito dalla reclamante – alcuna modifica od innovazione della proposta concordataria, per cui non vi era necessità di nuovo parere del Comitato dei creditori” (cfr. pag. 5-6 del decreto impugnato). La censura, dunque, si risolverebbe in una inammissibile critica di merito relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base degli elementi probatori acquisiti, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità, risultando, peraltro, l’ampia motivazione del provvedimento impugnato, sul punto, non apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Nè, in contrario, potrebbe obiettarsi, come, invece, preteso da MPS al fine di giustificare l’ammissibilità del proprio motivo, che “un tale accertamento di fatto non vi è nel decreto oggetto di impugnativa” (cfr. pag. 21 del ricorso): ciò avrebbe, infatti, determinato, se del caso, la necessità di una doglianza per un ipotetico vizio motivazionale (nei ristretti limiti oggi consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile ratione temporis), invece del tutto mancata.

4.3.2. Dall’altro, le stesse si infrangono contro il principio, già ripetutamente affermato da questa Corte e qui condiviso, secondo cui, poichè l’assemblea dei creditori è il solo soggetto cui è definitivamente rimessa la valutazione della convenienza della proposta concordataria, come si evince dall’art. 129, una volta che sia intervenuta l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 128, ogni irregolarità del predetto parere deve ritenersi sanata, avuto riguardo alla nuova configurazione dell’istituto del concordato fallimentare (cfr. Cass. n. 16738 del 2011; Cass. n. 24026 del 2010).

4.3.2.1. La concreta formulazione dell’odierno motivo di ricorso di MPS confligge, dunque, con quanto recentemente chiarito da Cass., SU, n. 7155 del 2017, secondo cui quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, il ricorso per cassazione, o il suo singolo motivo, vanno dichiarati inammissibili, e non rigettati per manifesta infondatezza. Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’esistenza di una forma di inammissibilità di carattere “meritale” (o “sostanziale”), che dipende dalla manifesta infondatezza del ricorso (di cui la situazione prevista dall’art. 360-bis c.p.c., n. 1, sarebbe una particolare figura), che si contrappone alla tradizionale forma di inammissibilità di carattere processuale, dipendente dalle forme con le quali è posta in essere l’attività processuale della parte, ed hanno richiamato, convalidandolo, anche il seguente principio di diritto: “La condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47 non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda” (cfr. Cass. n. 3142 del 2011). Si tratta di un’affermazione che attiene al modo di “formulazione del motivo” e che configura un “onere argomentativo” a carico del ricorrente, direttamente scaturente dal disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1 che trovasi, peraltro, sostanzialmente espresso anche in altri precedenti di legittimità (cfr. Cass. n. 13202 del 2011; Cass., SU, n. 8923 del 2011; Cass. n. 23586 del 2015), e che, di recente, ha ricevuto ulteriori puntualizzazione da Cass. n. 5001 del 2018, le cui esaustive e condivisibili argomentazioni (cui può, in questa sede, farsi rinvio) si sono condensate nel seguente principio: “Ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi di cui all’art. 366 c.p.c, comma 1, n. 4 deve essere letto in correlazione col disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1; è pertanto inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare giurisprudenza”.

4.3.2.2. Nella specie MPS, nel dolersi del richiamo effettuato dalla corte territoriale al già riportato orientamento espresso, da ultimo, da Cass. n. 16738 del 2011, ha unicamente sostenuto che quel richiamo “… non coglie nel segno… poichè qui non si tratta di fare questione della valutazione di convenienza della proposta, bensì di vizi procedimentali: la pronuncia di questa Suprema Corte da ultimo menzionata, laddove afferma che l’approvazione della proposta concorsuale da parte dei creditori, ai quali spetta la valutazione di convenienza della proposta “determina la sanatoria di ogni irregolarità del parere reso dal comitato dei creditori…” conferma semmai, ed ove pure fosse necessario, la centralità del parere del Comitato dei creditori nella procedura. E se, come rileva la decisione richiamata, può essere sanata la mancanza di una pur succinta motivazione del medesimo, certo non può essere in alcun modo sanata la totale pretermissione di quel parere sulle integrazioni della proposta” (cfr. pag. 26 del ricorso). Una siffatta argomentazione, però, o postula, logicamente, la necessaria natura di modifica della proposta concordataria, su cui si era espresso, il 13 giugno 2014, il comitato dei creditori, da attribuirsi alle successive ulteriori note di integrazioni del 27 giugno 2014 e del 15 luglio 2014 della proponente il concordato: ma ciò, come si è già detto, imporrebbe accertamenti in fatto riservati al giudice di merito (che tale natura ha, invece, escluso); oppure, ove la censura volesse intendersi riferita alla mera omessa sottoposizione al comitato dei creditori anche delle menzionate ulteriori note di integrazione, indipendentemente dall’integrare, o meno, le stesse un’effettiva modifica della proposta concordataria su cui quell’organo aveva già espresso il proprio parere (positivo), la stessa si tradurrebbe, evidentemente, nella denuncia di un semplice preteso vizio dell’iter procedimentale dettato dalla L. Fall., art. 125, con riferimento al quale, però, l’istante – soprattutto alla stregua del fatto che, come ampiamente chiarito dalla corte bresciana, i creditori “all’atto del voto”, hanno avuto, nella sua interezza, conoscenza della proposta finale di concordato…” ed “hanno espresso, quindi, un consenso “informato” sull’opportunità e convenienza del piano concordatario rispetto alla prosecuzione del fallimento nell’autonomia negoziale loro riconosciuta” – avrebbe quanto meno dovuto prospettare, ma ciò non è avvenuto, il concreto interesse di MPS eventualmente leso da tale invocato error in procedendo: secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, invero, la denunzia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse alla astratta regolarità della attività giudiziaria, bensì l’interesse alla eliminazione del pregiudizio arrecato da tale violazione all’esercizio dei diritti della parte nel processo: è cioè inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione che si limiti ad evidenziare l’erroneità di una determinata statuizione senza precisare il pregiudizio che ne sarebbe derivato per la parte ricorrente, nè in che modo la statuizione stessa avrebbe inciso sull’esito della lite (cfr., ex multis, Cass. n. 22220 del 2018; Cass. n. 2626 del 2018; Cass. 28229 del 2017; Cass. 17905 del 2016;Cass. n. 19645 del 2015; Cass. n. 26831 del 2014; Cass. n. 6330 del 2014; Cass. n. 27006 del 2007; Cass. n. 11844 del 2006).

