Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3053 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. II, 10/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 10/02/2020), n.3053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29330/2015 R.G. proposto da:

M.O.D., rappresentato e difeso da se stesso,

elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv. Andrea

Recchia in via Tevere n. 44;

– ricorrente –

contro

ARPA s.a.s., rappresentata e difesa dall’Avv. Bernardino Pasanisi per

procura in calce al controricorso, domiciliata presso la cancelleria

della Corte;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione

distaccata di Taranto, n. 221, depositata il 14 maggio 2015;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone nella

camera di consiglio del 1 ottobre 2019.

Fatto

ATTESO

CHE:

– La controversia riguarda il saldo dei compensi professionali reclamato in monitorio dall’avvocato M.O.D. nei confronti di ARPA s.a.s. per l’attività giudiziale svolta nell’interesse di questa e dei quattro soci accomandatari contro Banca Popolare Jonica: respinta in primo grado, l’opposizione di ARPA al decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dal M. era accolta in appello, con riduzione dell’importo a lui dovuto dalla misura di Euro 6.088,73 a quella di Euro 294,75, sicchè il professionista ricorre per cassazione, articolando cinque motivi.

– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1175,1176 c.c., il secondo denuncia omesso esame, il terzo violazione degli artt. 2233,2236,2697 c.c., art. 115 c.p.c.: i tre motivi vanno esaminati unitariamente, poichè connessi nello stigmatizzare che il giudice d’appello abbia ritenuto l’opera professionale del M. “non di pregio particolare” in rapporto all’esito ottenuto e abbia fatto da ciò discendere l’abbattimento del compenso ai minimi tariffari, senza considerare che l’obbligazione dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi, non di risultato.

– Il primo motivo, il secondo e il terzo sono infondati, poichè la liquidazione degli onorari di avvocato deve tener conto anche dei risultati conseguiti dal cliente, ciò che non altera la qualificazione dell’obbligazione del professionista come obbligazione di mezzi (Cass. 7 febbraio 2014, n. 2863); osservando che ARPA fu interamente soccombente nel giudizio contro Banca Jonica, il giudice d’appello si è conformato a tale principio di diritto, adeguando il compenso al risultato, ciò che, ovviamente, non trasforma quella dell’avvocato in un’obbligazione di risultato agli effetti dell'(in)adempimento e dell’an della retribuzione.

Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 10 c.p.c., D.M. n. 585 del 1994, art. 6 per aver il giudice d’appello utilizzato come parametro di liquidazione il valore del decisum.

Il quarto motivo è infondato, poichè, ai fini della liquidazione degli onorari dovuti all’avvocato dal cliente, l’individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in base al criterio dell’effettivo valore della controversia, evincibile dal decisum, piuttosto che dal deductum (Cass. 19 febbraio 2010, n. 3996; Cass. 5 gennaio 2011, n. 226); invero, nei rapporti tra avvocato e cliente, sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto al valore derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito, dovendo il giudice verificare l’attività difensiva che il legale ha svolto in concreto, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo o se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, in tale ultima eventualità non potendo il compenso preteso essere ritenuto autentico corrispettivo della prestazione espletata (Cass. 12 luglio 2018, n. 18507); il giudice d’appello si è conformato a questi principi di diritto, facendone applicazione in senso riduttivo dello scaglione, in base a una valutazione di merito (riferibile alla pacifica finalità dilatoria dell’opposizione a Banca Jonica), insindacabile nella sede di legittimità.

Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 4, per non aver il giudice d’appello riconosciuto la maggiorazione dell’onorario nella misura del 20% per ogni parte difesa in più rispetto alla parte principale.

Il quinto motivo è infondato: la decisione sulla maggiorazione del 20% dell’onorario, ai sensi del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 4, è rimessa alla discrezionalità del giudice, purchè egli motivi tanto la concessione della maggiorazione, quanto il diniego (Cass. 8 luglio 2010, n. 16153); il giudice d’appello si è conformato a questo principio di diritto, facendone applicazione in senso negativo della maggiorazione, in base a una valutazione di merito (correlata all’identità delle posizioni solidali degli accomandatari e dell’accomandita), insindacabile nella sede di legittimità.

Il ricorso deve essere respinto, con aggravio delle spese processuali e raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Dichiara che il ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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