Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30527 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. un., 22/11/2019, (ud. 19/11/2019, dep. 22/11/2019), n.30527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al N. R.G. 20219-2018 proposto da:

M.C., rappresentato e difeso dagli Avvocati Federico

Tedeschini e Adriano Tortora, con domicilio eletto presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, via Cicerone, n. 49;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, con domicilio presso il proprio Ufficio in Roma,

via Baiamonti n. 25;

– controricorrente –

e nei confronti di:

V.A.; I.G.; AL.Fr.;

A.M.; AR.Ga.; C.M.; G.R.;

T.G.; B.C.; CA.Ge.; c.a.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte dei conti, sezione seconda

giurisdizionale centrale d’appello, n. 300/2018 depositata il 16

maggio 2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 novembre 2019 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Campania citò in giudizio M.C., assessore alla Provincia di Salerno, ritenuto responsabile, insieme al presidente e al vicepresidente della Giunta provinciale, ad altri assessori e a dirigenti provinciali, per il danno arrecato alla Provincia a seguito dell’anomalo andamento dell’assunzione in locazione, da parte dell’ente territoriale, di un immobile di circa 500 mq di superficie, situato nel centro storico di Salerno;

che, originariamente individuato quale sede di un istituendo museo della scuola medica salernitana con deliberazione della Giunta provinciale n. 532 del 22 settembre 2006 e contratto di locazione registrato il 31 ottobre 2006 per un canone di Euro 144.000 annui per dodici anni, l’immobile era stato successivamente destinato – come da Delib. Giunta provinciale n. 307 del 2007 e Delib. n. 484 del 2007 e contratto di locazione registrato il 14 dicembre 2007 – a sede di uffici provinciali in ragione della decisione di non portare avanti la prima opzione: il contratto era stato, quindi, rinnovato con la pattuizione dell’inizio del pagamento del canone (Euro 12.000 mensili) dal mese di dicembre 2007 e consegna effettiva dell’immobile fissata per il 28 novembre 2008 (poi prorogata al 16 aprile 2009 e al 28 maggio 2009) per il riadattamento dei locali a carico del locatore, eccezion fatta per il cablaggio e per l’impianto di condizionamento a carico della Provincia;

che, in particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, i danni sarebbero derivati all’ente territoriale dall’adozione delle Delib. di Giunta provinciale con le quali per l’immobile oggetto di locazione, scelto senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, era stato pattuito di corrispondere un canone, con decorrenza dicembre 2007, immediatamente, nonostante l’immobile fosse interessato da lavori di ristrutturazione, con conseguente indisponibilità per gli uffici amministrativi cui era destinato;

che la responsabilità venne inoltre individuata nella circostanza che la Provincia si sarebbe accollata i costi di alcune opere di miglioramento interno per rendere l’immobile compatibile con le esigenze degli uffici;

che in definitiva, ad avviso del pubblico ministero, tali condizioni contrattuali sarebbero state eccessivamente onerose, con conseguente danno erariale;

che la Sezione giurisdizionale per la Campania, con sentenza n. 1581 del 2 dicembre 2013, ha rigettato la domanda risarcitoria, rilevando che la condotta posta in essere dai convenuti non era censurabile ai fini dell’azione di responsabilità amministrativa, stante l’assenza degli elementi costitutivi dell’illecito contabile;

che nello specifico il giudice di primo grado ha rilevato che i fini pubblici perseguiti sia con il primo contratto di locazione che con il secondo rientrano in quelli che la legge assegna all’Amministrazione provinciale, essendo pienamente legittimo che un ente locale istituisca musei ovvero provveda ad acquisire immobili da destinare alle proprie sedi istituzionali; che il canone pattuito appariva congruo, attese l’ubicazione e le dimensioni dell’immobile e la circostanza che il costo dell’affitto comprendeva anche i lavori necessari all’adeguamento della struttura alla destinazione desiderata dall’Amministrazione; che non era corretto ritenere che il conduttore dovesse iniziare a pagare i lavori solo ad opere ultimate, nè era rilevante che gli importi dei lavori non fossero previsti nel contratto di locazione;