5. Il secondo motivo del ricorso, rubricato “Violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 125, in relazione all’art. 1346 c.c. ed all’art. 1325 c.c., n. 2 ed ai principi in materia di causa concreta degli atti di autonomia privata”, lamenta, sostanzialmente, che, diversamente da quanto ritenuto dalla corte distrettuale, la proposta della Leonessa Investimenti s.r.l. fosse priva di qualsiasi chiarezza con riferimento alla posizione dei creditori chirografari e che, dunque, fosse gravemente lesiva del diritto di MPS, titolare di un credito chirografario di Euro 70.450.148,13. Si ribadisce che “la già irrisoria quota destinata ai creditori chirografari dell’0,90% (peraltro solo quella, laddove a tutti gli altri creditori era promessa la quota del 100% senza alcuna previsione di rischio) era completamente sottoposta all’alea di una serie di eventi indeterminati ed ignoti che l’avrebbero potuta elidere del tutto” (cfr. pag. 30 del ricorso), e che tale indeterminabilità rendeva la proposta nulla per violazione della L. Fall., art. 124 in relazione all’art. 1346 c.c., riflettendosi anche sul piano della mancanza di causa concreta.

5.1. Anche tale censura non merita, però, accoglimento.

5.2. La corte bresciana, infatti, espressamente affermando di fare proprie tutte le argomentazioni già svolte, sul punto, dal tribunale, ha ritenuto che “la prestazione della proponente quanto al soddisfacimento del ceto creditorio, non era “indeterminata od indeterminabile”, risultando, al contrario, dall’applicazione dello 0,90% al monte dei crediti ammessi al chirografo originariamente o per degradazione conseguente all’incapienza dei residui cespiti immobiliari, con individuazione del concreto esborso (pari ad Euro 2.058.472,73), il quale era suscettibile di determinare una minore percentuale “… nell’eventualità che prima della data in cui diverrà definitivo il provvedimento di omologazione del concordato emergano ulteriori passività di qualsiasi natura…”. Inoltre, ha indicato analiticamente le ragioni in base alle quali tale eventualità sarebbe stata “meramente teorica nel caso di specie e pertanto non poteva incidere sulla validità della proposta e nemmeno sulla cd. “causa concreta” del concordato fallimentare…”.

5.2.1. Fermo, dunque, quanto si è già detto sui limiti dell’apprezzamento demandato al giudice in sede di omologazione del concordato, la doglianza investe, sostanzialmente, le conclusioni raggiunte da quella corte attraverso il complessivo governo del materiale istruttorio, senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

5.3. Nella specie, MPS, dopo aver riportato il tenore letterale, in parte qua, del decreto impugnato, ha insistito nel proprio convincimento – già disatteso in entrambi i gradi di merito – secondo cui la quota, già, a suo dire, “irrisoria”, destinata ai creditori chirografari (0,90%) era completamente sottoposta all’alea di una serie di eventi indeterminati ed ignoti che l’avrebbero potuta elidere del tutto, sviluppando, poi, l’iter argomentativo del motivo contestando le diverse valutazioni che, invece, la corte distrettuale aveva posto a fondamento della propria decisione (cfr., amplius, pag. 30 e ss. del ricorso), contrapponendo ad esse (singolarmente e nella loro considerazione complessiva) una propria diversa, ed a lei favorevole, dei medesimi elementi su cui dette valutazioni erano basate e che, in quanto esaurientemente motivate nel decreto oggi impugnato, sono, invece, da considerare incensurabili in sede di legittimità.

5.3.1. Il vizio prospettato nel motivo di ricorso in esame si risolve, dunque, inammissibilmente, nella mera indicazione di disposizioni asseritamente violate, ma affatto carenti della necessaria specificazione di quali sarebbero le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le individuate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, oppure, altrettanto inammissibilmente, esclusivamente in censure contro la complessiva valutazione delle risultanze istruttorie.

6. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 17 ottobre 2015), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la banca ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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