Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3053 del 08/02/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 08/02/2018, (ud. 20/12/2017, dep.08/02/2018),  n. 3053

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La società Europa Carri s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro l’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, impugnando la sentenza resa dalla CTR Sicilia, indicata in epigrafe, con la quale è stato confermato il rigetto del ricorso contro l’avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno 2004. La CTR evidenziava che la società contribuente non aveva offerto elementi di prova idonei a scardinare la decisione di primo grado circa le gravi anomalie relative alle fatture, ben evidenziate nel pvc e non adeguatamente poste in discussione dalle generiche argomentazioni della contribuente.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 335 c.p.c.. La CTR avrebbe omesso di esaminare l’istanza di riunione del presente procedimento di appello ad altro, proposto contro la medesima sentenza di primo grado dall’Agenzia delle Entrate impedendo, in tal modo, la trattazione congiunta che doveva risultare necessaria.

Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.. La CTR non avrebbe valutato la sentenza penale assolutoria intervenuta nelle more del giudizio per gli stessi fatti presi in esame dall’autorità fiscale.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c.. La CTR avrebbe errato nell’addossare in capo alla società contribuente l’onere di dimostrare l’infondatezza dei rilievi esposti dall’ufficio che non integravano presunzioni gravi, precise e concordanti.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte ha ritenuto che l’obbligo di disporre la riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., di appelli separatamente proposti dalla stessa parte avverso la medesima sentenza trova applicazione con esclusivo riguardo alle impugnazioni ritualmente proposte, e cioè idonee ad investire il giudice di una pronunzia nel merito, perchè solo in tale ipotesi è necessario scongiurare, attraverso la riunione, la possibilità di frammentazione del giudicato che il combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c., mira a prevenire. Una siffatta esigenza non sussiste allorquando una delle impugnazioni è inammissibile, trattandosi di declaratoria di mero rito, come tale non contenente l’accertamento sostanziale del regolamento di interessi oggetto della domanda – cfr. Cass. n. 18949/2010, Cass. n. 18447 del 14/09/2004.

Orbene, nel caso di specie, la ricorrente dà atto che l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e deciso dalla CTR avverso la medesima sentenza del giudice di primo grado si concluse con la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione. Ne consegue il rigetto della censura.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, non potendosi annoverare l’omesso esame di un elemento documentale fra le ipotesi di vizio processuale sussumibile nel paradigma dell’art. 112 c.p.c., utilizzato dalla ricorrente sul presupposto (errato) che si vertesse in tema di omessa pronunzia, semmai ricorrendo un’ipotesi di omesso esame dei fatti risultanti dai documenti non prodotti, sussumibile nel diverso vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

Ed invero, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 6 luglio 2006, in C439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente – cfr. Cass. n. 24426/2013.

Orbene, la ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che la CTR sia incorsa in violazione dei superiori principi, avendo omesso di riportare gli elementi indicati nel pvc che il giudice di primo grado aveva considerato idonei ad asseverare la fondatezza della censura.

Ciò che impedisce a questa Corte di valutare la fondatezza del rilievo esposto dalla ricorrente per difetto di autosufficienza.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del DP.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in Euro 4000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2018

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