che, con sentenza n. 300/2018, depositata in segreteria il 16 maggio 2018, la Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, ha accolto parzialmente il gravame del Procuratore regionale e, per l’effetto, in riforma della appellata pronuncia, ha condannato il M. al pagamento, in favore della Provincia, dell’importo di Euro 14.400 e di Euro 91.200, da ripartirsi in egual misura con altri soggetti;

che la Corte dei conti ha censurato la patente abnormità della gestione della vicenda della locazione nel suo complesso: sia per la scelta di assumere in locazione un immobile evidentemente inidoneo all’uso immediato, dato che risultava accatastato in categoria A/4 (abitativo residenziale) e non in B/4 (uffici pubblici), nè in B/9 (musei, gallerie); sia per l’assunzione, con entrambi i contratti, da parte della Provincia, di una serie di obblighi contrattuali che spettavano al proprietario; sia, ancora, per il pagamento del canone per ventidue mesi senza neppure che all’atto della consegna il bene fosse agibile come da impegno assunto dalla proprietà;

che per la cassazione della sentenza resa in sede di appello dalla Corte dei conti M.C. ha proposto ricorso, con atto notificato l’11 luglio 2018, sulla base di un motivo;

che ha resistito, con controricorso, il Procuratore generale rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti;

che il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale, ex art. 380-bis.1 c.p.c., con adunanza fissata per il 19 novembre 2019;

che in data 13 novembre 2019 il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che va preliminarmente dichiarata irricevibile la memoria difensiva del ricorrente, in quanto depositata tardivamente, il 13 novembre 2019, una volta spirato il termine di dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio, prescritto dall’art. 380-bis.1. c.p.c.;

che con l’unico motivo (eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 207 codice di giustizia contabile, approvato con il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c.; difetto di potestas iudicandi; sconfinamento nella sfera riservata alla P.A.; violazione e falsa applicazione della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 1, nel testo di cui al D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, art. 3 convertito nella L. 20 dicembre 1996, n. 639) il ricorrente si duole che la sentenza della Corte dei conti avrebbe invaso, nell’esercizio della propria giurisdizione, la sfera della discrezionalità riservata alla pubblica amministrazione: sindacando le scelte di merito e di opportunità compiute dagli organi politici e tecnici della Provincia di Salerno e ritenendole non idonee, la Corte dei conti avrebbe illegittimamente sostituito al potere discrezionale della Provincia la valutazione ex post del giudice contabile;

che, ad avviso del deducente, tale invasione sarebbe particolarmente palese là dove la Corte dei conti ha censurato sia le modalità e i processi logici con cui si è formata la volontà dell’Amministrazione, supponendo un’illegittima interferenza del privato proprietario, sia l’opportunità di prendere in locazione l’immobile per realizzarvi un museo oppure per trasferire la sede degli uffici dell’ente, valutando la disutilità della locazione;

che nel caso di specie si sarebbe finito con il controvertere sul merito dell’attività amministrativa, contestandosi la scelta – alla stregua di criteri di opportunità e, quindi, di parametri non giuridici – delle modalità di azione della P.A.;

che, in via preliminare, non si frappone all’esame del motivo di censura l’esistenza, prospettata dal controricorrente Procuratore generale della Corte dei conti, di un giudicato interno sulla giurisdizione per non essere stato il giudice di appello della Corte dei conti già investito della questione stessa di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, su cui si fonda il proposto ricorso;

che, infatti, è sufficiente osservare che il motivo di giurisdizione è stato dedotto assumendosi che sarebbe stata la sentenza di appello a rendere una decisione che, riformando la pronuncia assolutoria di primo grado, avrebbe esorbitato dai limiti della giurisdizione contabile invadendo la sfera di discrezionalità dell’amministrazione per la quale operava il qui ricorrente assessore provinciale;

che, essendosi prospettato un eccesso di potere giurisdizionale commesso direttamente dal giudice di appello, è palese che esso poteva farsi valere solo con il proposto ricorso per cassazione (cfr. Cass., Sez. U., 5 aprile 2019, n. 9680);

che va pertanto dichiarata infondata l’eccezione di esistenza del giudicato interno sulla giurisdizione;

che l’inammissibilità del motivo di ricorso discende, piuttosto, dalla circostanza che le stesse argomentazioni con cui si denuncia il vizio di eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei conti sotto il profilo di avere essa operato il suo giudizio compiendo una valutazione che apparteneva alla discrezionalità della Provincia, risultano del tutto inidonee ad evidenziare il lamentato vulnus;

che occorre premettere che l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l’attività amministrativa, con la conseguenza che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la mancanza di tale conformità (Cass., Sez. U., 10 marzo 2014, n. 5490);

che, in particolare, la Corte dei conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, che devono essere ispirati ai criteri di economicità ed efficacia, L. 7 agosto 1990, n. 241, ex art. 1: essi assumono rilevanza sul piano, non già della mera opportunità, ma della legittimità dell’azione amministrativa e consentono, in sede giurisdizionale, un controllo di ragionevolezza sulle scelte della pubblica amministrazione, onde evitare la deviazione di queste ultime dai fini istituzionali dell’ente e permettere la verifica della completezza dell’istruttoria, della non arbitrarietà e proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonchè della logicità ed adeguatezza della decisione finale rispetto allo scopo da raggiungere (Cass., Sez. U., 15 marzo 2017, n. 6820; Cass., Sez. U., 23 novembre 2018, n. 30419; Cass., Sez. U., 1 febbraio 2019, n. 3159);

che, tanto premesso, va rilevato che la sentenza impugnata non ha affermato la responsabilità dell’assessore provinciale sulla base di un sindacato nel merito della discrezionalità amministrativa, ossia della scelta in sè di istituire un museo o di acquisire nuovi spazi per uffici amministrativi;

che la Corte dei conti ha piuttosto censurato, in riferimento alla prima locazione, il comportamento esorbitante dai canoni di ragionevolezza ed economicità concretizzatosi nella scelta di ricorrere alla acquisizione immediata in locazione di un immobile – con destinazione incompatibile a quella di museo – per una iniziativa che non si trovava neppure in una fase embrionale: evidenziando, a tale riguardo, l’assoluta mancanza di un progetto di fattibilità, l’assenza di istruttoria nella genesi dell’iniziativa museale, verosimilmente nata da un’idea del proprietario dell’edificio, l’assenza, ancora, di un crono-programma che prevedesse non solo ed esclusivamente l’individuazione dello spazio fisico espositivo prescelto, l’insussistenza di un insieme di beni o di una raccolta di opere d’arte o librarie o degli oggetti aventi interesse storico-scientifico, etno-antropologico e culturale destinati ad essere ospitati, conservati e valorizzati in quello spazio fisico per la fruizione pubblica;

che il giudice contabile ha contestato l’irragionevolezza e l’irrazionalità dell’attività posta in essere dall’assessore anche con riferimento alla seconda locazione, avendo questa ad oggetto un immobile inidoneo all’uso immediato (risultando accatastato in categoria A/4 e non in B/4) ed essendosi la P.A. sobbarcata a condizioni contrattuali squilibrate in favore del proprietario (stante la pattuizione in ordine alla debenza del canone nonostante il non utilizzo dell’immobile in attesa della conclusione dei lavori di riattamento in vista del cambio di destinazione di esclusiva spettanza ed interesse del proprietario);

che l’inammissibilità del motivo discende dal fatto che la prospettata censura inerisce ad una valutazione che il giudice contabile ha effettuato sull’azione dell’assessore provinciale secondo i criteri di efficacia ed economicità di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 1 e, dunque, secondo parametri di legittimità che la collocano all’interno della giurisdizione contabile e non esprimono un sindacato del merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione;

che l’inammissibilità del motivo comporta l’inammissibilità del ricorso;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese, stante la natura di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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